IN POCHE PAROLE …
La realizzazione di una piscina configura una nuova costruzione a norma dell’art. 3, comma 1, lett. e), del DPR n. 380/2001, non potendo essere considerata una pertinenza in senso civilistico implicando una “durevole trasformazione del territorio” con funzione autonoma rispetto a quella dell’edificio cui accede.
Solo la demolizione, e non l’occultamento dell’opera, è idonea a fare venir meno l’obbligo di maggiorazione del contributo di costruzione.
A margine
Il caso – La vicenda verte sul contributo di costruzione dovuto per la realizzazione di una piscina e sulla qualificazione della stessa dal punto di vista urbanistico.
Un privato, ottenuto il prescritto permesso, avvia i lavori per la costruzione di un nuovo edificio residenziale; presenta poi una DIA in variante per la realizzazione di una piscina scoperta a cui fa seguito una seconda DIA che esclude, stavolta, la realizzazione dell’opera.
Il Comune rileva però l’esecuzione di lavori similari, precisando che le opere pertinenziali realizzate contestualmente all’edificio principale concorrono alla quantificazione del contributo ed alla determinazione della classe di edificio per il costo di costruzione.
Solo la demolizione, infatti, e non l’occultamento dell’opera, è idonea a fare venir meno l’obbligo di maggiorata contribuzione ferma restando la necessità di presentazione di un formale titolo edilizio per la regolarizzazione di quanto eseguito.
Il privato, sull’assunto della mancata realizzazione di alcuna struttura assimilabile ad una piscina, contesta il contributo, e si rivolge al TAR per l’annullamento degli atti comunali.
Nelle more del giudizio, torna nuovamente sui suoi passi e presenta una SCIA per la realizzazione della piscina.
A seguito di sopralluogo e della riscontrata presenza di talune strutture propedeutiche alla realizzazione dell’opera, il Comune dichiara l’inefficacia della SCIA, in quanto priva di asseverazione del professionista e perché comportante un intervento non coerente con lo stato di fatto, e ordina l’immediata sospensione dei lavori. Anche di tali provvedimenti l’istante domanda al TAR l’annullamento.
In primo grado, il giudice respinge il ricorso.
La sentenza
Il Consiglio di Stato sottolinea la legittimità della richiesta del Comune di conguaglio del contributo di costruzione.
Il privato avrebbe infatti utilizzato il titolo edilizio rilasciatogli, realizzando parzialmente la piscina, seppur adattandola temporaneamente ad altra funzione.
Tant’è che, nella successiva DIA di rinuncia e nella relazione del tecnico di parte, le opere di muratura vengono date per compiute seppur con la funzione residuale “di sostegno dei percorsi pedonali di accesso all’edificio”, e seppur interrate nell’area del giardino pertinenziale.
Nel caso di specie, in pratica, solo dopo aver posto in essere gli scavi e la pavimentazione del vano dei relativi impianti, il ricorrente ne ha chiesto lo stralcio.
A tale richiesta non è però seguito il ripristino dello stato dei luoghi ma, semplicemente, la copertura dello scavo con terreno vegetale.
In ultimo, anche dalla relazione tecnica dell’ultima SCIA si apprende che, per la realizzazione della piscina, si prevedeva il parziale recupero di opere già precedentemente indicate nelle varianti in corso d’opera, in quanto originariamente intraprese per la realizzazione di una piscina ma interrotte e abbandonate nel sottosuolo o utilizzate per altre funzioni.
Si tratta dunque di opere abusive, in quanto poste in essere prima del perfezionamento della DIA in variante, che legittimano la richiesta del contributo di costruzione da parte del Comune.
Il privato contesta altresì che le piscine “sono assoggettate a contribuzione dall’art. 7 del D.M. 801/77 e non sono sempre pertinenziali dal punto di vista urbanistico, ma solo a certe condizioni, di cui occorre dare la prova”, mentre la piscina privata è sempre una pertinenza, ed in quanto tale non è soggetta a titolo abilitativo oneroso.
Secondo i giudici Palazzo Spada, tuttavia, la piscina è una struttura di tipo edilizio, che incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata, configurando pertanto una nuova costruzione ex art. 3, comma 1, lett. e), del DPR n. 380/2001 e non una pertinenza urbanistica del fabbricato residenziale.
Ricorda infatti il Consiglio di Stato che “La piscina … non può essere attratta alla categoria urbanistica delle mere pertinenze, poiché, sul piano funzionale, non è esclusivamente complementare all’uso delle abitazioni e non costituisce una mera attrezzatura per lo svago alla stessa stregua di un dondolo o di uno scivolo installati nei giardini o nei luoghi di svago”.
Non può essere una considerata una pertinenza anche perché comportante una “durevole trasformazione del territorio” presentando, sotto il profilo urbanistico, una funzione autonoma rispetto a quella propria dell’edificio cui accede.
Al riguardo può richiamarsi quella giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. VI, 29 novembre 2019, n. 8192; id., 4 gennaio 2016, n. 19; 24 luglio 2014, n. 3952; sez. V, 12 febbraio 2013, n. 817; sez. VI, n. 100/2020) sulla nozione di pertinenza urbanistica … secondo cui tale nozione “è invocabile per opere di modesta entità ed accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia. Viceversa, tali non sono i manufatti che per dimensioni e funzione possiedono una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale sì da avere una potenziale attitudine ad una diversa e specifica utilizzazione“.
Conclusioni
L’appello conferma la sentenza di primo grado ribadendo l’obbligo di pagamento della maggiorazione del contributo di costruzione a norma dell’art. 7 del D.M. 10 maggio 1977, n. 801, secondo cui, in seguito alla realizzazione di una piscina coperta o scoperta, quando sia a servizio di uno o più edifici comprendenti meno di 15 unità immobiliari, è previsto un incremento del costo di costruzione del 10%.
Stefania Fabris