La Regione «non può introdurre “limitazioni alla localizzazione”  di impianti di trattamento a caldo quali incenerimento, termovalorizzazione, pirolisi o gassificazione, ma può fissare solo “criteri di localizzazione”, anche se formulati “in negativo”, ovvero per mezzo della delimitazione di aree ben identificate, ove emergano interessi particolarmente pregnanti affidati alle cure del legislatore regionale, e purché ciò non determini l’impossibilità di una localizzazione alternativa

Corte costituzionale, sentenza 20 novembre – 2 dicembre 2013, n. 285, Pres. Silvestri, Redatt. Cassese

Il caso

La Regione autonoma Valle d’Aosta, con  l’articolo unico della legge regionale 23 novembre 2012, n. 33, introduce un divieto generale di realizzazione e utilizzo di determinati impianti di trattamento dei rifiuti su tutto il territorio regionale.

Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna la suddetta legge dinnanzi alla Corte costituzionale, in quanto la norma  sarebbe riconducibile alla materia della tutela dell’ambiente di competenza esclusiva statale, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. La disposizione regionale si porrebbe in contrasto con le norme del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in particolare con l’art. 195, comma 1, lettere f) e p) e con l’art. 196, comma 1, lettere n) e o), che individuano le competenze amministrative statali (art. 195) e quelle regionali (art. 196) nella gestione dei rifiuti.

La sentenza

La Corte costituzionale, con la sentenza annotata, accoglie il ricorso e dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo unico della legge regionale impugnata ritenendo che ecceda la competenza regionale la previsione di un divieto generale di ospitare certi impianti di trattamento dei rifiuti in tutto il territorio regionale.

Il Giudice delle leggi ribadisce anche in questa occasione, come già sostenuto in altre decisioni  (fra le varie, sentenze n. 54 del 2012, n. 244 e n. 33 del 2011, n. 331 e n. 278 del 2010, n. 61 e n. 10 del 2009), che:

– la gestionedei rifiuti è ascrivibile alla materia della «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», riservata, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla legislazione esclusiva dello Stato;

– le Regioni possono stabilire «per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze livelli di tutela più elevati», pur sempre nel rispetto «della normativa statale di tutela dell’ambiente».

La Corte precisa, nello specifico, che:

– spetta allo Stato «l’indicazione dei criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti» (articolo 195, comma 1, lettera p) del d.lgs. n. 152 del 2006;

– le regioni devono procedere nel rispetto dei criteri e procedure stabiliti a livello statale.

La Corte ritiene che la legge regionale in questione contrasti con l’art. 196 del richiamato d.lgs 152/2006, secondo cui la competenza regionale è limitata alla definizione, fra l’altro, di criteri per l’individuazione:

a)  da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti;

b) dei luoghi o impianti idonei allo smaltimento.

Conclusioni

La sentenza n. 285/2013 non aggiunge nulla di nuovo a quanto più volte ribadito dalla Corte costituzionale e che le regioni, sotto la spinta di pressioni locali, spesso fingono di ignorare: non è possibile introdurre un’aprioristica determinazione dell’inidoneità di tutte le aree del territorio regionale a ospitare gli impianti di trattamento dei rifiuti.

Ma la nota e diffusa sindrome di NIMBY (Not In My Back Yard) quasi sempre prevale.

Giuseppe Panassidi


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