IN POCHE PAROLE …
Ai sensi della L. 311/2004, l’utilizzo di personale dipendente a tempo pieno di altre amministrazioni locali, è ammesso soltanto per i comuni con popolazione inferiore ai 25.000 abitanti, per i consorzi, le comunità montane e le unioni di comuni, non per altri tipi di amministrazioni.
La richiesta di parere
La Corte dei conti è richiesta di fornire chiarimenti in ordine alla corretta interpretazione dell’art. 1, co. 557, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, secondo cui “I comuni con popolazione inferiore ai 25.000 abitanti, i consorzi tra enti locali gerenti servizi a rilevanza non industriale, le comunità montane e le unioni di comuni possono servirsi dell’attività lavorativa di dipendenti a tempo pieno di altre amministrazioni locali purché autorizzati dall’amministrazione di provenienza”,
Un Comune domanda, in particolare, se sia possibile consentire che un proprio dipendente a tempo pieno possa essere autorizzato a svolgere attività lavorativa presso una pubblica amministrazione diversa da quelle indicate (ovvero presso amministrazioni statali o enti pubblici non economici), trattandosi comunque di pubbliche amministrazioni.
Il parere
Il giudice contabile osserva che, originariamente, il limite demografico previsto per i comuni che volessero usufruire dell’istituto era pari a 5.000 abitanti, successivamente esteso, dapprima a 15.000 abitanti, con l’art. 3, co. 6-bis, del d.l. n. 44/2023, in seguito a 25.000 abitanti, con l’art. 28, co. 1-ter, del d.l. n. 75/2023.
La norma mirava ad introdurre una disciplina di favore per gli Enti locali di ridotte dimensioni demografiche, che intendessero servirsi dell’attività di dipendenti a tempo pieno di altre amministrazioni locali, purché autorizzati dall’amministrazione di provenienza.
Il fine era quello di fronteggiarne l’esiguità degli organici e le concomitanti ridotte disponibilità dei bilanci, tanto dei Comuni con popolazione (inizialmente) inferiore ai 5.000 abitanti, quanto di Consorzi tra Enti locali gerenti servizi a rilevanza industriale, Comunità montane e Unioni di Comuni.
In sostanza, con la L. n. 311/04, si sono voluti introdurre degli strumenti di semplificazione e di razionalizzazione dei servizi di primario interesse pubblico, per venire incontro alle difficoltà degli Enti di ridotte dimensioni nel reperimento di personale dotato di competenze adeguate alle funzioni da svolgere (Sezione delle autonomie, deliberazione n. 23/SEZAUT/2016/QMIG).
Detto ciò, ad avviso della Corte, la cristallina chiarezza della norma non consente altre interpretazioni.
Il Comune potrà pertanto autorizzare l’utilizzo di proprio personale soltanto presso “amministrazioni locali”, “consorzi tra enti locali di gestione dei servizi”, “comunità montane” e “unioni di comuni”, mentre non dovrà consentirlo presso pubbliche amministrazioni diverse da quelle indicate.
Ammettere la tesi contraria, determinerebbe situazioni paradossali. Ad esempio, dei dipendenti a tempo pieno di un comune di dimensioni ridotte e con ridotte disponibilità di bilancio potrebbero essere utilizzati da “amministrazioni statali o enti pubblici non economici” di grandi dimensioni, privando il piccolo comune di importanti e fondamentali risorse umane, sulla base all’autorizzazione concessa dall’amministrazione di appartenenza, slegata da qualsivoglia razionale ed obiettiva giustificazione, e concessa per altre e differenti motivazioni.
Da qui la risoluzione del quesito nei termini che seguono: l’art. 1, co. 557. della L. n. 311/04 consente ai comuni con popolazione inferiore ai 25.000 abitanti, ai consorzi tra enti locali gerenti servizi a rilevanza non industriale, alle comunità montane e alle unioni di comuni di servirsi dell’attività lavorativa di dipendenti a tempo pieno di altre amministrazioni locali, purché autorizzati dall’amministrazione di provenienza dei dipendenti medesimi.
Stefania Fabris