Va sottoposta al vaglio della Corte di Giustizia la questione della compatibilità dell’art.1, c. 17, della legge «anticorruzione» n. 190 del 2012 sulla facoltà di escludere dalle procedure di gara le imprese concorrenti che non abbiano accettato gli impegni contenuti nei protocolli di legalità, e l’art. 45 della direttiva europea 2004/18/CE che non contempla questa previsione espulsiva.

Consiglio giustizia amministrativa, sez. giurisdizionale – ordinanza 12 settembre 2014 n. 534 Pres. Lipari, Est. Carlotti

Il fatto

Un’Associazione temporanea di imprese impugna al T.A.R. di Palermo l’annullamento dell’aggiudicazione a suo favore di una gara sotto soglia comunitaria, disposto dalla locale Soprintendenza ai beni culturali in applicazione della sanzione espulsiva prevista dal bando per la mancanza della dichiarazione di accettazione del c.d. «protocollo di legalità». E richiede al giudice amministrativo l’aggiudicazione della procedura in proprio favore, e la declaratoria d’inefficacia del contratto eventualmente stipulato con altro concorrente, il subentro in quest’ultimo o, in subordine, il risarcimento del danno per equivalente monetario.

Il T.A.R. Sicilia rigetta il ricorso nel merito in quanto ritiene legittima la clausola escludente, senza che ciò comporti violazione dell’art. 46, c. 1-bis, del D.Lgs. n. 163/2006, trovando la misura espulsiva copertura normativa nell’art. 1, c. 17, della L. n. 190 del 2012 (TAR Sicilia, Palermo, sez II  22 gennaio 2014, n. 00568/2014).

Contro la suddetta sentenza, l’ATI propone appello al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, che, con l’ordinanza annotata, sospende il giudizio e rimette l’esame della questione pregiudiziale di compatibilità con il diritto europeo alla Corte di Giustizia U.E.

L’ordinanza

Il giudice d’appello siciliano ricorda, innanzitutto, che le cause di esclusione dei contratti sono regolate, dal diritto europeo, nell’art. 45 della direttiva 2004/18/CE, ispirato a un principio di tendenziale tassatività dei motivi di esclusione; e, dall’ordinamento nazionale, nel Codice dei contratti all’art. 38 e all’art. 46, commi 1- bis e 1-ter, secondo cui, fra l’altro, sono nulle le prescrizioni del bando che includano prescrizioni a  pena  di  esclusione ulteriori rispetto a quelle previste dalla stessa disposizione, e nella L. n. 190 del 2012 all’art. 1, c. 17, a mente del quale le stazioni appaltanti possono prevedere nei bandi di gara  la clausola espulsiva del mancato rispetto dei protocolli di legalità o patti di integrità.

Nell’ordinanza, lo stesso giudice si sofferma a ricordare che i protocolli di legalità sono strumenti convenzionali, con i quali l’impresa accetta di tenere i comportamenti virtuosi definiti negli stessi accordi e che hanno la loro base legislativa di carattere generale nell’art. 15 della L. n. 241/1990, e in norme speciali in materia di contratti pubblici, come l’ art. 1, comma 17, della L. n. 190/2012 o come l’art. 176, comma 3, lett. e), del Codice dei contratti;  con la duplice funzione di lotta ai fenomeni di devianza criminale e, in forza di tale azione di contrasto, di tutela dei fondamentali principi di concorrenza e di trasparenza che presidiano la disciplina dei pubblici appalti.

Lo stesso giudice ricorda ancora di avere già deciso, con sentenza non definitiva n. 490/2014,  che, il richiamato art. 1, c.17, della L. n. 190/2012 debba essere interpretato nel senso che la potestà di esclusione dalla gara sussiste anche a fronte della mancata accettazione, a monte, di detti protocolli o nel caso della mancata produzione, ove prescritta dagli atti di gara, della dichiarazione attestante l’accettazione degli obblighi previsti in detti protocolli. Detto altrimenti, il CGA ricorda che il Consiglio interpreta detta disposizione della L. n. 190/2012 nel senso che le amministrazioni aggiudicatrici hanno il potere di pretendere l’accettazione, a pena di esclusione, di tali protocolli, non ostando a questa interpretazione il tenore letterale della previsione che apparentemente si riferisce soltanto al mancato “rispetto” e non anche alla mancata accettazione dei protocolli stessi.

Precisa, infine, che il fatto che l’appalto sia sotto soglia comunitaria non incide sulla rilevanza della questione, considerato che i principi europei si applicano anche ai contratti di valore inferiore alla soglia.

Il CGA non si limita a sollevare la questione di pregiudizialità dinnanzi alla Corte di Giustizia, ma fa conoscere quale sia l’esegesi che ritiene più corretta: l’esclusione dalla gara per la mancata accettazione del patto di legalità previsto dal bando, è disposizione di ordine pubblico e di prevenzione indiretta del crimine, funzionale a preservare l’effettiva concorrenzialità delle procedure da interferenze illecite e, come tale, da ricomprendere nel catalogo delle ipotesi legittimanti gli Stati membri – ai sensi del  comma 3 del paragrafo 1 dell’art. 45 della direttiva 2004/18/CE, – a derogare al principio di tassatività delle cause di esclusione dalle gare.

Il Giudice di ultima istanza ritiene, però, doveroso, in ogni caso, richiedere alla Corte di Giustizia di verificare due quesiti:

primo: se la suddetta clausola di esclusione sia compatibile con l’art. 45 direttiva 2004/18/CE sulla tassatività delle cause di esclusione dalle gare per gli affidamenti dei contratti pubblici;

secondo: se, sempre ai sensi dell’art. 45 della direttiva 2004/18/CE, l’eventuale previsione da parte di uno Stato membro della potestà di prevedere la suddetta esclusione possa essere considerata una deroga al principio della tassatività delle cause di esclusione giustificata dall’esigenza imperativa di contrastare il fenomeno dei tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nelle procedure di affidamento di contratti pubblici.

Commento

La decisione del massimo organo di giustizia amministrativa della Sicilia è apprezzabile nella parte in cui fa conoscere il suo orientamento in questa materia. Il CGA ritiene, infatti, di dovere escludere che possa sussistere il lamentato conflitto con il principio di tassatività delle cause di esclusione, in quanto la clausola espulsiva introdotta dalla L. n. 190 avrebbe la finalità di tutelare l’effettiva concorrenzialità delle procedure di gara, preservandole da interferenze illecite. In altri termini, sarebbe dettata da esigenze imperative di interesse generale, in relazione alle quali gli Stati membri, proprio in virtù del comma 3 del paragrafo 1 dell’art. 45 della direttiva 2004/18/CE, possono derogare al principio di tassatività delle cause di esclusione.

A conferma della sua interpretazione, il CGA ricorda che la possibilità di una deroga al principio della tassatività delle clausole di esclusione è pure desumibile dall’art. 57, paragrafi 3 e 7, della direttiva 26 febbraio 2014 n. 2014/24/UE , non ancora recepita dalla Repubblica italiana, che abroga la direttiva 2004/18/CE, secondo cui gli Stati membri possono prevedere, in via eccezionale, una deroga alle esclusioni obbligatorie di cui ai paragrafi 1 e 2 per esigenze imperative connesse a un interesse generale quali la salute pubblica e la tutela dell’ambiente e, in forza di disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, e nel rispetto del diritto dell’Unione, devono specificare le condizioni per l’applicazione dell’istituto dell’esclusione obbligatoria.

L’ordinanza è meno condivisibile, però, nella decisione, con la quale, in forza di un’eccessiva prudenza interpretativa, decide di rimette comunque la questione al giudizio della Corte UE, e spiega la rilevanza delle motivazioni, in sostanza, con due ragioni:

1° dalle diverse decisioni della stessa Corte di Giustizia UE  in cui è stata ritenuta legittima la deroga da parte degli Stati membri del principio di tassatività delle cause di esclusione dalle gare, non si ricavano «indicazioni esegetiche che si attaglino esattamente alla fattispecie concreta sopra riferita» (Sez. IV del 19 maggio 2009, in causa C-538-07 (caso “Assitur”); sez. III del 13 dicembre 2012, in causa C-465/11 (caso “Forposta”), sentenze Fabricom, cit., punti 25-36; Michaniki, cit., punti 44-69, nonché del 19 maggio 2009, Assitur, C-538/07, Racc. pag. I-4219, punti 21-33, ecc);

2° la decisione, trattandosi di giudice di ultima istanza, non sarebbe più appellabile (!).

Com’è noto, l’Italia è purtroppo un Paese ad elevato grado di corruzione percepita da cittadini, imprese e analisti, e occupa nelle classifiche, europea e internazionale, sul grado di corruzione degli Stati, posizioni non certo invidiabili (Corruption Perceptions index 2012, a cura di Trasparency International). E’ un Paese il nostro dove la natura pervasiva e sistemica del fenomeno corruttivo comporta conseguenze particolarmente negative sul sistema politico, economico e sociale, denunciate a diversi livelli, causa, fra l’altro, di perdita di competitività del nostro sistema, e di una grave alterazione del funzionamento del mercato, con penalizzazioni per le imprese sane e riduzione degli investimenti esteri.

Per questi motivi, è poco comprensibile e desta non poche perplessità il solo dubitare che disposizioni con finalità di preservare gli appalti pubblici da infiltrazioni mafiose possano contrastare con il diritto europeo tutto proteso a consentire l’effettiva e più ampia partecipazione, nel rispetto della trasparenza, agli appalti pubblici.

Giuseppe Panassidi


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