L’Ordinamento impone ai comuni l’effettuazione della raccolta dei rifiuti urbani con metodo differenziato, sia per avviare a riciclo la più parte dei materiali sia per attenuare l’impatto finanziario/ambientale dei conferimenti in discarica.
L’Ordinamento si concreta, ai fini qui rilevanti:
– nel diritto comunitario, che, attraverso la direttiva del Consiglio n. 91/156/CEE del 18 marzo 1991, impone agli Stati membri l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie al recupero o allo smaltimento dei rifiuti senza pericoli per la salute e senza il ricorso a procedimenti/metodi pregiudizievoli per l’ambiente, vietando nel contempo l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato; la direttiva, inoltre, prescrive l’individuazione delle autorità competenti in materia, incaricate dell’elaborazione di piani di gestione dei rifiuti, preordinati ad individuare tipologie, quantità e origini dei rifiuti da recuperare o da smaltire;
– nella legislazione statale (prima “incarnata” dal c.d. “Decreto Ronchi” – D. Lgs. n. 22/97 e poi configurata dal c.d. “Codice dell’Ambiente” – D. Lgs. n. 152/2006 e s.m.), che disciplina in modo organico e sistematico la gestione dei rifiuti solidi urbani; la legislazione nazionale, in particolare, distribuisce le competenze in materia tra Stato, Regioni, Autonomie Locali, oltre a strutturare i sistemi di pianificazione; inoltre, spinge fortemente nella direzione di favorire le operazioni di recupero, riutilizzo e riciclo dei materiali, imponendo in tal modo alle amministrazioni locali di ridurre la quantità di rifiuti, in vista della progressiva contrazione delle discariche, “auspicate” come strumenti ordinari di smaltimento esclusivamente per i rifiuti inerti e per quelli residuati dalle operazioni di riciclaggio e di recupero;
– nelle legislazioni regionali, di regolazione approfondita delle attività di gestione dei rifiuti, con precipuo riferimento alla disciplina della raccolta differenziata, determinando soglie di virtuosità, in termini percentuali e progressivi di differenziazione, comunque rispettose delle “macro/soglie” statali;
– nelle prerogative provinciali, di cura dell’organizzazione delle attività di raccolta differenziata dei rifiuti urbani e assimilati, sulla base di ambiti territoriali ottimali;
– nei regolamenti comunali, preposti a stabilire le modalità del conferimento, della raccolta differenziata e del trasporto dei rifiuti urbani, al fine di garantire una distinta gestione delle diverse frazioni di rifiuti e promuovere il recupero degli stessi.
L’obbligo di differenziazione si connota, quindi, per la sua “dinamicità”, anche a fronte della peculiare strutturazione dei differenti ambiti territoriali.
Tale dinamicità può essere declinata, come preannunciato in sede di “riparto delle competenze”, nei seguenti termini:
– i risultati attesi, integrati dai valori percentuali di differenziazione (sul totale dei rifiuti raccolti), possono variare da un luogo all’altro, in ragione dei livelli di sviluppo del tessuto socio/economico retrostante;
– i valori percentuali di differenziazione vanno progressivamente incrementati, tempo per tempo.
Appare, quindi, di tutta evidenza come gli assetti in corso di delineazione, poggino sulla “presunzione” di rilevante “valore aggiunto” in capo alla differenziazione, che:
– mira al riutilizzo dei prodotti di scarto di qualsiasi presidio, soprattutto abitativo, onde produrre nuovi materiali, ottenendo diversi vantaggi, sia a livello economico che ecologico: grazie al riciclaggio, conseguente alla raccolta differenziata, è, infatti, possibile conseguire riduzione dei rifiuti da smaltire, produzione di energie alternative, attenuazione del ricorso a materie prime;
– non comporta, sul medio periodo, l’incremento dei costi di raccolta dei rifiuti, nonostante l’innesto di tecniche e sofisticazioni sconosciute ai tempi del caro, vecchio “cassonetto”;
– agevola una complessiva riorganizzazione dei servizi di igiene urbana, fondata sulla gestione dell’intero processo dei rifiuti, in grado di assicurare il massimo recupero di risorse con il minor impatto ambientale;
– condiziona positivamente l’intero sistema di gestione dei rifiuti, garantendo: a) la valorizzazione delle componenti merceologiche dei rifiuti sin dalla fase della raccolta; b) la riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti da avviare allo smaltimento indifferenziato, individuando tecnologie più adatte di gestione e minimizzando l’impatto ambientale dei processi di trattamento e smaltimento; c) il recupero di materiali e di energia nella fase del trattamento finale; d) la promozione di comportamenti più corretti da parte dei cittadini, con conseguenti significativi cambiamenti nelle abitudini di consumo, a beneficio di politiche di prevenzione e di riduzione.
Siffatto riconoscimento di “valore aggiunto”, fa si che l’attuazione di un’efficiente raccolta differenziata costituisca un puntuale, razionale, cogente, non derogabile e coerente obbligo di legge ricadente sulle amministrazioni comunali, oltre che un’evidente esigenza sociale ed ambientale e uno dei due perni (essendo l’altro lo smaltimento/trattamento dei rifiuti) sui quali si fonda il ciclo integrato dei rifiuti.
Le amministrazioni comunali devono, quindi, promuovere e stimolare la raccolta differenziata dei rifiuti, vigilando accuratamente sull’effettuazione della stessa in maniera completa ed adeguata; tale vigilanza va esercitata precipuamente dotandosi di efficaci strumenti contrattuali, nei riguardi del gestore del servizio, per lo più sanzionatori (contestazioni, penali, escussioni di cauzione, sospensioni/decurtazioni sui pagamenti, risoluzione, azioni risarcitorie), senza tuttavia precludersi quelli premiali (ad esempio, incrementi di corrispettivo, in caso di superamento delle percentuali attese di differenziazione).
A fronte di tutto ciò, la violazione dell’obbligo di raccolta differenziata è sanzionata dall’ordinamento giuscontabile, attraverso la delineazione di apposita fattispecie di danno patrimoniale, provvista di n. 2 componenti: 1) il danno emergente e 2) il lucro cessante.
Quanto al danno emergente, i criteri di computo sono dati dai maggiori costi sostenuti per il conferimento, presso gli impianti di compostaggio, di materiali, resi inutilizzabili, che avrebbero potuto essere proficuamente destinati alla raccolta differenziata. In tale ambito, i maggiori costi vanno dalle spese di trasporto, particolarmente significative, stante la penuria di “discariche di prossimità”, sino alle operazioni tecniche di accoglimento nei siti e lavorazione dei rifiuti eccedentari.
Quanto al lucro cessante, occorre riferirsi ai mancati introiti, a titolo di corrispettivo, provocati dalla latenza di vendita di materiali (eventualmente) raccolti in maniera differenziata. La quantificazione numerica del mancato guadagno deriva dalla comparazione tra reddito minimo potenzialmente realizzabile in base alla legge e introiti effettivamente incamerati grazie al conferimento di materiali differenziati presso i consorzi di filiera produttiva dei materiali stessi, tenendo conto di ogni singola frazione merceologica.
Un ulteriore voce del lucro cessante potrebbe essere rappresentata dalla perdita di fondi strutturali comunitari, deputati alla promozione dell’affinamento delle tecniche di gestione dei rifiuti, causata, per l’appunto, dall’inadeguatezza delle metodiche di differenziazione.
La dimensione dell’imputazione soggettiva del danno così configurato, coinvolge organi politici, struttura tecnica comunale e gestore del servizio.
Quanto agli organi politici, intesi come Sindaco e Assessore delegato alla partita, la loro responsabilità è ascrivibile ad un ambito di carenti esame, valutazione e deliberazione in materia di raccolta differenziata dei rifiuti sul territorio comunale. Più specificatamente, il Sindaco “pecca”, in quanto sovrintende al corretto funzionamento degli uffici e dei servizi comunali, in qualità di supremo responsabile dell’amministrazione del comune, ed è, quindi, titolare del dovere giuridico d’intervento in caso di disfunzioni e manchevolezze, da ottemperare attraverso l’attivazione delle opportune misure correttive, dirette al rispristino del buon andamento dell’operato amministrativo. Analoga posizione è configurabile in capo all’Assessore delegato, cui spettano specifici poteri di sovrintendenza in vista del corretto funzionamento dei servizi e degli uffici cui è stato appositamente e formalmente preposto; in altri termini, incombe anche su costui un obbligo giuridico determinato e puntuale di assumere e intraprendere tutte le iniziative necessarie al risollevamento della situazione o, quanto meno, a sollecitarlo, pungolarlo, facendo pressione in tal senso sulla competente struttura tecnica. Ed a nulla vale invocare, a scanso di responsabilità, la c.d. “scriminante politica”, intesa quale incompetenza alla ponderazione di strumenti prettamente tecnici, dato che è necessario – come minimo (!) – contestarne gli aspetti problematici, reagendo congruamente agli stessi.
Quanto alla competente dirigenza tecnica, risulta imprescindibile che la stessa si attrezzi con incisività al governo della situazione, in vista della completa e concreta attuazione del sistema di raccolta differenziata, risultando soltanto parzialmente soddisfacente la mera esposizione o rappresentazione dello sfascio esistente ai vertici politici. Difatti, le carenze di organico, le carenze d’organizzazione sistemica ampia e sovracomunale, la supposta arretratezza culturale dei luoghi, non troppo sensibili alla differenziazione nel conferimento dei rifiuti (ma forse non adeguatamente sensibilizzati dalle competenti autorità!), l’inefficacia dei vigenti moduli contrattuali, tutt’al più attenuano i valori di responsabilità amministrativo – contabile (di circa il 30%), senza tuttavia pervenire alla soglia dell’azzeramento.
Analizzando la posizione di politici e dirigenti da altro angolo visuale, tutti costoro, per sperare di “giocarsela” in sede di giudizio contabile, dovrebbero porre in essere, in corrispondenza dei ruoli rivestiti, i seguenti comportamenti “fattizi”, di presidio e sollecitazione della raccolta differenziata:
– effettuazione di campagne informative e formative della cittadinanza e degli utenti;
– previsione ed attivazione di un serio apparato di controlli e conseguenti sanzioni, nei confronti degli utenti;
– realizzazione di un “salto” di qualità nelle tecniche di conferimento dei rifiuti riciclabili, passando dalle obsolete ed incustodite “campane” di raccolta del vetro e della plastica, alla raccolta “porta a porta”, senza escludere la videosorveglianza delle stazioni ecologiche non presidiate per 24 ore al giorno;
– severa punizione contrattuale degli inadempimenti del gestore.
Quanto al concessionario/gestore del servizio, lo stesso è parimenti responsabile, in chiave giuscontabile, delle inefficienze in analisi e del mancato raggiungimento di apprezzabili risultati rispetto agli obiettivi prefissati dall’ordinamento. Questi è, difatti, tenuto a garantire il servizio pubblico in questione, conformemente a quanto previsto nella disciplina imperativa di rango primario e secondario, che integra autoritativamente e permea le (eventualmente) blande previsioni del contratto di servizio, ai sensi dell’art. 41 Cost. e degli artt. 1339 e 1419, comma 2 del codice civile, stante l’imprescindibile esigenza del presidio di interessi pubblici generali, sicuramente prevalenti su quelli ascrivibili all’autonomia negoziale. Dal punto di vista dogmatico, la giurisdizione contabile sulle sue articolazioni più significative (amministratori e dirigenti) si giustifica, a fronte dell’incardinamento nell’organizzazione istituzionale e funzionale della pubblica amministrazione e del connesso esercizio di funzioni “latu sensu” amministrative, della sussistenza – quindi – di un rapporto di servizio con l’ente pubblico titolare della funzione. In definitiva, il gestore riveste la natura di organo indiretto della p.a., recante un contributo immediato e diretto allo sviamento dei fini tipici connaturali allo stanziamento e all’erogazione di risorse pubbliche*.
Roberto Maria Carbonara,
segretario generale del comune di Segrate
*Il presente contributo è ispirato dalle vicissitudini dell’ “emergenza rifiuti” in Campania, per come analizzate e sanzionate dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione Campania, con le sentenze nn. 1626 del 19 ottobre 2012 e 1041 del 10 giugno 2011. Il riferimento al rischio di decadenza dei fondi comunitari è tratto dalla sentenza 19 aprile 2013 del Tribunale dell’Unione Europea, prima sezione, con la quale si è validata la decisione della Commissione di bloccare pagamenti intermedi a sostegno della rifunzionalizzazione del sistema di gestione dei rifiuti nella Regione Campania.