Segnaliamo la lettera in data 16 ottobre 2018 del Presidente dell’ANAC, Raffaele Cantone, al Corriere della Sera sui responsabili anticorruzione delle P.A a seguito dell’inchiesta di Milena Gabanelli su «Anticorruttori ma già condannati». Il Presidente dell’Autorità sintetizza il ruolo complesso che queste figure devono esercitare e ricorda che i RPCT non hanno il compito di ufficiali di polizia né giudiziaria né di sicurezza, ma di soggetti chiamati a far rispettare l’impianto di norme in materia di prevenzione di fenomeni corruttivi: dai piani di prevenzione, ai codici etici alle norme sulla trasparenza.
“Caro direttore,
con la sua ottima inchiesta «Anticorruttori ma già condannati», ieri Milena Gabanelli ha posto un problema assai serio: il rischio che la figura di Responsabile della prevenzione della corruzione (Rpc), prevista dalla legge Severino, sia oggetto di pressioni politiche o quel ruolo sia ricoperto da dirigenti dalla condotta discutibile, sminuendo così una funzione fondamentale per contrastare il malaffare nella Pubblica amministrazione. È un fronte che da tempo vede impegnata l’Anac, che agli Rpc dedica annualmente un’apposita giornata di formazione anche per consentire di esercitare al meglio il loro ruolo.
In questa stessa prospettiva, oltre a raccomandare alle amministrazioni, nel Piano Nazionale anticorruzione, di non nominare a tale carica chi non abbia dato prova «nel tempo di comportamento integerrimo», la scorsa estate l’Anac ha anche emanato un apposito Regolamento per tutelare chi svolge correttamente il proprio dovere, rafforzando i meccanismi di tutela della sua indipendenza, attraverso uno specifico istituto previsto dalla legge e cioè la richiesta di riesame dei provvedimenti di revoca degli Rpc, quando vi è il sospetto che queste revoche siano dettate da ragioni ritorsive o discriminatorie. Per evitare equivoci, però, certamente non voluti dalla bravissima giornalista è necessario fare alcune precisazioni.
Comprendo la necessità su temi complessi di semplificare i messaggi ma scrivere che gli Rpc sono i «responsabili Anac» non è in linea con la realtà e con quanto prevede la legge. L’Autorità nazionale anticorruzione, infatti, non ha alcun potere nella loro nomina né alcun ruolo rispetto al loro operato. Gli Rpc sono dipendenti della singola amministrazione e questo incarico è conferito dai vertici della amministrazione di appartenenza, senza nessuna interlocuzione con l’Anac. Se l’Autorità viene a conoscenza in qualunque modo di comportamenti non corretti, segnala tale dato all’Amministrazione di appartenenza chiedendo anche di sostituire gli Rpc. Sono numerosi i casi in cui ciò è avvenuto e, ad onor del vero, quasi sempre le amministrazioni si sono adeguate.
Quanto all’affermazione contenuta nell’inchiesta secondo cui non si sa in quali casi gli Rpc abbiano segnalato il verificarsi di fatti di corruzione, va chiarito che non si tratta di ufficiali di polizia né giudiziaria né di sicurezza ma di soggetti chiamati a far rispettare un impianto di norme (dai piani di prevenzione, ai codici etici alle norme sulla trasparenza) che, anche secondo i migliori standard intemazionali, hanno come obiettivo di provare ad evitare che la corruzione si verifichi! Infine, mi faccia però spezzare una lancia in favore degli Rpc; i casi indicati dalla Gabanelli sono gravi e le amministrazioni che non rimuovono quelli nominati in modo inopportuno violano lo spirito della legge; verificheremo tutti i casi ed interverremo di conseguenza.
È però giusto ricordare che le amministrazioni tenute a nominare un Rpc sono almeno 15 mila. Ci possono essere certamente mele marce (e non sono mancati persino casi di arresti di Rpc) ma va evidenziato anche che sono tanti coloro che stanno provando a vincere una sfida difficilissima; quella di imporre i valori dell’anticorruzione dall’interno, senza aspettare indagini, manette ed agenti provocatori.” Raffaele Cantone