IN POCHE PAROLE …

Il Consiglio di Stato ha confermato la legittimità del regolamento comunale che vieta di fumare nelle aree pubbliche a meno di 10 metri da altre persone, ritenendo che tale misura non comporti una violazione della libertà individuale o della libertà di iniziativa economica.

Il divieto di fumo, infatti, si inserisce in un più ampio contesto di tutela ambientale e della salute pubblica e, così come disciplinato, garantisce un equilibrio tra le libertà personali e l’interesse generale alla qualità dell’aria.


Consiglio di Stato, sez. 3, sent. 11 febbraio 2025, n. 1111, Pres. G.Lamberti, est. C. Addesso

Sono legittime le disposizioni  del regolamento comunale sul divieto di fumare nelle aree pubbliche, che, consentendo di poter liberamente fumare a 10 metri, laddove vi siano altre persone, non si traducono in una preclusione al consumo e, conseguentemente, alla rivendita del tabacco, ma attuano un equo bilanciamento tra le libertà costituzionali e l’interesse, di pari rilievo costituzionale, alla tutela dell’ambiente, anche nell’interesse delle future generazioni ai sensi dell’art. 9 Cost., garantendo, al contempo, il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali ai sensi dell’art. 117, comma 1, della Costituzione.

La tutela dell’ambiente, ivi compresa quella “urbana”, è un compito demandato a tutti gli enti di cui si compone la Repubblica ex art. 5 Cost., secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, come risulta dal d.lgs. 152/2006, che impone agli enti pubblici l’adozione di misure basate sulla precauzione, prevenzione, correzione dei danni ambientali e sviluppo sostenibile; dal d.lgs. 155/2010, che affida a Regioni e Province autonome la redazione dei Piani di risanamento dell’aria e dalla legge 234/2012, che obbliga gli enti a intervenire tempestivamente per sanare violazioni degli obblighi europei.

Il caso

Il Consiglio comunale di Milano ha approvato, nel 2020, il regolamento per la qualità dell’aria (“regolamento aria”), inserendovi, fra l’altro, il divieto di fumare, dal 1° gennaio 2021, in determinate aree pubbliche (verde pubblico, aree attrezzate destinate al gioco, allo sport, aree cimiteriali, ecc.), e l’estensione, dal 1° gennaio 2025, del divieto a tutte le aree pubbliche o ad uso pubblico, ivi incluse le aree stradali, salvo la possibilità di fumare in luoghi isolati, dove sia possibile il rispetto della distanza di almeno 10 metri da altre persone.

Il regolarmente assegna l’attività di vigilanza al Corpo della Polizia Locale e prevede per i trasgressori  le sanzioni indicate nelle tabelle allegate all stesso regolamento, e per quanto non previsto, secondo le disposizioni dell’art. 7 bis del D.lgs. 18.8.2000 n. 267 (di seguito TUEL).

A fondamento del ricorso al giudice amministrativo avverso le disposizioni regolamentari, viene eccepita, soprattutto, l’incompetenza assoluta del Comune a disciplinare con regolamento una materia che, riguardando la salute, spetterebbe a Stato e Regioni.

Il TAR per la Lombardia, Milano, con la sentenza n. 2631 del 29 novembre 2021, dichiara in parte inammissibile il ricorso e in parte lo respinge.

Con la sentenza di appello il Consiglio di Stato dichiara le disposizioni regolamentare del  tutto legittime, respingendo i ricorsi presentati per il loro annullamento, salvo compensare tra le parti le spese del giudizio in ragione della novità e complessità della questione oggetto della controversia.

La sentenza del Giudice di appello

Con la sentenza annotata, i Giudici di Palazzo Spada chiariscono quale sia il perimetro entro il quale può operare il regolamento comunale nella materia ambientale e come debbano intendersi le disposizioni regolamentari impugnate, improntate all’obiettivo di riduzione dell’inquinamento di prossimità e, di conseguenza, del degrado ambientale, nell’ambito di un concetto evoluto di vivibilità e sicurezza urbana, di cui costituiscono elementi essenziali la salubrità dell’ambiente, la qualità dell’aria e la salute del cittadino.

Con riguardo al primo aspetto, per il Consiglio di Stato, la potestà regolamentare degli enti locali, secondo l’orientamento giurisprudenziale, può spaziare, sebbene nei limiti dettati dalla legge, oltre le materie contemplate espressamente, in considerazione sia della loro caratterizzazione come enti a fini generali, sia del fatto che il potere regolamentare è espressione del potere di auto-organizzazione dell’ente e sia del carattere puramente esemplificativo delle materie indicate dalla disposizione del TUEL (Cons. St. sez. V, n. 6317 del 27.9.2004).

Infatti, il fondamento normativo del potere regolamentare dei comuni deve essere rinvenuto, innanzitutto, nel combinato disposto dei commi 5 e 7 ter dell’art. 50 del TUEL nella parte in cui legittimano l’ente locale ad adottare regolamenti per far fronte, tra l’altro, a situazioni di grave incuria e di degrado del territorio e dell’ambiente nonché di pregiudizio del decoro, della vivibilità e della sicurezza urbana; e, anche, nell’art. 7 sempre del TUEL, che, in conformità con l’autonomia regolamentare sancita dall’art. 117, comma 6, della Costituzione, consente agli enti locali di adottare, regolamenti in materia di auto-organizzazione e nelle materie di propria competenza e, fra l’altro, per l’esercizio delle funzioni.

A rafforzare la legittimità del regolamento comunale, il Consiglio di Stato richiama la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 10 novembre 2020, che ha condannato l’Italia per il superamento sistematico e continuato dei limiti di PM10 in diverse aree, tra cui Milano. La misura contestata, quindi, si inserisce in un più ampio contesto di contrasto all’inquinamento atmosferico e di protezione della salute pubblica.

Sotto il secondo aspetto, l’accezione di contesto urbano, per il Giudice di secondo grado, si fonda su un’interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata delle funzioni del comune, ente di prossimità chiamato, attraverso una regolamentazione del territorio attenta ai valori ambientali, a concorrere agli obiettivi nazionali e sovranazionali di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (la cui natura trasversale è stata ribadita, da ultimo, da Corte cost. 15/02/2024, n. 16) e di prevenzione dei cambiamenti climatici), conformemente ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

Sul punto rilevano, secondo il massimo Organo di giustizia amministrativa, in primis, il  d.lgs. 152/2006, che impone a tutti gli enti pubblici l’adozione di misure di tutela ambientale che siano informate ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente (art. 3 ter) e al principio dello sviluppo sostenibile (art. 3 quater);  e, poi, l’art. 9 d.lgs. n. 155/2010, di recepimento della direttiva 2008/50/EC, che pone in capo a Regioni e Province autonome il compito di redigere i Piani di risanamento per l’aria; e ancora l’art. 43 della legge 234/2012 che pone a carico anche degli enti pubblici l’adozione di “ogni misura necessaria a porre tempestivamente rimedio alle violazioni, loro imputabili, degli obblighi degli Stati nazionali derivanti dalla normativa dell’Unione europea”.

A tal fine, i Giudici di Palazzo Spada ricordano che, tra le violazioni a cui le misure contestate sono volte a porre rimedio, ci sono quelle già accertate dalla sentenza della Corte di giustizia del 10 novembre 2020, che ha condannato lo Stato italiano per “Superamento sistematico e continuato dei valori limite applicabili alle microparticelle (PM10) in determinate zone e agglomerati italiani”, tra cui quello di Milano.

Inoltre, il massimo organo di giustizia amministrativa non ravvisa nelle misure regolamentari adottate alcuna lesione della libertà individuale e di quella di iniziativa imprenditoriale, in quanto la previsione che “è sufficiente allontanarsi 10 metri, laddove vi siano altre persone, per poter liberamente fumare” conferma che la limitazione contestata non si traduce in una preclusione al consumo e, conseguentemente, alla rivendita del tabacco. Al contrario, le misure in questione attuano un equo bilanciamento tra le libertà costituzionali invocate e l’interesse, di pari rilievo costituzionale, alla tutela dell’ambiente, anche nell’interesse delle future generazioni ai sensi dell’art. 9 Cost., garantendo, al contempo, il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost.

Conclusioni

Il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso con il quale è stata sollevata una questione, complessità e ricca di elementi di novità, ritenendo, in sintesi, che:

  • sia legittimo il regolamento comunale che vieta di fumare nelle aree pubbliche a meno di 10 metri da altre persone;
  • il Comune abbia competenza a disciplinare tali aspetti per prevenire il degrado ambientale e proteggere la salute pubblica, come previsto dal TUEL e dalla normativa europea;
  • le disposizioni regolamentari non  ledano la libertà individuale né quella imprenditoriale, stante che il divieto mira a tutelare l’ambiente urbano e la qualità dell’aria, in linea con i principi costituzionali e comunitari.

E’ appena il caso di ricordare che “il fumo di tabacco, in Lombardia, è la quarta principale fonte emissiva di particolato atmosferico (7%), dopo il traffico stradale (45%), le pizzerie con forno a legna (19%) e i processi produttivi (8%), con la ovvia conseguenza della esposizione al fumo passivo specie per le persone vicine” (G. Amendola “Per il Consiglio di Stato legittimo il divieto di fumo all’aperto. Bene, ma ora occupiamoci del resto“)

Giuseppe Panassidi, avvocato


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