Come ricorda l’Avcp (ora A.N.AC), per migliorare il funzionamento del mercato degli appalti pubblici, condizione essenziale per lo sviluppo del Paese, bisogna puntare sulla riqualificazione degli attori del sistema: le stazioni appaltanti e gli operatori economici  (Avcp, atto di segnalazione n. 1/2012).

Per la riqualificazione delle stazioni appaltanti, l’Autorità, in particolare, suggerisce di introdurre l’obbligo della loro iscrizione in un apposito registro, da tenersi presso la stessa AVCP,  “funzionale all’introduzione di un sistema che ne valuti le capacità amministrative e gestionali e le classifichi per classi di importo o per tipologia di contratti, così da consentire che ogni amministrazione indica gare e gestisca contratti in relazione alle proprie capacità strutturali, in modo rispettoso della normativa e, soprattutto, in modo efficiente, efficace e trasparente”

In attesa che venga realizzata la misura ottimale suggerita dall’Autorità, un buon punto di partenza potrebbe essere la “centralizzazione della committenza pubblica locale”, misura che consentirebbe di ridurre le circa 37.000 stazioni appaltanti, a loro volta organizzate in 60.000 centri di spesa.

La misura –  introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento nel 2011 – tarda, però, ad essere applicata e scatterà, fatte salve altre possibili proroghe,  il 1° gennaio 2015 per l’acquisizione di beni e servizi e il 1° luglio 2015 per i lavori.

E’ opportuno ricostruire la travagliata cronistoria legislativa in questa materia, che conferma la difficoltà del legislatore italiano di introdurre norme chiare, semplici e effettivamente applicabili.

Com’è noto, la prima misura di aggregazione è introdotta con l’art. 23, commi 4 e 5, del decreto legge n. 201 del 2011, ma riguarda solo i comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti. Con l’aggiunta del comma 3 – bis all’art. 33 del Codice dei contratti pubblici, il decreto prevede che questi comuni debbano affidare, per le gare indette dopo il 31 marzo 2012,  ad un’unica centrale di  committenza  l’acquisizione  di  lavori,  servizi   e  forniture nell’ambito delle unioni dei comuni, di cui all’articolo 32 del TUEL o costituendo un apposito accordo  consortile  tra  i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici.

Con l’art. 1, comma 4, del decreto legge n. 95 del 2012, con una ulteriore novella all’art. 33, comma 3 – bis,  del Codice dei contratti, è aggiunta la possibilità per gli stessi comuni fino a 5.000 abitanti di effettuare i  propri  acquisti attraverso gli strumenti elettronici di  acquisto  gestiti  da  altre centrali di committenza , ivi comprese  le  convenzioni  Consip e il mercato elettronico della   pubblica amministrazione .

Per evitare l’estensione di questo obbligo anche ai piccoli appalti, con l’art. 1, comma 343, della legge di stabilità 2014,  è introdotta, sempre con una novella al comma 3 – bis dell’art. 33 del  Codice dei contratti, la deroga al suddetto obbligo per le acquisizioni di lavori, servizi e forniture, effettuate in economia mediante amministrazione diretta, affidamento diretto nei limiti consentiti dalla legge e dal regolamento locale o cottimo fiduciario.

Dopo la proroga al 1° luglio 2014 disposta con il milleproroghe dello scorso anno, è intervenuto l’art. 9, comma 4, del “Decreto IRPEF” che ha ulteriormente modificato la struttura dell’art. 33, comma 3 – bis, del Codice dei contratti ed ha previsto:

 – l’estensione dell’obbligo della “centralizzazione della comittenza” a tutti i comuni con la sola esclusione dei capoluoghi di provincia;

– la previsione di procedere all’acquisizione di beni, servizi e lavori, mediante unioni di comuni, o accordi consortili fra enti locali (ossia convenzioni ex art. 30 del TUEL), o ricorrendo ad un soggetto aggregatore o alla provincia ai sensi della legge n. 56 del 2014;

– l’eliminazione della deroga all’obbligo della centrale unica di committenza per gli acquisti  in economia di cui all’art. 125 del Codie dei contratti, introdotta con il decreto legge n. 95 del 2012;

 – l’introduzione del divieto di concedere il Codie identificativo di gara (CIG) ai  comuni non capoluogo di provincia che procedano all’acquisizione di lavori, beni e servizi in  violazione del suddetto obbligo di aggregazione.

L’unica eccezione al suddetto obbligo ad oggi resta  il ricorso al mercato elettronico della PA (MePA) o altro soggetto aggregatore.

La disposizione ha comportato, di fatto, il blocco degli appalti, anche di quelli di modesta entità, con effetti negativi su un comparto vitale per l’economia del Paese, in quanto la stragrande maggioranza degli enti locali, e, in particolare, quelli cui è stato esteso l’obbligo con il decreto – legge n. 66, sono arrivati impreparati all’appuntamento del 1° luglio 2014.

Per scongiurare la paralisi, la Conferenza Stato  – città e autonomie locali il 10 luglio scorso ha concordato il differimento dell’entrata in vigore della misura al 1° gennaio 2015 mediante la proposta di un emendamento al dl n. 90 del 2014 da introdurre nella relativa legge di conversione. Nella stessa deliberazione, la Conferenza ha deciso di richiedere all’A.N.AC (ex Avcp) di riprendere a concedere il CIG agli enti locali secondo la normativa previgente (” “l’A.N.AC. conceda il codice identificativo gara (CIG) ai Comuni non capoluogo che dal 1° luglio non abbiano potuto ricorrere con le attuali modalità previste, ancora in gran parte da attuare, alle acquisizioni suddette, a prescindere dalla tipologia e dal valore”).

L’A:N:AC, però, ha ricordato al Governo di non potersi esimere “dall’applicazione della disposizione vigente e, pertanto, senza un opportuno intervento normativo, deve opporre il diniego al rilascio dei CIG nei confronti di tutti i soggetti che non agiscano in ottemperanza alla norma. Appare quindi urgente un intervento normativo che disponga la proroga dei termini così come definiti nell’intesa “.

Detto altrimenti, l’Autorità ha ricordato una regola ovvia, ma spesso negletta: la legge si può modificare solo con una legge e, quindi, per il posticipo dell’entrata in vigore della disposizione occorre una modifica legislative del decreto legge n. 66 del 2014.

 All’impasse creato dal susseguirsi scomposto di più disposizioni, si tenta ora di porre rimedio con un emendamento al d.l. 90 in corso di conversione, come ha informato tempestivamente questa rivista.

L’emendamento prevede due novità:

 1° il posticipo dell’obbligo al 1° gennaio 2015 per le acquisizioni di beni e servizi e al 1° luglio 2015 per i lavori;

 2. l’introduzione di due distinte fattispecie di deroga:

a) la prima, per gli  enti pubblici impegnati nella ricostruzione delle località dell’Abruzzo e di quelle dell’Emilia-Romagna;

b) l’altra,  per comuni con una popolazione superiore ai 10.000 abitanti,  che potranno procedere autonomamente per gli acquisti di beni, servizi e lavori di valore inferiore ai 40 mila euro; il che vuol dire, al contrario, che nessuna deroga è ammessa per i comuni sotto detta soglia demografica.

 Agli enti locali non resta che avviare, senza ulteriore indugio, il percorso di attuazione del nuovo modello operativo.

avv. Giuseppe Panassidi

 


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