IN POCHE PAROLE…

L’appalto affidato in origine in house non può proseguire automaticamente, senza una procedura di gara, se l’amministrazione aggiudicatrice non ha più alcuna partecipazione, neppure indiretta, nell’ente affidatario e non esercita più alcun controllo su quest’ultimo, per avere ceduto, seppure con gara, le sue azioni.


Corte di Giustizia Europea, quarta sezione, sentenza 12 maggio 2022, causa C-719/20

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Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici

Codice dei contratti pubblici

Testo unico sulle società a partecipazione pubblica


La direttiva 2014/24/UE deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa o ad una prassi nazionale in forza della quale l’esecuzione di un appalto pubblico, aggiudicato inizialmente senza gara ad un ente in house, sul quale l’amministrazione aggiudicatrice esercitava un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi, sia proseguita automaticamente dall’operatore economico che ha acquisito detto Ente, al termine di una procedura di gara, qualora detta amministrazione aggiudicatrice non disponga di un simile controllo su tale operatore e non detenga alcuna partecipazione nel suo capitale.


A margine

Con l’ordinanza 18 novembre 2020, il Consiglio di Stato ha proposto domanda di pronuncia pregiudiziale alla CGUE ai sensi dell’art. 267 TFUE, sulla corretta interpretazione dell’art. 12 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio in tema di appalti tra enti pubblici.

Il caso

Il Comune di Lerici attribuisce, tramite affidamento in house, la gestione del ciclo integrato dei rifiuti ad una propria società per azioni unipersonale a totale partecipazione pubblica (ACAM). Nello specifico, questo servizio è svolto da una controllata della società in house (ACAM Ambiente).

Otto anni più tardi, la stazione appaltante conclude un accordo di ristrutturazione con i propri creditori. Quindi, tramite procedura  di gara, individua in IREN s.p.a.,  società quotata in borsa e operante sull’intero territorio nazionale, il soggetto adatto a concludere un’operazione aggregativa.

A seguito della conclusione nel 2017 di un accordo di investimento, i Comuni azionisti della società affidataria del servizio di rifiuti cedono le loro azioni al soggetto vittorioso della procedura ad evidenza pubblica (IREN), acquisendo al contempo una corrispondente quota di azioni di quest’ultima tramite sottoscrizione di un aumento di capitale loro riservato.

Tuttavia, il Comune, che aveva affidato a monte la gestione di quella specifica attività, ha accettato l’accordo solamente per la parta attinente la cessione della azioni, senza sottoscrivere l’aumento di capitali.

Per mezzo delle controllate di ACAM, divenuto ora proprie controllate, IREN s.p.a. continua a gestire i servizi  inizialmente affidati alle controllate acquisite.

Nel 2018, la Provincia di La Spezia, nel frattempo divenuta competente  per la gestione del servizio in oggetto per i Comuni siti nella suo ambito territoriale e di cui fa parte il Comune di Lerici, approva l’aggiornamento del piano di area per la gestione integrata dei rifiuti urbani e indica  ACAM Ambiente quale gestore del servizio per tale Comune fino al 31 dicembre 2028, in forza di affidamento in house.

Il Comune di Lerici propone ricorso avverso la suddetta deliberazione. Dopo una pronuncia di rigetto del ricorso in primo grado, in appello, il Consiglio di Stato riteneva di dovere rimettere alla Corte di Giustizia UE  la risoluzione  della seguente questione ermeneutica riguardante la direttiva 2014/24/UE: se la scelta di ACAM di procedere alla fusione con IREN  preceduta da una gara pubblica fosse o meno sufficiente a determinare la conformità dell’affidamento diretto alle norme di diritto  sull’aggiudicazione degli appalti pubblici.

Per il giudice del rinvio, nonostante non sussistesse più un “controllo analogo” del Comune di Lerici sul nuovo gestore del servizio e quindi mancasse il presupposto,  invece, presente nel momento dell’affidamento originario per l’affidamento in house, sarebbe “irrilevante che l’affidamento di un dato servizio avesse luogo mediante una procedura di gara vertente precisamente sull’aggiudicazione di tale servizio o mediante una procedura di gara avente ad oggetto l’acquisizione delle azioni della società che fornisce i servizi di cui trattasi”, dal momento che, in entrambi i casi, a suo avviso, la concorrenza sarebbe stata garantita.

La sentenza della CGUE

Secondo la Corte di Giustizia, invece, l’acquisizione di detta società da parte di altro operatore economico, durante il periodo di validità dell’appalto, è tale da costituire un cambiamento di una condizione fondamentale dell’appalto che necessiterebbe di indire una gara. Una simile modifica comporta, infatti, che l’ente affidatario non può più essere in pratica assimilato ai servizi interni dell’amministrazione aggiudicatrice, venendo meno  la stessa situazione sostanziale di un’amministrazione aggiudicatrice che faccia ricorso alle proprie risorse per l’organizzazione e la gestione di quella specifica attività.

Non potrebbe neppure richiamarsi l’art. 72, par. 1 lett. d), ii) della direttiva 2014/24/UE, che prevede che un appalto pubblico possa essere modificato, senza nuova procedura, se l’aggiudicatario iniziale è sostituito da un nuovo contraente, in seguito all’acquisizione del primo da parte del secondo, “purché quest’ultimo soddisfi i criteri di selezione qualitativa stabiliti inizialmente e purché ciò non implichi altre modifiche sostanziali al contratto e non sia finalizzato ad eludere l’applicazione della direttiva in parola”. Come emerge dal suo stesso tenore letterale, tale disposizione normativa è infatti limitata all’ipotesi in cui il successore dell’aggiudicatario originale prosegua l’esecuzione di un appalto pubblico che è stato oggetto di una procedura iniziale conforme ai requisiti imposti dalla direttiva 2014/24.

Dal par. 4 del summenzionato articolo emerge come una modifica del contratto sia considerata sostanziale “allorché introduca condizioni che, se fossero state incluse nella procedura di appalto iniziale, avrebbero consentito l’ammissione di candidati diversi da quelli inizialmente selezionati o l’accettazione di un’offerta diversa da quella inizialmente accettata o avrebbero attirato ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione”.

Una simile ricostruzione, per di più corroborata dall’obiettivo, così come perseguito dalle Direttive europee, di apertura degli appalti pubblici alla concorrenza nella misura più ampia possibile, porta dunque i Giudici europei a statuire come una modifica del contraente, come quella di cui trattati, non possa rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 72 della dir. 2014/24/UE, poiché l’appalto pubblico in questione era stato inizialmente affidato ad un ente in house, senza esperimento di procedura di gara.

Più in particolare, considerando proprio l’art. 12 della direttiva oggetto di esame, la Corte di Giustizia evidenzia come nel caso di specie non solo mancherebbero anche le altre condizioni che consentono di qualificare come in house un simile caso, ma non sussisterebbe neanche quel requisito di “controllo analogo” che permetterebbe l’aggiudicazione di un appalto pubblico senza la previa applicazione delle procedure di aggiudicazione previste dalla stessa fonte euro-unitaria.

Da un lato, il Comune di Lerici non disponeva di alcuna partecipazione nel capitale di IREN, capitale che peraltro era ampiamente aperto alle partecipazioni private. Dall’altro, l’ente territoriale non risultava essere né rappresentato negli organi decisionali di tale società né in grado di influenzare, fosse anche congiuntamente con gli altri Comuni, gli obiettivi strategici o le decisioni significative di IREN.

La circostanza che quest’ultima sia stata selezionata al termine di una procedura di gara non modificherebbe la conclusione per cui la stessa possa proseguire l’esecuzione del servizio solo dopo essere stata designata come aggiudicataria di detto appalto al termine di un procedimento conforme ai requisiti stabiliti nella direttiva 2014/24/UE.

Infatti,  IREN s.p.a. non poteva essere assimilata ad una società a capitale misto, detenuta al contempo dall’amministrazione aggiudicatrice e da un ente selezionato da quest’ultima secondo i criteri di trasparenza e tutela della concorrenza, dal momento che il Comune  non deteneva alcuna partecipazione, neppure indiretta, in detta società.

Analoga conclusione si impone, a giudizio della Corte di Giustizia UE, anche nell’ipotesi in cui si dovesse ritenere che l’appalto pubblico, come sembrerebbe nel caso di specie, sia stato oggetto di una nuova aggiudicazione da parte della Provincia di La Spezia. Resterebbe nondimeno il fatto che tale affidamento diretto non sarebbe comunque in grado di soddisfare i requisiti imposti dalla direttiva poc’anzi richiamata, stante che la  Provincia non  deteneva alcuna partecipazione nel capitale di IREN, e pertanto in quello di ACAM Ambiente, né disponeva di alcun potere di controllo su tali Enti.

Conclusione

Per queste considerazioni, la Quarta Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea giunge a dichiarare che la direttiva 2014/24/UE vada interpretata nel senso che essa osti ad una normativa o ad una prassi nazionale in forza della quale l’esecuzione di un appalto pubblico, aggiudicato inizialmente senza gara ad un ente in house, sul quale l’amministrazione aggiudicatrice esercitava un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi, sia proseguita automaticamente dall’operatore economico che ha acquisito detto Ente, al termine di una procedura di gara, qualora detta amministrazione aggiudicatrice non disponga di un simile controllo su tale operatore e non detenga alcuna partecipazione nel suo capitale.

Dott. Alessandro Sorpresa


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