L’effettività della parità di rappresentanza di genere negli organi amministrativi va individuata nella garanzia del rispetto di una soglia quanto più approssimata alla parità, da indicarsi nel 40% di persone del sesso meno rappresentato. Diversamente si vanificherebbe la portata precettiva delle norme vigenti in materia e l’effettività dei principi in esse affermati.

TAR Lazio, Roma, sez. II bis, sentenza 21.1.1013, n. 633, Pres  E. Pugliese, Est. S. Cogliani

La sentenza

Il caso

L’Associazione Nazionale Giovani Elettrici (ANDE) aveva presentato ricorso contro il decreto del 4 giugno 2012 a mezzo del quale il Sindaco di Civitavecchia aveva nominato la giunta composta di una sola donna e sei uomini.

Il Tar Lazio ha ritenuto illegittima la nomina di una sola donna per violazione dei principi costituzionali e comunitari di pari opportunità, uguaglianza sostanziale e del generale divieto di discriminazione di genere nella partecipazione alla vita sociale, politica, economica di entrambi i generi.

La ricostruzione della fattispecia

La pronuncia in esame si segnala, tra gli altri aspetti, in quanto individua nel 40% la soglia di ragionevolezza e effettività della parità di genere non indicata in alcuna norma di legge, né statutaria. Lo statuto di Civitavecchia, all’art. 5, comma 7 si limitava a stabilire tra le finalità dell’ente quella di assicurare “condizioni di pari opportunità tra uomo e donna e quella di orientare l’attività amministrativa al fine di favorire l’uguaglianza sostanziale tra uomini e donne”.

Il Tar Lazio fa discendere il principio affermato da una elaborata ricostruzione logico-sistematica delle fonti costituzionali e delle norme internazionali e comunitarie in materia.

In  particolare il Giudice Amministrativo  pone a fondamento della sua innovativa decisione, a livello di fonti interne di rango costituzionale:

a)      l’art. 51 della Costituzione, in virtù del quale tutti i cittadini di entrambi i sessi possono accedere agli uffici pubblici e cariche elettive nel rispetto dell’uguaglianza sostanziale. Il principio predetto è stato riconosciuto di carattere cogente e precettivo con sentenza della Corte Costituzionale n. 4/2010, idoneo a conformare e indirizzare la discrezionalità amministrativa come parametro di legittimità sostanziale;

b)      l’art. 117, comma 7 della Costituzione, secondo il quale le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo alla piena parità tra uomini e donne nella vita sociale, culturale, economica e promuovono parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive, quale immediata espressione della uguaglianza sostanziale, ex art. 3 della Costituzione;

 Altrettanto esaustiva e  corposa è la ricostruzione delle fonti internazionali e comunitari richiamate, quali:

a)      il principio di parità contenuto nel Preambolo della Carta dell’ONU;

b)      la Convenzione sui diritti politici delle donne, adottata il 18 dicembre 1979 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite;

c)      la risoluzione del Comitato CEDAW del luglio 2011;

d)      la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000;

e)      gli articoli 2 e 3, comma 3 del Trattato UE e le determinazioni successive;

f)        la decisione della Commissione 19 giugno 2000, n. 2000/407/CEE e la raccomandazione Rec del 2003 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulla partecipazione equilibrata delle donne e degli uomini ai processi decisionali politici e pubblici, nonché la violazione agli obblighi internazionali assunti dall’Italia in materia.

Altro aspetto pregnante e degno di nota della sentenza in commento  riconduce alla qualificazione della normativa introdotta  dalla L. 23 novembre 2012, n. 215  come fonte non costitutiva ma semplicemente esplicativa e chiarificatrice del principio di equilibrio delle rappresentanza di genere negli organi degli enti locali.

E’ bene ricordare, inoltre, che il ricorso era stato presentato ben prima dell’introduzione della L. n. 215/2012, la quale viene richiamata nei termini suddetti.

 Le altre pronuncie in materia

 Giova ribadire che la pronuncia del Tar Lazio si segnala per i contenuti di novità appena sintetizzati. Tuttavia non mancano altre pronunce recenti sul tema.

Il riferimento  è alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 21 giugno 2012, n. 3670 che ha annullato la sentenza del TAR per la Lombardia, sez. I, con la  n. 354/2011, con la quale era stato respinto il ricorso per l’annullamento dei decreti del Presidente della Regione Lombardia di nomina come assessori della Giunta di quindici componenti di sesso maschile ed uno solo di sesso femminile.

Il Consiglio di Stato, muovendo dal presupposto che la nomina degli assessori  era subordinata, per espressa autolimitazione statutaria, alla promozione di azioni positive per il riequilibrio tra entrambi i generi, ha ritenuto sussistente la violazione di legge per contrasto della nomina di un solo assessore di genere femminile con il predetto vincolo statutario.

Nella stessa sentenza si richiama un precedente della sez. V del 27 luglio 2011, n. 4502 di conferma del Tar Campania, sezione I, 7 aprile 2011, n. 1985.

Anche il Tar Piemonte si è pronunciato in merito più recentemente con sentenza 10 gennaio 2013, n. 24.

In tale sentenza è stato affermato che nel caso in cui una norma statutaria che non preveda riserve fisse di posti per le donne, disponga che nella composizione della giunta sia assicurata, di norma, la presenza di ambo i sessi, la mancata nomina di una componente di sesso femminile, pur se in assoluto non illegittima, deve essere motivata mediante illustrazione delle ragioni di siffatta scelta, idonea a realizzare.

La differenza di approccio tra questa pronuncia e le precedenti si colgono con immediatezza, laddove il TAR Piemonte non giunge a individuare una soglia minima di presenza di un genere nella giunta discendente da fonti interne e internazionali  ma valorizza l’autonomia e la previsione statutaria dell’ente.

La legge 215/2012 e l’obbligo di adeguamento dello statuto

La legge 23 novembre 2012, n. 215, nel dettare disposizioni per promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali ha, tra l’altro modificato l’art. 6, comma 3 del D.Lgs n. 267/2000 prevedendo espressamente che “gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125, e per garantire la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende ed istituzioni da essi dipendenti”.

Alla luce del recente intervento normativo del legislatore nazionale e del quadro giurisprudenziale finora delineatosi è interessante analizzare quali siano i principi ai quali conformarsi e i margini di autonomia degli enti  nell’adeguare gli statuti.

Si profilano, a tal proposito, due approcci e opzioni diverse.

Se si valorizzano il testo della disposizione citata, la natura costitutiva e non meramente esplicativa della L. n. 215/2012, nonché il riconoscimento di un’ampia autonomia statutaria, riconducibile alla tesi interpretativa del Tar Piemonte, si potrebbe sostenere che l’opzione statutaria sia piuttosto estesa.

In altri termini, muovendo dai predetti presupposti la scelta statutaria potrebbe estendersi dal prevedere una rappresentanza senza quote fisse fino a stabilire percentuali minime di presenza di genere nella giunta e negli organi collegiali non elettivi.

A sostegno di questa conclusione militano, inoltre,  le seguenti circostanze:

a)      altri disegni di legge, quali il n. 3528/2012 avevano previsto quote minime di rappresentanza. L’opzione della L. n. 215/2012, invece, sembra andare nella direzione di valorizzare l’autonomia statutaria degli enti locali proprio perché non ha prescritto quote minime per la nomina della giunta e degli organi collegiali non elettivi;

b)      la L. n. 215/2012 ha espressamente stabilito quote minime in sede di modifica degli artt. 71 del D.Lgs n. 267/2000, laddove ha prescritto che nelle liste dei candidati nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superire a due terzi. In sede di modifica dell’art. 57 del D.lgs n. 165/2001 in materia di composizione delle commissioni di concorso ha confermato la quota di un terzo riservato a componenti di sesso femminile. Tale conferma costituisce un indice ulteriore secondo il quale dove il legislatore della L. n. 215 ha voluto ha differenziato la disciplina. In altri termini mentre per la composizione delle liste di candidati e delle commissioni di concorso è stata espressamente prevista una quota di riserva a favore di uno dei due sessi, per quanto concerne la composizione della giunta e degli organi collegiali non elettivi la legge demanda allo statuto dettare norme per garantire la presenza in essi di entrambi i sessi.

Se, invece, si aderisce all’interpretazione che fa capo alle argomentazioni contenute nella sentenza del Tar Lazio n. 633/2013 e del Consiglio di Stato n. 3670/2012 si perviene a tutt’altra conclusione, ossia alla illegittimità di norme statutarie che dovessero prevedere un solo componente di genere femminile o maschile.

Giova osservare che alcuni primi adeguamenti agli statuti hanno, di fatto, riprodotto la formulazione letterale dell’art. 6, comma 3 del D.Lgs n. 267/2000, come modificato dalla L. n. 215/2012, ossia che è garantita la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organo collegiali non elettivi del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende e istituzioni da essi dipendenti.

La scelta, in sostanza, fa propria l’interpretazione secondo la quale non sarebbe obbligatorio stabilire una quota minima di un genere rispetto all’altro.

Tuttavia va evidenziato che la mera riproduzione della formulazione letterale dell’art. 6 citato non sembra rispondere al preciso mandato che la legge affida allo statuto, ossia stabilire norme  per  garantire la presenza di entrambi i sessi negli organi.

In altri termini lo statuto è chiamato a dettare una disciplina positiva per rispondere alle finalità perseguite dalla legge.

In conclusione, se da una parte la ricostruzione interpretativa del Tar Lazio, pur di pregio e rigore logico-sistematico, appare  addirittura “creativa”, laddove si spinge fino a indicare la riserva del 40% a uno dei due sessi ai fini della composizione delle giunte, non riscontrabile nella legge; dall’altra l’opzione minimalista di non indicare alcuna riserva valorizza al massimo l’autonomia statutaria ma finisce per tradire il principio e la finalità di promuovere il riequilibrio delle rappresentanze di genere negli organi degli enti locali alle quali la L. n. 215 è informata in stretta connessione con le fonti costituzionali interne e internazionali in materia.

Appare, pertanto, preferibile indicare in sede di adeguamento statutario una percentuale che può variare da un terzo, in analogia con le scelte del legislatore in materia di composizione delle liste di candidati e di composizione delle commissioni di concorso, fino al 50%.

In tal modo sarebbe assicurata la finalità di effettivo e non meramente nominale riequilibrio delle rappresentanze di genere negli organi senza svilire l’autonomia statutaria che la L. n. 215/2012 sembra preservare agli enti locali.

 

Antonello Accadia[i]

[i] Segretario Generale del Comune di Bassano del Grappa.

 

 

 

 

 

 

 


Stampa articolo