Cosa ne pensa la Corte costituzionale

La Corte costituzionale, con la sentenza del 29 ottobre 2024 n.203, depositata lo scorso 17 dicembre, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità sollevate dal Tribunale di Taranto sull’art.2 del d.lgs. n.159 del 2011 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n.136) in relazione alla misura di prevenzione disposta dal Questore nei confronti di persona ritenuta pericolosa per la sicurezza pubblica, nella parte in cui prevede la titolarità del questore ad adottare la misura di prevenzione del foglio di via obbligatorio e, in subordine e riferimento al solo art.3 Cost., non richiede un procedimento di convalida da parte del giudice ordinario.

Il c.d. ‘foglio di via obbligatorio’, che nel precedente enunciato normativo si accompagnava, quale intimazione a lasciare il territorio del comune o della provincia con divieto di ritorno, al rimpatrio nel comune di residenza o dimora, non è stato ritenuto in contrasto con gli artt.3 e 13 della Costituzione in quanto “non restringe la libertà personale dell’interessato, ma semplicemente limita la sua libertà di circolazione”.

Va premesso che il ‘foglio di via’ è una misura di carattere amministrativo disposta nei confronti di quei soggetti che, secondo alcuni parametri, sono da ritenersi socialmente pericolosi e che, non avendo un legame con uno specifico territorio dove sono stati sorpresi a delinquere, sono diffidati a lasciarlo con l’obbligo di non farvi rientro per un periodo non superiore a tre anni.

Con le modifiche all’art.2 del d.lgs. n.159 del 2011, introdotte dalla legge 24 novembre 2023 n.168, oltre all’aumento della durata massima del divieto di rientro nei comuni dai quali si è stati allontanati e all’inasprimento della sanzione, che diviene penale, nei casi di violazione del provvedimento di allontanamento, è stata eliminata l’intimazione a presentarsi all’Autorità di P.S. del luogo ove risiedono o dimorano.

In tal modo sono state superate le questioni sulla più o meno necessaria coesistenza del rimpatrio e del divieto di ritorno ai fini della legittimità del provvedimento, che avevano impegnato la giurisprudenza della Suprema Corte nell’ultimo decennio.

Il provvedimento in esame appartiene alla categoria degli ordini, con i quali la Pubblica Amministrazione (in questo caso l’Amministrazione della Pubblica Sicurezza), in forza della potestà di supremazia generale, può far sorgere, a carico di qualsiasi soggetto, un dovere di condotta positivo (comando) o negativo (divieto) o addirittura avente, come nel caso in esame, entrambe le caratteristiche. Questa classificazione di ordini, fondati sulla supremazia generale, è comune in materia di pubblica sicurezza, e può consistere sia nella potestà di emanare atti generali, diretti a destinatari indeterminati (es. le ordinanze), sia in atti amministrativi indirizzati a uno o più soggetti determinati, come nel caso in esame.

Tali provvedimenti, che incidono sulla libertà individuale ed in particolare sulla libertà di circolazione, conseguono all’adozione di una scelta discrezionale dell’autorità dotata della relativa potestà; dalla loro inosservanza possono conseguire (e generalmente conseguono) anche sanzioni penali.

I presupposti per l’emissione del provvedimento sono l’appartenenza della persona alle categorie di cui all’art.1 d.lgs. n.159 del 2011, la pericolosità attuale della persona per la sicurezza pubblica, desunta sulla base di una valutazione da operarsi secondo i parametri di massima informati all’applicazione della sorveglianza speciale di P.S. e la presenza della persona fuori dal luogo di residenza, inteso non come il luogo necessariamente di residenza anagrafica ma come il luogo di residenza effettiva, nel senso di dimora abituale.

Il caso concreto, sottoposto all’attenzione dei giudici di prime cure, ha riguardato una persona rinviata a giudizio per avere fatto più volte ritorno nel Comune di Taranto, dal quale era stato allontanato mediante ‘foglio di via’, motivato dal questore sulla base della sua pericolosità sociale. Qui il giudice di merito, ancor prima di pronunciarsi sulla responsabilità penale dell’imputato per la violazione delle prescrizioni imposte con la misura, si è interrogato sulla legittimità costituzionale dell’art.2 del codice antimafia, che attribuisce al questore il potere di disporre la misura senza prevedere la sua necessaria convalida da parte di un giudice.

La Corte costituzionale ha anzitutto ricordato che una restrizione della libertà personale si verifica quando la persona subisce una coazione nel proprio corpo, come nel caso di arresto o di detenzione, o ancora nel caso di un trattamento medico coattivo. Si ha, inoltre, restrizione della libertà personale quando il soggetto venga sottoposto a misure che presuppongano un giudizio di “degradazione giuridica” e impongano obblighi di intensità tale da poter essere equiparati all’assoggettamento della persona all’altrui potere, come nel caso dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria che può accompagnare, ad esempio, la misura del c.d. daspo (divieto di accesso nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive) di cui alla legge n.401 del 1989.

In numerose decisioni a partire dal 1956, la Corte ha ritenuto che quest’ultima situazione si verifichi in conseguenza di misure di prevenzione che impongano all’interessato obblighi di rimanere in un luogo determinato (come, ad esempio, l’obbligo di stare a casa durante le ore notturne), ovvero di recarsi periodicamente presso un ufficio di polizia (ad esempio, durante l’orario di svolgimento di manifestazioni sportive dalle quali l’interessato sia stato interdetto). Viceversa, la Corte ha sinora sempre escluso che il semplice divieto di recarsi in un luogo determinato ponga in causa le garanzie dell’art.13 Cost.. In questo caso, infatti, la persona resta libera di andare in qualsiasi altro luogo desideri, tranne quello dal quale è interdetta.

Con la sentenza in esame, la Consulta ha ritenuto di dover confermare il proprio consolidato orientamento sui criteri che attraggono una misura nella sfera dell’art.13 Cost. anziché dell’art.16 Cost.: “il tendenziale rispetto dei propri precedenti – unitamente alla coerenza dell’interpretazione con il testo delle norme interpretate e alla persuasività delle motivazioni – è, per le giurisdizioni superiori, condizione essenziale dell’autorevolezza delle loro decisioni, assicurando che i criteri di giudizio utilizzati restino almeno relativamente stabili nel tempo, e non mutino costantemente in relazione alla variabile composizione della corte la propria costante giurisprudenza”.

Ne beneficia l’esercizio stesso del potere legislativo, che viene posto nelle condizioni di prevedere ragionevolmente se le proprie scelte potranno essere ritenute conformi alla Costituzione. E in effetti, il legislatore si è da tempo orientato nel configurare la disciplina delle misure di prevenzione e dei cosiddetti ‘daspo’ sulla base del differente piano offerto dalle limitazioni alla libertà di circolazione, tutelata dall’art.16 Cost., rispetto alle restrizioni della libertà personale, tutelata dall’art.13 Cost..

“Entrambe le disposizioni costituzionali tutelano il diritto della persona di muoversi liberamente nello spazio, ed entrambe stabiliscono una riserva di legge a tutela di tale libertà. Allorché però sia in gioco la libertà personale (e non la mera libertà di circolazione), l’art.13 stabilisce – altresì – una riserva di giurisdizione: ogni misura che incide su tale libertà deve essere disposta dall’autorità giudiziaria, ovvero – nei casi di necessità e urgenza indicati tassativamente dalla legge – dall’autorità di pubblica sicurezza, salva la necessità della convalida da parte dell’autorità giudiziaria entro le successive novantasei ore”.

L’effettivo discrimine per l’individuazione delle misure che incidono sulla libertà personale è stato tracciato dalla Consulta sulla base di due criteri alternativi

a) l’idoneità della misura a produrre una “coazione sul corpo” della persona, ovvero

b) la presenza di obblighi che, pur non comportando alcuna coazione sul corpo,

b1 – determinino una “degradazione giuridica” del destinatario, e

b2 – siano di tale intensità da poter essere equiparati a un vero e proprio assoggettamento della persona all’altrui potere.

Pur riconoscendo che – come osservato dal Tribunale di Taranto – gli effetti del foglio di via possono risultare assai gravosi per il destinatario, la Corte ha evidenziato come l’ordinamento italiano disponga di strumenti efficaci per garantire una tutela effettiva ai diritti fondamentali del destinatario contro i pericoli di uso arbitrario di queste misure, ad esempio quale strumento di repressione del dissenso politico e delle legittime forme di protesta protette dalla Costituzione.

Da un lato, il ricorso al giudice amministrativo è certamente idoneo ad assicurare – anche grazie ai provvedimenti cautelari che possono essere adottati in caso di urgenza – una tutela immediata ed effettiva contro eventuali provvedimenti lesivi dei diritti fondamentali dell’interessato.

Dall’altro, lo stesso giudice penale, nei procedimenti per violazione degli obblighi inerenti a una misura di prevenzione, ha il dovere di verificarne preliminarmente la legittimità.

La disamina di legittimità compiuta dall’uno e dall’altro giudice, infine, comprende necessariamente anche una valutazione di proporzionalità tra le finalità di tutela perseguite dall’autorità di polizia e la concreta incidenza della singola misura sulla libertà di circolazione dell’interessato, nonché sull’intera gamma dei suoi diritti fondamentali comunque incisi dal provvedimento (compresi i diritti al lavoro, alla salute, alla vita privata e familiare).

Pertanto, essa non richiede l’intervento di un giudice, come prescritto invece dall’art.13 Cost. per ogni misura restrittiva della libertà personale. Spetterà poi al giudice amministrativo e al giudice penale verificarne la legittimità e proporzionalità nel singolo caso concreto, rispettivamente quando l’interessato proponga ricorso contro il provvedimento del questore, o sia imputato in sede penale per la violazione degli obblighi stabiliti nel provvedimento.

C. Cost. sentenza n.203 del 2024


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