Se il contenuto di un’e-mail rileva all’interno di un procedimento di nomina, essa assume valore di documento amministrativo ed è accessibile per difendere e tutelare i propri interessi giudici.
Consiglio di Stato, sede giurisdizionale, sez. sesta, 5 marzo 2015, Presidente Baccarini, Estensore Lopilato
Il caso
La vicenda nasce dalla procedura per il conferimento di un incarico di responsabile presso un istituto di ricerca, per il quale, i vertici competenti avrebbero tenuto conto di alcune segnalazioni negative, pervenute via e-mail, nei confronti del soggetto precedentemente titolare dello stesso e ora richiedente la conferma nella nomina.
Dopo il diniego all’ostensione dell’e-mail e agli estremi dell’autore della stessa da parte dell’istituto, l’interessato propone ricorso al Tar Lazio per ottenere l’accesso documentale, a tutela della propria immagine professionale.
Il giudice di primo grado, con sentenza n. 10552 del 21 ottobre 2014, concede l’accesso.
L’Ente propone tuttavia ricorso al Consiglio di Stato affermando l’erroneità della pronuncia per aver consentito l’accesso al contenuto di una corrispondenza privata, posto che l’e-mail:
- sarebbe stata inviata all’indirizzo personale del presidente e all’indirizzo istituzionale ad accesso esclusivo dello stesso;
- non sarebbe stata protocollata;
- avrebbe un “tono confidenziale”.
Peraltro, l’e-mail non costituirebbe nemmeno un documento amministrativo suscettibile di accesso, in quanto non riguardante atti concernenti attività di pubblico interesse.
La sentenza
Il Consiglio di Stato ritiene il ricorso infondato e lo rigetta affermando la violazione, da parte dell’istituto, sia della norma ex art. 22, c. 1, lettera d), della legge n. 241-1990 recante la definizione (molto ampia) di documento amministrativo, sia del disposto dell’art. 24, c. 7, della stessa legge, secondo cui “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici […]”.
Quanto alla natura di documento dell’e-mail, il giudice di secondo grado ritiene che la stessa non possa essere considerata corrispondenza privata in quanto il presidente ha provveduto a rendere edotti gli uffici dell’amministrazione dell’esistenza di tale informativa. Così facendo, ha conferito egli stesso rilevanza pubblica al documento.
In effetti, lo stesso istante è venuto a conoscenza dell’esistenza dell’e-mail proprio perché il responsabile del procedimento, nell’atto di diniego dell’accesso, ha fatto ad essa riferimento mediante il rinvio all’«allegato 5» con ciò facendo intendere che si trattava di un documento ormai detenuto dall’amministrazione. In sostanza, la tesi dell’istituto appellante sarebbe stata corretta solo se il presidente avesse mantenuto in “forma privata” la corrispondenza ricevuta, assegnandole valenza non rilevante ai fini dell’attività istituzionale dell’ente.
Per tali ragioni, il collegio ritiene che la particolarità della fattispecie concreta assegni valenza di documento all’e-mail inviata al presidente dell’istituto di ricerca.
In relazione poi all’esigenza di tutela della riservatezza dell’autore dell’e-mail, il soggetto istante ha dimostrato che la conoscenza del suo contenuto e del nome del mittente è necessaria sia ai fini della propria difesa nell’ambito della procedura relativa al conferimento dell’incarico sia, soprattutto, per poter agire in giudizio ai fini della tutela del proprio onore e della propria reputazione professionale.
Ciò considerato, l’accesso all’e-mail va consentito.
La valutazione della sentenza
Il caso in esame richiama l’istituto del c.d. whistleblower, misura introdotta dalla legge n. 190-2012 con l’art. 54 bis del d. lgs. n. 165-2001 per prevenire la corruzione all’interno della P.A., ovvero un sistema di tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti. Ci sono tuttavia delle differenze.
La denuncia, in questi casi, riguarda fatti di una certa rilevanza quali episodi di corruzione ed altri reati contro la pubblica amministrazione, di supposto danno erariale o altri illeciti amministrativi di cui dipendenti o collaboratori siano venuti a conoscenza.
Il d. lgs. n. 165-2001 e il Piano Nazionale Anticorruzione prevedono che l’amministrazione assuma l’obbligo di predisporre sistemi di tutela dell’identità del segnalante, anche successivamente alla segnalazione.
Così, nel procedimento disciplinare che potrà eventualmente instaurarsi a carico di terzi, l’identità del whistleblower non potrà essere rivelata senza il suo consenso, a meno che la sua conoscenza non sia assolutamente indispensabile per la difesa dell’incolpato.
La denuncia del whistleblower è inoltre sottratta all’accesso previsto dagli articoli 22 ss. della legge n. 241-1990 e il denunciante che ritiene di essere stato discriminato nel lavoro a causa della segnalazione effettuata, potrà indicare (anche attraverso il sindacato) all’ispettorato della funzione pubblica, i fatti di discriminazione.
di Simonetta Fabris