IN POCHE PAROLE …
I componenti degli organi di revisione contabile non possono assumere incarichi o consulenze presso l’ente locale per non compromettere l’obiettività, l’imparzialità e l’autonomia di giudizio loro richieste per lo svolgimento dell’incarico.
A margine
Il caso – La Procura regionale della Corte dei conti per la Toscana chiama in giudizio l’ex Presidente del collegio dei revisori e l’ex ragioniere capo di un ente locale per un presunto danno erariale determinatosi a causa dello svolgimento dell’incarico di revisione in presenza di una delle situazioni di incompatibilità di cui all’art. 236 Tuel.
La stessa Provincia, infatti, ha conferito ad una società, di cui il revisore era vicepresidente con poteri di rappresentanza legale, tramite affidamento diretto, diversi servizi di assistenza fiscale e di consulenza in materia di personale.
La sentenza
Secondo la Corte, tale situazione integra una delle ipotesi di ineleggibilità e incompatibilità stabilite per i revisori degli enti locali dall’art. 236 del Tuel.
Si sarebbe, in particolare, venuto a creare un legame fondato su “un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita” che la norma ritiene di per sé suscettibile di compromettere l’indipendenza del revisore e, al ricorrere del quale, pertanto, ricollega l’impossibilità di essere nominato nell’organo di controllo interno, o la decadenza dalla carica.
La ratio della previsione consiste nella tutela dell’indipendenza dei componenti degli organi di controllo interno, per evitare che, dall’esistenza di un ulteriore vincolo stabile di collaborazione, si instauri con gli amministratori del soggetto controllato un legame che attenui o annulli del tutto l’obiettività del controllore, e sia suscettibile d’impedire l’assunzione d’iniziative non gradite agli amministratori stessi
Nel caso di specie il conflitto di interessi emergerebbe in modo manifesto trattandosi di servizi affidati con continuatività alla società di professionisti cui apparteneva il revisore, consistenti nell’assolvimento di vari adempimenti fiscali, inerenti in particolare all’IVA e all’IRAP, ovvero a profili della gestione dell’Ente che, per espressa previsione del Tuel, sono soggetti alla vigilanza dell’organo di revisione.
Il revisore si sarebbe pertanto trovato a ri-esaminare i risultati della prestazione resa da lui stesso o da altro soggetto della società a cui apparteneva, così incorrendo nei divieti disposti dal Tuel, dai principi di origine eurounitaria e dalle regole di auto-comportamento dei professionisti in questione.
Secondo la Corte non assume alcun rilievo la dimostrata assenza di uno stato di dipendenza finanziaria del revisore rispetto alla società affidataria dei servizi. Ciò che conta, infatti, è il carattere stabile e continuativo del rapporto di consulenza, il quale costituisce di per sé una condizione comportante l’incompatibilità rispetto all’incarico.
A conferma di tale impostazione, rileva il seguente quadro normativo:
- le “Norme di comportamento del collegio sindacale di società non quotate” dettate dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti;
- la raccomandazione della Commissione del 2002 rubricata “L’indipendenza dei revisori legali dei conti nell’UE: un insieme di principi fondamentali”;
- la Direttiva 17 maggio 2006, n. 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati) il decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, recante l’attuazione della medesima Direttiva.
Da queste fonti emerge chiaramente che il revisore non deve essere associato a situazioni dalle quali un terzo informato, obiettivo e ragionevole, possa trarre la conclusione che la sua capacità di svolgere l’incarico in modo obiettivo sia compromessa.
Detto ciò, il giudice osserva che:
- tra gli indici di compromissione dell’imparzialità ed integrità nell’esercizio delle funzioni di vigilanza, si annovera, non soltanto il difetto di indipendenza finanziaria del revisore, ma anche la natura continuativa del rapporto di prestazione retribuita intrattenuto con soggetto vigilato, nonché la possibile interferenza tra l’attività di consulenza e la funzione di controllo da svolgere;
- non assume rilievo il fatto che la ditta affidataria sia una società di capitali dotata di un’autonoma personalità giuridica posto che la valutazione dei indipendenza deve tener conto delle relazioni (di affari, di lavoro, ecc.) intrattenute con il soggetto controllato, sia direttamente, sia “indirettamente” attraverso lo studio o la società cui il medesimo revisore appartiene;
- i rischi per l’indipendenza possono essere determinati da relazioni di vario genere instaurate con l’ente sottoposto a controllo dal revisore o da una società facente parte della sua “rete”. Lo “schermo societario” non può infatti consentire di mascherare un conflitto di interessi.
Ma vi è di più in quanto, nel caso di specie, il ruolo nel professionista nella società affidataria non era di mero socio, ma era anche di membro del relativo C.d.A. con funzioni di vicepresidente e rappresentante legale, ruolo che, nel diverso ma simile contesto dell’affidamento di appalti pubblici, è preso in considerazione:
– all’articolo 80, comma terzo, del d.lgs. n. 50/2016, ai fini dei motivi di esclusione;
– dalla giurisprudenza anche ai fini della valutazione dell’ulteriore causa di esclusione per sussistenza, in capo all’operatore, di una situazione di conflitto di interesse ai sensi dell’art. 42, del medesimo decreto (v. Cons. St., sez. V, sent. n. 3415/2017).
Il professionista avrebbe inoltre:
- violato i basilari obblighi di correttezza, avendo, nell’ambito di entrambe le procedure che hanno condotto alla nomina e poi alla conferma, attestato falsamente, mediante dichiarazioni sostitutive, l’insussistenza di cause di incompatibilità, ineleggibilità, impedimento e conflitto di interesse;
- omesso di comunicare preventivamente la sua posizione di vicepresidente del C.d.A. della società, in palese contrasto con le disposizioni in tema di trasparenza enunciate dalle “Norme di comportamento del collegio sindacale di società non quotate“, le quali impongono al revisore/sindaco di rendere noti agli organi preposti, non oltre l’atto di nomina, gli incarichi di amministrazione e controllo ricoperti presso altre società, tra cui quello di componente del C.d.A. di società di capitali.
Per quanto riguarda il ragioniere capo: a questi viene contestato di avere reso il proprio parere favorevole, di regolarità tecnica e contabile, sulle proposte di deliberazioni di nomina presentate al Consiglio provinciale, così inducendo in errore l’organo.
Conclusioni
Le condotte dei due convenuti hanno causato un danno per le casse dell’Amministrazione consistente nella spesa sostenuta dall’Ente per assicurare l’esercizio dell’importante funzione di Presidente del Collegio dei revisori, spesa che si qualifica in termini di inutilità rispetto alla finalità perseguite.
L’intera attività di revisione risulta infatti compiuta senza le garanzie di obiettività ed imparzialità richieste all’organo di revisione degli enti locali mediante il ricorso a professionalità esterne specificamente remunerate.
Non è possibile considerare l’attività del Collegio legittima, anche se venisse riconosciuta la mancanza di legittimazione del relativo Presidente, posto che l’organo avrebbe sempre agito in composizione plenaria e all’unanimità: questo perché, in base all’art. 236 Tuel, la decadenza di uno dei componenti si risolve in un difetto di regolarità nella costituzione dell’intero organo e, di riflesso, in una ragione di illegittimità degli atti da questo compiuti.
Chiarito ciò, la Corte non ravvisa alcun vantaggio per la Provincia in conseguenza dei comportamenti del revisore e del ragioniere capo.
Anzi, riscontra in entrambi i casi un’inescusabile negligenza tale da integrare l’elemento soggettivo della colpa grave, determinata dall’aver del tutto ingiustificatamente ignorato di considerare e applicare i principi e le norme posti a presidio del corretto conferimento degli incarichi di revisore degli enti locali e del corretto e proficuo svolgimento dell’attività di revisione economico-finanziaria
Analoga valutazione riserva, infine, alla partecipazione del professionista nella sua veste di Presidente, alla seduta del Collegio dei revisori, convocata appositamente per trattare della questione della sua incompatibilità, tenuto conto che, pure in questo caso, in base all’art. 6-bis, l. n. 241/1990, egli avrebbe dovuto astenersi, anche per evitare possibili condizionamenti degli altri componenti.
Per quanto sopra, la Corte accerta la responsabilità amministrativa dei due soggetti e li condanna e risarcire la Provincia danneggiata.
dottoressa Stefania Fabris, posizione organizzativa ente locale.