Brevissima…
A distanza di circa otto anni dall’entrata in vigore del “Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”, di cui al d.lgs. n. 19 agosto 2016, n. 175, non si registrano passi in avanti sulla disciplina dei requisiti per la nomina e per la determinazione dei compensi degli organi amministrativi e di controllo delle società a controllo pubblico.
Ricordiamo che l’art. 11 del testo unico prevedeva:
- un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in Conferenza unificata, per la fissazione dei requisiti di onorabilità, professionalità e autonomia di amministratori e sindaci;
- un decreto del Mef, da adottarsi previo parere delle Commissioni parlamentari competenti (nonché previa intesa in Conferenza unificata per le società controllate da regioni o enti locali), per la definizione di indicatori dimensionali volti ad individuare fino a cinque fasce di classificazione delle società, al fine di determinare i compensi entro il limite massimo dei 240mila euro.
Ad oggi, pur essendo stata sancita l’intesa in sede di Conferenza unificata, ancora il 25 luglio 2019, sullo schema di Dpcm recante i requisiti di onorabilità, professionalità e autonomia dei soggetti da nominare, il provvedimento non risulta essere stato pubblicato in G.U. (né vi è traccia del previsto parere del Consiglio di Stato).
Il decreto “fasce”, volto alla determinazione dei compensi, risulta invece arenatosi proprio presso la Conferenza. Sul tema va annotato l’intervento della Sezione Autonomie della Corte dei conti, la quale, con deliberazione n. 10/2024, ha segnalato l’urgenza di superare la disciplina transitoria, esigenza evidenziata anche dalla Consulta con sentenza n. 153/2022.
Le regole da seguire per le nomine in seno alle società controllate restano pertanto quelle dettate dal d.lgs. n. 39/2013 in punto di inconferibilità e incompatibilità di incarichi (con le precisazioni fornite nel corso degli anni dall’A.N.AC. e soprattutto dalla Consulta*), e dal d.l. n. 95/2012, sul divieto di designare soggetti in quiescenza.
Per quanto concerne i compensi vige ancora, come ricordato, la disciplina transitoria di cui al comma 7 dell’articolo 11 del TUSP, in base alla quale, fino all’emanazione del decreto “fasce”, restano in vigore le disposizioni di cui all’art. 4, co. 4, del d.l. n. 95/2012, secondo cui il costo annuale sostenuto per i compensi degli amministratori, ivi compresa la remunerazione di quelli investiti di particolari cariche, non può superare l’80% del costo complessivamente sostenuto nell’anno 2013, nonché le disposizioni del decreto MEF n. 166 del 24 dicembre 2013, concernente la classificazione in tre fasce delle società non quotate controllate dallo stesso Ministero (sull’argomento si V. l’orientamento reso dalla Struttura di indirizzo, monitoraggio e controllo sull’attuazione del TUSP, e, tra le più recenti, Corte dei conti, Sez. controllo Puglia, deliberazione n. 62/2024/PAR).
Per approfondimenti, si V. anche il dossier del 17 luglio 2024, curato dal Servizio per il controllo parlamentare della Camera dei deputati, ad oggetto “Le società partecipate pubbliche e l’attuazione della riforma del 2016”.
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* Con sentenza n. 98 del 2024, la Corte costituzionale ha ritenuto fondata la questione di legittimità, sollevata dal Tar Lazio, relativa al provvedimento dell’ANAC del 3 marzo 2021, n. 207, e ha dichiarato l’illegittimità costituzionale “degli artt. 1, comma 2, lettera f), e 7, comma 2, lettera d), del d.lgs. n. 39 del 2013, nella parte in cui non consentono di conferire l’incarico di amministratore di ente di diritto privato – che si trovi sottoposto a controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a quindicimila abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione – in favore di coloro che, nell’anno precedente, abbiano ricoperto la carica di presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato controllati da amministrazioni locali (provincia, comune o loro forme associative in ambito regionale)”, per violazione della legge delega e, dunque, dell’art. 76 della carta fondamentale.