Sono incostituzionali le norme regionali che prevedono il conferimento di funzioni alle Province senza assegnare le necessarie risorse finanziarie.

Corte Costituzionale, sentenza n. 10 del 29 gennaio 2016, Pres. A. Criscuolo, Red. A. Carosi


A margine

In tempo di crisi, è risaputo, “l’unione fa la forza” e per questo motivo le Amministrazioni pubbliche dovrebbero trovare strategie e soluzioni condivise. Questo proverbio sembra, però, non essere noto allo Stato ed alle Regioni che per salvare i propri bilanci hanno, da tempo, preferito muoversi in autonomia e “scaricare” i rispettivi problemi finanziari sui livelli di governo più prossimo ai cittadini. Una sorta di principio di sussidiarietà applicato ai tagli di bilancio. Sia lo Stato che le Regioni hanno, infatti, trasferito sulle Città metropolitane, sulle Province ed infine sui Comuni le proprie difficoltà finanziarie, riducendo a partire dal 2010 le risorse destinate a finanziare le funzioni conferite agli enti locali.

In questo contesto di pericoloso “egoismo istituzionale”, per fortuna, interviene la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 10/2016 annotata, per censurare l’operato della Regione Piemonte e dichiarare costituzionalmente illegittime le norme contenute nella legge finanziaria per l’anno 2014, che recano stanziamenti di bilancio eccessivamente sottodimensionati e, pertanto, non sufficienti a garantire lo svolgimento di tali funzioni.

I giudici costituzionali lanciano, così, un chiarissimo segnale: le Province devono essere dotate di adeguate risorse per svolgere le funzioni conferite dalle Regioni.

Ma veniamo alla sentenza, per comprendere le argomentazioni formulate dalla Consulta ed analizzare i vizi d’inconstituzionalità da essa rilevati.

Il T.A.R. Piemonte promuove il giudizio innanzi alla Corte, a fronte dei ricorsi amministrativi presentati da alcune Province, le quali lamentano che le somme stanziate in bilancio dalla Regione Piemonte, nell’anno 2014, per l’esercizio di varie funzioni amministrative ad esse conferite con leggi regionali, in attuazione del sistema di decentramento amministrativo previsto dalla legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa) e dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), non sono sufficienti a garantire lo svolgimento delle suddette funzioni e neppure a coprire gli oneri relativi alle retribuzioni del personale a suo tempo trasferito dalla Regione alle Province ricorrenti.

Soffermandosi sulla progressione storica degli stanziamenti previsti dalla Regione per l’esercizio delle funzioni conferite, la Corte evidenzia che rispetto all’importo “consolidato” di 60 milioni relativo all’esercizio 2010 (e rimasto sostanzialmente invariato nel 2011), si sono avute riduzioni del 33,33% nell’esercizio 2012, del 64,89% nell’esercizio 2013, dell’82% nell’esercizio 2014 (percentuale poi rideterminata al 65,62% a seguito del censurato assestamento di bilancio).

Una dotazione finanziaria così radicalmente ridotta, non accompagnata da proposte di riorganizzazione dei servizi o da eventuale riallocazione delle funzioni a suo tempo trasferite, secondo la Corte comporta la violazione:

a) degli artt. 117 e 119 Cost. per lesione dell’autonomia finanziaria, ridondante sul principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., in quanto lesiva del principio di programmazione e di proporzionalità tra risorse assegnate e funzioni esercitate;

b) del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. per l’entità della riduzione in assenza di misure riorganizzative o riallocative di funzioni;

c) del principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost. per il pregiudizio alla fruizione dei diritti sociali causato dal mancato finanziamento dei servizi.

In particolare, la Consulta ritiene che “Quanto alle questioni sollevate in riferimento agli artt. 117, 119 e 97 Cost., l’entità della riduzione delle risorse necessarie per le funzioni conferite alle Province piemontesi si riverbera sull’autonomia di queste ultime, entrando in contrasto con detti parametri costituzionali, nella misura in cui non consente di finanziare adeguatamente le funzioni stesse. La lesione dell’autonomia finanziaria si riflette inevitabilmente sul buon andamento dell’azione amministrativa in quanto la diminuzione delle risorse in così elevata percentuale, «in assenza di correlate misure che ne possano giustificare il dimensionamento attraverso il recupero di efficienza o una riallocazione di parte delle funzioni a suo tempo conferite» (sentenza n. 188 del 2015), costituisce una menomazione della autonomia stessa, che comporta contestualmente un grave pregiudizio all’assolvimento delle funzioni attribuite in attuazione della legge n. 59 del 1997, e delle altre disposizioni statali e regionali in tema di decentramento amministrativo.

Con riferimento all’art. 3 della Costituzione i giudici affermano che: “le norme impugnate «non supera[no] il test di proporzionalità, il quale “richiede di valutare se la norma oggetto di scrutinio […] sia necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti [e se] stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi” (sentenza n. 1 del 2014)» (sentenza n. 272 del 2015). Dette norme operano, nel quadro ordinamentale dei servizi esercitati sul territorio regionale, in direzione opposta all’obiettivo di assicurare lo svolgimento delle funzioni conferite alle Province. Dunque la forte riduzione delle risorse destinate a funzioni esercitate con carattere di continuità ed in settori di notevole rilevanza sociale risulta manifestamente irragionevole proprio per l’assenza di proporzionate misure che ne possano in qualche modo giustificare il dimensionamento (su analoga questione, sentenza n. 188 del 2015)“.

La Consulta aggiunge inoltre che “l’art. 3 Cost. è stato ulteriormente violato sotto il principio dell’eguaglianza sostanziale a causa dell’evidente pregiudizio al godimento dei diritti conseguente al mancato finanziamento dei relativi servizi“.

Dopo aver evidenziato questi vizi d’inconstituzionalità, la Corte non manca d’indicare la strada per risolvere la situazione. Secondo i giudici, le Regioni devono dare applicazione alle norme contenute nell’art. 19, comma 1, del d.lgs. n. 68 del 2011, che prevedono la soppressione “di tutti i trasferimenti regionali, aventi carattere di generalità e permanenza,” e l’stituzione, in accordo con le Province, di una compartecipazione delle stesse alla tassa automobilistica regionale.

In altre parole, i giudici consigliano di riprendere la strada del federalismo fiscale per dare piena attuazione a quell’autonomia finanziaria prevista in Costituzione per gli enti locali, ma sino ad oggi mai attuata.


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