Una pensilina fissa al suolo di mq. 280 di superficie non è una pertinenza e, se realizzata in assenza di concessione edilizia, rende legittima l’ordinanza del Sindaco di demolizione.

 Cons. Stato, sez. IV, sent. 2 febbraio 2012, n. 615, Pres.G.Giaccardi, Est. O.Forlenza

La sentenza

 Il caso

Per migliorare la funzionalità di un complesso commerciale e per garantire una protezione dagli agenti atmosferici alle operazioni di scarico e carico di merci, una società ha realizzato, su un immobile di proprietà, una pensilina costruita con sostegni fissi al suolo anziché costituita da elementi telescopici, come era invece previsto dall’autorizzazione edilizia.

Di conseguenza il Sindaco ha ingiunto la demolizione della pensilina stessa. La società proprietaria ha impugnato avanti il TAR della Toscana il provvedimento ritenendolo illegittimo poichè la pensilina è da considerarsi una “struttura pertinenziale” e non una “struttura permanente” e, quindi, per la sua realizzazione non doveva essere richiesto alcun permesso a costruire.

Il TAR ha respinto il ricorso e la sentenza è stata impugnata avanti il Consiglio di Stato il quale ha confermato la sentenza di primo grado sulla base di propri precedenti (Cons. Stato, sez. IV, 25 maggio 2011, n. 3134 e 31 marzo 2009, n. 1998).

La sentenza

Il Consiglio di Stato, nella sentenza pronunciata, osserva che la tettoia in questione caratterizza una “nuova costruzione” perché è fissa ed ancorata al suolo: quindi, è un’opera permanente, e, per di più, è di dimensioni notevoli (nel caso di specie 180 mq. di superficie) e tali da trasformare in modo durevole e rilevante il territorio.

Di conseguenza questo manufatto non può essere classificato come “pertinenza” della costruzione principale in quanto è stabilmente collegata al suolo e rappresenta, di fatto, un ampliamento stabile dell’immobile cui inerisce, è, quindi, una “nuova costruzione”.

Viene sottolineato, inoltre, che la giurisprudenza amministrativa ha sempre distinto la nozione di “pertinenza” rispetto quella civilistica ex art. 817 cod. civ., perché è caratterizzata “sia da un oggettivo nesso funzionale e strumentale tra cosa accessoria e principale, cioè da un nesso che non consenta, per natura e struttura dell’accessorio, altro che la destinazione della cosa ad un uso pertinenziale durevole; sia dalle dimensioni ridotte e modeste del manufatto rispetto alla cosa cui esso inerisce, per cui soggiace a concessione edilizia la realizzazione di un’opera di rilevanti dimensioni, che modifica l’assetto del territorio e che occupa aree e volumi diversi rispetto alla “res principalis”, indipendentemente dal vincolo di servizio o d’ornamento nei riguardi di essa”.

 Il quadro normativo

Il quadro normativo nel quale si pone la tematica qui in esame è attualmente delineato dal DPR 6 giugno 2001, n. 380 che, dopo aver definito gli interventi edilizi (art. 3), prevede una graduazione di provvedimenti amministrativi, necessari per poter legittimamente edificare, in relazione alla diversa tipologia di interventi edilizi che si intendono approntare.

L’art. 6 del DPR 380/2001, difatti, indica quali sono gli interventi edilizi che possono essere eseguiti senza alcun titolo abitativo (fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici ed il rispetto della normativa di settore), ma solo previa comunicazione dell’inizio dei lavori. Tali fattispecie sono peraltro estensibili anche ad altre che possono essere previste dalla normativa regionale. La mancata comunicazione dell’inizio dei lavori comporta solo una sanzione pecuniaria.

Il successivo art. 10 sottopone, invece, al permesso di costruire:

– gli interventi di nuova costruzione;

– gli interventi di ristrutturazione urbanistica;

– gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal preceduto per modifiche volumetriche della sagoma o della superficie, ecc..

L’art. 22, a sua volta, prevede che sono realizzabili mediante DIA (ora SCIA ex art. 19, l. 241/1990) gli interventi che non siano riconducibili a quelli previsti nel precedente art. 6 (interventi liberi per i quali non è richiesta alcuna formalità se non la previa “comunicazione”) o quelli indicati nel precedente art. 10 (che sono subordinati al permesso di costruire).

La SCIA si applica al restauro ed al risanamento conservativo; alla ristrutturazione edilizia che comporti anche una ricostruzione, ma con la stessa volumetria e sagoma; alle variante al permesso di costruire per opere che non incidano su parametri urbanistici e volumetrie e non alterino la sagoma dell’edificio.

Nel caso di mancata presentazione della SCIA si applica la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 37 del DPR 380/2001, ma non la demolizione che, invece, è prevista per l’omesso permesso di costruire.

Il problema che ci si pone, quindi, è come debba essere qualificata la costruzione di una tettoia e se essa è riconducibile all’art. 3, all’art. 10 o all’art. 22 del DPR 380/2001 con le relative diversificate conseguenze.

E’ da sottolineare che la normativa statale in vigore non classifica espressamente le “tettoie” come invertenti edilizi per i quali necessita la SCIA o il permesso a costruire od altro, lasciando quindi spazio ad un ambito discrezionale all’interpretazione delle norme.

D’altra parte neppure la normativa regionale (che ai sensi dell’art. 117, comma 2 Cost., è concorrente con quella statale) si è occupata di “tettoie” se non in ipotesi particolari, quali l’individuazione di impianti solari (art. 7, l.r. Molise, 30/2009) o la costruzione di tettoie aventi copertura con pergolato a maglie aperte (art. 5, l.r. Molise, 25/2011; art. 5, l.r. Veneto, 14/2009), oppure il recupero di tettoie nel caso di recupero di edifici non più funzionali all’esercizio dell’attività agricole (art. 21, l.r. Emilia-Romagna, 20/2000).

Più in generale la l.r. Friuli-Venezia Giulia 19/2009 (art. 16, lett. j)) indica, tra le attività libere, la “realizzazione di tettoie ….. di aree pertinenziali di edifici ….. anche destinate a parcheggi, che comportino un’occupazione complessiva di 20 metri quadrati rispettivamente di superficie coperta o di superficie utile per unità immobiliare”.

L’interpretazione giurisprudenziale

La giurisprudenza amministrativa si è occupata più volte di questa tematica fissando alcuni criteri interpretativi, che tuttavia non sembrano limitativi della discrezionalità dell’organo giudicante.

I parametri di giudizio sono:

– la dimensione del manufatto;

– il carattere di stabilità dello stesso;

– se il manufatto rappresenta “un’opera nuova”;

– se la costruzione del manufatto comporta “una trasformazione permanente del territorio”.

Così, a titolo esemplificativo:

a) Il TAR Abruzzo, (Pescara, sez. I, 29 ottobre 2009, n. 645) ha ritenuto che è di “medie dimensioni” una tettoia di mt. 7,5 X 4,70, costruita a servizio del fabbricato ed appoggiata alla parete esterna dello stesso. Tale manufatto non è stato considerato come “nuova costruzione” o come “ristrutturazione edilizia” e, di conseguenza, non necessita di permesso di costruire, bensì di denuncia di inizio attività (ora SCIA). Ciò anche se la tettoia ha modificato la sagoma dell’edificio e trasformato il muro di cinta in un corpo aggiunto. Secondo il TAR Calabria (Catanzaro, sez. II, sent. 7 marzo 2008, n. 1384) non assoggettabile al permesso di costruire, ma a SCIA il rifacimento di una tettoia di copertura di un balcone e del piccolo vano cucina munita di perline e tegole, in sostituzione della precedente, ma con una difformità di lieve entità rispetto alla planimetria allegata a corredo della SCIA (aggiunta di due file di tegole) che, però, non comportano una modifica del progetto del fabbricato. TAR Campania (Napoli, sez. II, sent. 2 dicembre 2009, n. 8320) ha deciso che non è soggetta a permesso di costruire l’installazione di una tettoia apposta a parti di preesistenti edifici come struttura necessaria di protezione o di riparo di spazi liberi, ma solo se la sua conformazione e le sue ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la sua finalità di semplice decoro o arredo o di riparo e protezione della parte dell’immobile cui accede.

b) Secondo il TAR Campania (Napoli, sez. VI, 8 febbraio 2007, n. 961) una tettoia di legno e lamiera coibentata con tegole, di mt. 4,00, per un’altezza di m. 2,30, costituita da 2 pilastri in legno poggiati al suolo e cinque travi in legno fissate con fischer ad una parere del preesistente fabbricato, non può essere considerata come un intervento manutentivo straordinario e deve essere soggetta a concessione edilizia (ora permesso a costruire), pur avendo carattere pertinenziale rispetto all’immobile al quale accede, perché incide sull’assetto edilizio preesistente.

Difatti la manutenzione straordinaria si fonda non solo sul presupposto che i lavori progettati siano preordinati alla mera rinnovazione o sostituzione di parti dell’edificio o alla realizzazione di impianti igienico-sanitari, ma anche su quello che i volumi e le superfici preesistenti non vengano alterati o non siano destinati ad altro uso (TAR Puglia, Bari, 9 luglio 2003, n. 3573).

c) Il TAR Lombardia (sez. II, 4 dicembre 2007, n. 6544) ha ritenuto che una tettoia, in adiacenza (e non in aderenza) al muro di un edificio e sorretta da paletti in ferro di ridotte dimensioni, utilizzata per il ricovero di autoveicoli e di materiali aziendali, avendo carattere di stabilità in quanto realizzata in aderenza ad un edificio ed essendo idonea ad una autonoma utilizzazione, non può essere considerata una pertinenza, ma costituisce un’opera esterna per la cui realizzazione occorre la concessione edilizia. Si tratta, infatti, di un’opera nuova che attua una trasformazione permanente del territorio.

d) Il TAR Lazio (Roma, sez. I, quater, sent. 16 maggio 2007, n. 4458) ha ritenuto legittimo l’ordine di demolizione di una veranda al piano giardino che, a prescindere dalla natura dei materiali usati, risulti infissa al suolo, diretta a soddisfare esigenze stabili e con caratteristiche tali da costituire un ampliamento dell’immobile.

e) Così anche la chiusura di un terrazzo di 12 mq. circa (TAR Lazio, sent. 23 gennaio 2007, n. 11679) comporta la realizzazione di un nuovo vano abitabile e, quindi, un ampliamento del fabbricato esistente. Come tale è soggetto al permesso di costruire ex art. 3 e 10 DPR 380/2001, in quanto attua trasformazione del territorio con modifica perdurante dello stato dei luoghi, a prescindere dalla amovibilità o meno delle opere e dalla precarietà strutturale del manufatto, se non si traduce in un uso per fini contingenti o specifici (v. anche TAR Campania, Napoli, sez. IV, sent. 8 giugno 2007, n. 6038, che riguarda la chiusura di un balcone con realizzazione di veranda in alluminio e vetro di circa mt. 3,50 X 1,50 X 3 di altezza).

Non vi è quindi molta chiarezza circa l’attuazione dei canoni ermeneutici fissati dalla giurisprudenza, soprattutto in ordine alla “dimensione” del manufatto e come esso possa “trasformare” in modo permanente il territorio in generale. Sarebbe auspicabile un intervento normativo, almeno a livello regolamentare, da parte dello Stato e/o delle regioni, per meglio definire tali criteri in modo da ridurre la discrezionalità interpretativa si essi

E’ poi da considerare che in materia di diritto edilizio i provvedimenti autorizzatori, che sono espansivi della sfera giuridica dei destinatari, vengono adottati con clausola di salvaguardia per i diritti dei terzi, i quali possono adire l’Autorità giudiziaria per tutelare i propri diritti ritenuti lesi anche dalla costruzione di una tettoia altrui. Di conseguenza una maggior limitazione della discrezionalità interpretativa si potrebbe tradurre in un minor contenzioso amministrativo.

 

Alberto Zucchetti – avvocato in Milano

 


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