IN POCHE PAROLE…

Nel caso di passaggio di lavoratori da un’amministrazione, devono essere assicurati la continuità giuridica del rapporto e il mantenimento del trattamento economico.


Corte di Cassazione – Sezione Lavoro n. 24289 del 10.9.2024 – Pres. A. Di Paolantonio, Rel. F.V.A. Rolfi


Ai dipendenti che sono trasferiti ad altre amministrazioni occorre, per la Corte di Cassazione, garantire il non peggioramento del trattamento economico in godimento.

Sempre per la sezione lavoro della Cassazione le amministrazioni devono disporre la disciplina del trattamento economico nel rispetto delle prescrizioni dettate dai contratti collettivi nazionali di lavoro, a pena di nullità delle scelte che non rispettano tale previsione.

Le sezioni di controllo della Corte dei conti ribadiscono, da ultimo lo fa quella pugliese, che il tetto del salario accessorio del 2016 di cui all’articolo 23, comma 2, del d.lgs. n. 75/2017 deve essere rispettato nel suo insieme e non per ognuna delle sue componenti.

Siamo così in presenza di indicazioni che si devono ritenere come consolidate e che determinano per le amministrazioni dei vincoli, relativamente alle sentenze della Cassazione, ed indicano un punto di riferimento, con riferimento alle deliberazioni della magistratura contabile.

Il trattamento economico a seguito di trasferimento delle attività

Il personale interessato dal trasferimento delle attività in cui è utilizzato ha il diritto di mantenere il trattamento economico in godimento ove sia più elevato, ivi compresi tutti gli elementi che sono certi nell’an e nel quantum. E’ quanto ha stabilito la sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione – Sezione Lavoro n. 24289 del 10.9.2024. Il principio è dettato con riferimento all’articolo 31 del d.lgs. n. 165/2001 che, nel caso di passaggio ad altro ente o ad un privato di attività, impone che il personale utilizzato per il loro svolgimento debba essere trasferito alle dipendenze del soggetto che assume la gestione.

Viene dettato il seguente principio di diritto, che ha una valenza di carattere generale: “In tema di pubblico impiego privatizzato, nel caso di passaggio di lavoratori da un’amministrazione ad altra ex art. 31 d.lgs. n. 165 del 2001, devono essere assicurati la continuità giuridica del rapporto e il mantenimento del trattamento economico, il quale, ove superiore a quello spettante presso l’ente di destinazione, va calcolato applicando la regola del riassorbimento degli assegni ad personam attribuiti in occasione dei miglioramenti di inquadramento e di trattamento economico riconosciuti a seguito del trasferimento”.

Viene inoltre dettato un secondo principio di diritto, che si riferisce al caso concreto oggetto del contenzioso: “Il lavoratore dell’Ente sviluppo agricolo siciliano che, ai sensi dell’art. 7 della legge Regione Sicilia n. 19 del 2005, sia trasferito alle dipendenze dell’Agenzia regionale per i Rifiuti e le Acque, mantiene il diritto a conservare, se maggiore, il livello del trattamento economico precedente; tale trattamento economico va calcolato tenendo conto di tutti gli elementi della retribuzione la corresponsione dei quali sia certa nell’an e nel quantum e, quindi, anche del trattamento di Anzianità professionale edile, c.d. APE, previsto dall’art. 29 CCNL per le imprese edili ed affini del 20 maggio 2004 e legittimamente dovuto allo stesso lavoratore fino al momento del suo passaggio alla P.A. di destinazione, fatto salvo l’effetto del riassorbimento, che opererà sulla medesima retribuzione nella sua globalità e non sulle singole voci di questa”.

La determinazione del trattamento economico

Il trattamento economico va determinato dagli enti sulla base del CCNL applicabile e le scelte che non rispettano tale principio devono essere ritenute come illegittime. E’ quanto sostiene la sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 16150 dell’11.6.2024.

Leggiamo nella sentenza che “l’Amministrazione datrice di lavoro è tenuta ad individuare per i propri dipendenti il trattamento economico derivante dal contratto collettivo di comparto correttamente applicabile, essendole preclusa la possibilità di far ricorso ad un diverso contratto collettivo – neppure se fonte di un trattamento migliorativo – ed anzi risultando viziato l’atto deliberativo con il quale l’Amministrazione medesima venga ad osservare un contratto collettivo diverso da quello correttamente applicabile. Qualora sia riconosciuto al lavoratore di un trattamento economico maggiore di quello previsto dalla contrattazione collettiva correttamente applicabile tale riconoscimento è affetto da nullità e l’Amministrazione datrice di lavoro, nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost., è tenuta al ripristino della legalità violata mediante la ripetizione delle somme già corrisposte, in quanto dette somme risultano erogate senza titolo. Non è ravvisabile, in capo al lavoratore cui sia stato illegittimamente applicato un trattamento individuale – anche migliorativo – diverso da quello previsto dalla contrattazione collettiva una posizione giuridica soggettiva tutelabile in virtù dell’adozione, da parte dell’Amministrazione, di un provvedimento (illegittimo) di individuazione di un errato regime degli emolumenti, e ciò in quanto il trattamento economico deve trovare necessario fondamento nella contrattazione collettiva, con la conseguenza che il diritto si stabilizza in capo al dipendente solo qualora l’atto sia conforme alla volontà delle parti collettive. Risulta inapplicabile a tale ipotesi la norma di cui all’art. 2126 c.c., in quanto quest’ultima previsione è riferita all’ ipotesi di prestazione lavorativa resa sulla base di un contratto nullo e non all’ ipotesi in cui il vizio di nullità non concerna il rapporto lavorativo in sé bensì la sua irregolare regolamentazione tramite un atto dispositivo viziato adottato dall’Amministrazione datrice di lavoro, la quale venga ad applicare un trattamento economico diverso da quello previsto dalla fonte legale vincolante, e cioè la contrattazione collettiva di settore”.

Il tetto del salario accessorio

Il tetto di spesa del salario accessorio deve comprendere tutte le risorse che l’amministrazione ha destinato nell’anno 2016 al trattamento accessorio, quindi sommando quelle per il personale del comparto, per i titolari di posizione organizzativa, per i dirigenti e per i segretari comunali e provinciali, nonché a parere di molti anche quelle per il lavoro straordinario. Sono queste le indicazioni contenute nella deliberazione della Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Lombardia n. 195/2024/PAR del 16.9.2024.

Leggiamo che il tetto del salario accessorio posto dall’articolo 23, comma 2, del d.lgs. n. 75/2017è da intendersi come comprensivo della somma di tutte le risorse destinate al trattamento accessorio (di comparto, titolari di posizione organizzativa, dirigenti, segretari comunali e provinciali). Sicché, il tetto di spesa previsto dalla norma non può che essere riferito alla spesa complessiva, e non a quella delle singole categorie”. Ed inoltre è stato acclarato che “il fondo incentivante e le risorse per indennità di posizione e di risultato delle posizioni organizzative, sebbene distinti, siano strettamente collegati in un sistema di vasi comunicanti, in quanto un’eventuale crescita dell’uno può essere compensata dalla lasciata dell’altro, sottolineando come la riduzione di risorse destinate alla retribuzione delle PO possa andare a vantaggio del fondo risorse decentrate”. Ed ancora, di come sia previsto che in contrattazione decentrata si possa dare corso anche al passaggio di queste risorse in modo opposto, cioè dalla retribuzione delle posizioni organizzative al fondo per la contrattazione decentrata.

Non si può, quindi, ritenere in vigore un vincolo a che per ogni fondo operi il tetto del 2016. E, tanto meno, dobbiamo considerare presente una tale limitazione per le singole voci dei fondi, ivi comprese la parti stabili e variabili del fondo per la contrattazione decentrata.

dott. Arturo Bianco


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