IN POCHE PAROLE….
Note di commento alla legge 24 novembre 2023 n.168, su disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica, in vigore dal 9 dicembre 2023.
La violenza di genere è un fenomeno estremamente complesso, che riguarda classi, famiglie, generazioni, società civile.
Negli anni ha progressivamente assunto una connotazione strutturale e non più emergenziale, come dimostra l’andamento della delittuosità e l’incidenza significativa in ogni ambiente o porzione del territorio, ma anche trasversale, in quanto prescinde dall’età e dalla provenienza geografica degli autori e delle vittime, dalle condizioni economiche, personali e sociali.
Proprio per le dimensioni dal fenomeno, la messa a punto di un’efficace strategia di contrasto non può che richiedere un apporto multiagenziale, da parte delle Istituzioni ma anche di tutte le formazioni sociali in cui, come ci ricorda la Costituzione, si svolge la personalità dell’individuo: famiglia, scuola, servizi sociali, magistratura, forze dell’ordine, mass media, associazioni di volontariato, enti territoriali.
La reale efficacia delle azioni di tutti gli stakeholders sta nella riconduzione ad un progetto sinergico che unisca:
– la produzione di un impianto legislativo efficace ed aggiornato ad una sensibile e celere applicazione delle leggi facendo discendere effetti dissuasivi, riparativi e rieducativi, comunque attenti ai bisogni della vittima;
– l’informazione e sensibilizzazione (binomio scuola/famiglia, mass media) a partire dalla più giovane età a percorsi di consapevole superamento delle differenze di genere;
– l’impegno delle istituzioni e degli enti di prossimità alla cittadinanza alla costruzione di una rete di sostegno e assistenza, proiettata non solo alla tutela della vittima ma anche al recupero del soggetto maltrattante.
Il Parlamento ha approvato la legge 24 novembre 2023 n.168, recante “disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n.275 del 24 novembre 2023, in vigore dal 9 dicembre 2023.
La legge prevede agli articoli 1 e 2, importanti novità in materia di misure di prevenzione personali, novellando l’articolo 3 del d.l. n.93 del 2013, l’articolo 8 d.l. n.11 del 2009, gli artt.4, 6, 8, 9 e 75-bis del d.lgs. n.159 del 2011, nonché configurando, agli articoli 14 e 15, dei nuovi obblighi di comunicazione al Questore in quanto Autorità di Pubblica Sicurezza competente per le misure di prevenzione.
Con il provvedimento si intende:
- velocizzare le valutazioni preventive sui rischi che corrono le potenziali vittime di femminicidio o di reati di violenza contro le donne o in ambito domestico;
- rendere più efficaci le azioni di protezione preventiva;
- rafforzare le misure contro la reiterazione dei reati a danno delle donne e la recidiva;
- migliorare la tutela complessiva delle vittime di violenza.
Più in generale, l’atto normativo in esame recepisce, tra l’altro:
- le istanze più urgenti emerse nell’ambito dell’Osservatorio sul fenomeno della violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica;
- le osservazioni contenute nella relazione finale della “Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio nonché su ogni forma di violenza di genere”;
- gli orientamenti della Procura Generale della Corte di Cassazione in materia.
Rafforzamento delle misure di prevenzione personali
E’ senz’altro poco indicato, per il contrasto alla violenza di genere l’impiego delle misure di prevenzione ‘tipiche’ di competenza del Questore, quali il foglio di via obbligatorio e l’avviso orale (artt. 2 e 3 d.lgs. n.159 del 2011), ovvero, con una maggiore invasività sul piano della libertà personale, di quelle disposte dall’Autorità Giudiziaria, attraverso un’incerta correlazione tra soggetti maltrattanti o stalker e soggetti destinatari dell’istituto per pericolosità generica, in particolare “coloro che per il loro comportamento debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica” (art.4 co.1 lett.c del d.lgs. n.159 del 2011) cioè soggetti che abbiano, normalmente in relazione a pregresse vicende giudiziarie, sviluppato una pericolosità sociale dotata di attualità a causa di attività violente poste in essere nei confronti di vittime generalmente vulnerabili.
La pericolosità sociale necessaria per l’applicazione delle misure di prevenzione si desume dall’esame dell’intera personalità del soggetto, essendo un giudizio di natura sintomatico che può essere formulato anche solo sulla base di situazioni fattuali che giustifichino presunzioni, purché obiettivamente accertati, come i precedenti penali e giudiziari, le denunce di polizia, il tenore di vita, l’abituale compagnia di pregiudicati e di soggetti sottoposti a misure di prevenzione ed altre manifestazioni oggettivamente contrastanti con la sicurezza pubblica. Quanto al giudizio di attualità, lo stesso deve essere riferito alla pericolosità e non alle manifestazioni di essa. Ai fini dell’applicazione della misura di prevenzione, infatti, la pericolosità generica qui ravvisabile deve essere sussistente al momento della formulazione del relativo giudizio, mentre gli elementi sintomatici o rivelatori della stessa sono necessariamente pregressi rispetto all’epoca in cui detto giudizio viene formulato.
Di contro, le misure di prevenzione ‘atipiche’ a carattere monitorio (ammonimenti per stalking, violenza domestica e cyberbullismo) e la sorveglianza speciale di P.S. per pericolosità qualificata ai sensi dell’art.4 co.1 lett.i-ter denotano – nei termini dell’approccio normativo in parola – margini di concreta efficacia per controllo del soggetto e la riduzione del rischio di condotte recidivanti.
Vengono definite ‘atipiche’ quelle misure di prevenzione non ricomprese all’interno del Codice delle leggi antimafia (d.lgs. n.159 del 2011) e caratterizzate da presupposti e modalità applicative peculiari.
I provvedimenti monitori finalizzati alla prevenzione della c.d. violenza di genere sono disciplinati da specifiche normative di settore:
- l’ammonimento per atti persecutori (art.8 del d.l. 23 febbraio 2009 n.11);
- l’ammonimento per condotta di violenza domestica (art.3 d.l. 14 agosto 2013 n.93);
- l’ammonimento del minore per cyberbullismo (art.7 della legge n.71 del 29 maggio 2017);
- l’ammonimento ex art.5 d.l.15 settembre 2023 n.123, conv. dalla l. 13 novembre 2023 n.159 (bullismo);
- l’ammonimento ex art.5 d.l.15 settembre 2023 n.123, conv. dalla l. 13 novembre 2023 n.159 (minori di età compresi tra 12 e 14 anni).
L’ammonimento del Questore nasce per garantire alla vittima di atti di violenza domestica, cyberbullismo o atti persecutori (stalking) una tutela rapida ed anticipata rispetto alla definizione del procedimento penale e consiste nell’avvertimento, rivolto dal Questore allo stalker o al maltrattante, di astenersi dal commettere ulteriori atti di molestia o violenza domestica.
Con l’ammonimento il Questore può incidere sul rischio di recidiva, evitando che quei comportamenti si ripetano e che, secondo quello che si definisce il ciclo della violenza, possano sfociare, in casi estremi, in conseguenza lesive o letali.
L’andamento della delittuosità riconducibile ad episodi di violenza domestica e di genere è in crescita costante, così come, del resto, la risposta sanzionatoria che si registra su entrambi i versanti della repressione e della prevenzione.
In entrambi i casi, la legge prevede che Questore – Autorità provinciale di P.S., informi senza indugio l’autore del fatto circa i servizi disponibili sul territorio, inclusi i consultori familiari, i servizi di salute mentale e i servizi per le dipendenze, finalizzati ad intervenire nei confronti degli autori di violenza domestica o di genere.
Tale statuizione è il portato di un assunto secondo cui la prevenzione della violenza di genere operata da stalker e autori di violenze in ambito familiare o domestico si attua, innanzitutto, prendendo in carico le segnalazioni prima che diventino di rilevanza penale e provando ad intervenire con strumenti dissuasivi, avvalendosi delle professionalità in grado di esplicare sul territorio adeguati e mirati interventi per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno della violenza domestica o di genere.
L’obiettivo è evidentemente quello di bloccare le recidive degli episodi di violenza sul nascere, intervenendo direttamente sul maltrattante, fermandolo, sottolineando il disvalore sociale delle sue condotte e favorendone la rieducazione e la riabilitazione.
L’ammonimento è una “misura di prevenzione con finalità dissuasiva”, “tipicamente cautelare e preventiva” (cfr. Cons. Stato, sez.III, 25 maggio 2015 n.2599, in Giust. amm. 2015), che “deve essere perseguita in forme e modalità compatibili con l’attuazione piena delle garanzie di partecipazione e di difesa della parte sospettata di essere autrice delle condotte moleste” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 21 dicembre 2021, n.8468, in Dir. e Giust., 31 dicembre 2021. Ciò comporta che “il procedimento finalizzato all’adozione di un provvedimento di ammonimento da parte del questore presuppone che il suo destinatario debba essere sentito, a sua tutela, o almeno gli debba essere consentito di partecipare al procedimento”: così Cons. Stato, Sez. III, 20 agosto 2020, n.5150, in Red. Giuffrè 2020.)
Quando il Questore ammonisce un soggetto non si limita alla mera notifica di un atto, ma entra nel cuore di ogni singola situazione offrendo contestualmente la possibilità di uscire da quella spirale di rabbia senza controllo. Senza mai banalizzare gli episodi violenti, cercherà di far comprendere l’opportunità che sta offrendo al soggetto ammonito di entrare a far parte di un percorso di recupero totalmente gratuito per chi è invitato a prendervi parte, che, se seguito, consentirà di interrompere il ciclo della violenza prima di arrivare a conseguenze estreme.
In quanto alternativo alla proposizione della querela nel caso dello stalking e strumento attivabile nei casi in cui alle forze dell’ordine sia stato segnalato, in forma non anonima, un fatto riconducibile alla violenza domestica, l’istituto dell’ammonimento si presta a logiche di deflazione processuale e consente un’attivazione immediata che si rivela particolarmente opportuna nell’ambito delle complesse vicende riconducibili a violenza di genere, per evitare fenomeni di vittimizzazione secondaria ed incentivare i soggetti a rivolgersi all’autorità pubblica.
Gli ammonimenti per atti di violenza domestica, previsti dall’art.3 della legge n.119 del 2013, rispondono a finalità eminentemente preventive, in un’ottica deterrente e di monito in prospettiva di garanzia e di rispetto dei principi oggettivi che attengono all’ordine ed alla sicurezza pubblica. L’obiettivo è quello di scoraggiare ogni forma di persecuzione nel contesto delle relazioni affettive/sentimentali e preordinato a impedire che gli atti di violenza, o persecutori, siano ulteriormente ripetuti fino a cagionare danni irreparabili. Nel caso di condotte di violenza domestica, l’eventuale reiterazione verrebbe a tradursi in un ulteriore aggravio della posizione per i soggetti già segnalati all’Autorità Giudiziaria o comunque in un deferimento alla competente A.G. indipendentemente da un’eventuale atto di querela, attesa la procedibilità d’ufficio del delitto nei confronti di soggetto “ammonito”.
Analoga conseguenza si registra per gli ammonimenti disposti nei confronti degli stalker e più in generale degli autori di condotte persecutorie. La misura, prevista dall’articolo 8 della legge 23 aprile 2009 n.38, consiste in un avvertimento a tenere una condotta conforme alla legge, fermo restando che qualora il soggetto continui a mantenere comportamenti analoghi a quelli che hanno determinato l’adozione del provvedimento, la segnalazione alla competente Autorità Giudiziaria ai sensi degli artt.612 bis e 612 ter c.p. è immediata e d’ufficio.
Quando le forze di polizia ricevono una segnalazione, si attivano rapide procedure di verifica che possono portare al provvedimento di ammonimento. La persona “ammonita” deve astenersi dal commettere ulteriori atti di molestia o violenza e di norma subisce il ritiro di eventuali armi, anche se possedute legalmente. In caso di reiterazione della condotta, la procedibilità per i reati previsti non è più a querela di parte ma d’ufficio.
Il legislatore mostra una maggiore attenzione ai cc.dd. reati spia, ovvero a quei delitti che sono ritenuti i possibili indicatori di una violenza contro le donne, contro i minori e più in generale contro vittime vulnerabili, in quanto verosimile espressione di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica.
Il provvedimento in esame estende, infatti, i casi per l’applicabilità dell’ammonimento, includendo ulteriori condotte che possono assumere valenza sintomatica rispetto a situazioni di pericolo per l’integrità psico-fisica delle persone, che avvengono nel contesto delle relazioni familiari ed affettive (attuali e passate).
In particolare, l’ammonimento per violenza domestica può essere adottato ora anche senza la preventiva istanza della vittima per alcuni reati (violenza privata, minacce, danneggiamento e violazione di domicilio) che si affiancano a lesioni e percosse e che maturano spesso in contesti qualificabili come violenza di genere, pertanto potenzialmente idonei a degenerare in più gravi eventi.
Peraltro, questa scelta ha costituito oggetto di critiche nella misura in cui riduce la facoltà della persona offesa di dare impulso al procedimento, che di fatto può essere attivato già solo in base ad interventi delle Volanti, presenza di referti medici presso l’Ospedale o segnalazioni pervenute al Questore.
La commissione degli atti in presenza di minorenni diviene ulteriore ed autonomo elemento idoneo ad integrare il requisito della violenza domestica, che l’art.3 co.1 del d.l. 14 agosto 2013 n.93, convertito con modificazioni dalla legge 15 ottobre 2013 n.119, aveva originariamente modellato sull’enunciazione proposta dalla Convenzione di Istanbul.
a) l’ammonimento per violenza domestica
L’art.1 co.1 della legge in esame modifica l’art.3 del d.l. n.93 del 2013, che disciplina la misura di prevenzione dell’ammonimento per violenza domestica.
Art.3 d.l. n.93/2013 – Misura di prevenzione per condotte di violenza domestica
- Nei casi in cui alle forze dell’ordine sia segnalato, in forma non anonima, un fatto che debba ritenersi riconducibile ai reati di cui agli articoli 581, 582, 610, 612, secondo comma, 612-bis, 612-ter, 614 e 635, consumati o tentati, del codice penale, nell’ambito di violenza domestica, il questore, anche in assenza di querela, può procedere, assunte le informazioni necessarie da parte degli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, all’ammonimento dell’autore del fatto. Ai fini del presente articolo si intendono per violenza domestica uno o più atti, gravi ovvero non episodici o commessi in presenza di minorenni, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima.
- Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 8, commi 1 e 2, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n.11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n.38, come modificato dal presente decreto. Il questore può richiedere al prefetto del luogo di residenza del destinatario dell’ammonimento l’applicazione della misura della sospensione della patente di guida per un periodo da uno a tre mesi. Il prefetto dispone la sospensione della patente di guida ai sensi dell’articolo 218 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n.285. Il prefetto non dà luogo alla sospensione della patente di guida qualora, tenuto conto delle condizioni economiche del nucleo familiare, risulti che le esigenze lavorative dell’interessato non possono essere garantite con il rilascio del permesso di cui all’articolo 218, comma 2, del citato decreto legislativo n. 285 del 1992.
- Il Ministero dell’interno – Dipartimento della pubblica sicurezza, anche attraverso i dati contenuti nel Centro elaborazione dati di cui all’articolo 8 della legge 1° aprile 1981, n.121, elabora annualmente un’analisi criminologica della violenza di genere, comprendente il monitoraggio sulla fattibilità tecnica dei mezzi elettronici e degli altri strumenti tecnici di controllo di cui all’articolo 275-bis del codice di procedura penale, che costituisce un’autonoma sezione della relazione annuale al Parlamento di cui all’articolo 113 della predetta legge n. 121 del 1981.
- In ogni atto del procedimento per l’adozione dell’ammonimento di cui al comma 1 devono essere omesse le generalità del segnalante, salvo che la segnalazione risulti manifestamente infondata. La segnalazione è utilizzabile soltanto ai fini dell’avvio del procedimento.
- Le misure di cui al comma 1 dell’articolo 11 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n.11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n.38, trovano altresì applicazione nei casi in cui le forze dell’ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche ricevono dalla vittima notizia dei reati di cui agli articoli 581, 582, 610, 612, secondo comma, 614 e 635 del codice penale nell’ambito della violenza domestica di cui al comma 1 del presente articolo.
5-bis. Quando il questore procede all’ammonimento ai sensi dell’articolo 8 del decreto legge 23 febbraio 2009, n.11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n.38, come modificato dal presente decreto, e del presente articolo, informa senza indugio l’autore del fatto circa i servizi disponibili sul territorio, inclusi i consultori familiari, i servizi di salute mentale e i servizi per le dipendenze, come individuati dal Piano di cui all’articolo 5, finalizzati ad intervenire nei confronti degli autori di violenza domestica o di genere.
5-ter. I provvedimenti emessi ai sensi del presente articolo e dell’articolo 8 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n.11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n.38, possono essere revocati su istanza dell’ammonito, non prima che siano decorsi tre anni dalla loro emissione, valutata la partecipazione del soggetto ad appositi percorsi di recupero presso gli enti di cui al comma 5-bis e tenuto conto dei relativi esiti.
5-quater. Le pene per i reati di cui agli articoli 581, 582, 610, 612, secondo comma, 612-bis, 612-ter, 614 e 635 del codice penale sono aumentate se il fatto è commesso, nell’ambito di violenza domestica, da soggetto già ammonito ai sensi del presente articolo, anche se la persona offesa è diversa da quella per la cui tutela è stato già adottato l’ammonimento previsto dal presente articolo.
5-quinquies. Si procede d’ufficio per i reati previsti dagli articoli 581, 582, primo comma, 610, 612, secondo comma, nell’ipotesi di minaccia grave, 612-bis, 612-ter, 614, primo e secondo comma, e 635 del codice penale quando il fatto è commesso, nell’ambito di violenza domestica, da soggetto già ammonito ai sensi del presente articolo, anche se la persona offesa è diversa da quella per la cui tutela è stato già adottato l’ammonimento previsto dal presente articolo.
In primo luogo, all’art.3, comma 1, è stata ampliata la tutela apprestata dall’ammonimento ad ulteriori condotte che possono assumere valenza sintomatica rispetto a situazioni di pericolo per l’integrità psico-fisica delle persone, nel contesto delle relazioni familiari e affettive.
Il riferimento è, in particolare, ai seguenti reati: lesione personale, previsto dall’art.582, c.p. anche nelle ipotesi procedibili d’ufficio, richiamate dal comma 2; violenza privata, prevista dall’art.610, c.p.; minaccia, prevista dall’art.612, c.p., nell’ipotesi ‘grave’ o ‘aggravata’ disciplinata dal comma 2; atti persecutori, previsti dall’art.612 bis, c.p.; diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, prevista art.612-ter c.p.), violazione di domicilio, prevista dall’art. 614, c.p.; danneggiamento, previsto dall’art.635, c.p..
Tali fattispecie, infatti, non erano contemplate nella precedente formulazione dell’art.3 in oggetto, che annoverava unicamente i reati di percosse (tuttora previsto) e lesione personale procedibile a querela della persona offesa. Al riguardo, l’introduzione di nuove condotte delittuose procedibili d’ufficio rafforza la necessità di un proficuo coordinamento tra la Divisione Anticrimine e gli uffici di P.G. preposti all’adempimento dell’obbligo di comunicazione della notizia di reato e allo svolgimento delle indagini, nonché tra la Divisione Anticrimine e la Procura della Repubblica, anche per i profili connessi al rispetto del segreto istruttorio e, laddove necessario, al rilascio del nulla osta dell’A.G. all’utilizzo di atti investigativi nel procedimento di prevenzione.
Alcune specifiche considerazioni riguardano l’introduzione dei reati di “atti persecutori” (art.612-bis, c.p.) e diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (art.612-ter c.p.) tra le fattispecie-presupposto dell’ammonimento per violenza domestica.
Come noto, infatti, per il delitto di atti persecutori era già previsto l’ammonimento disciplinato dall’art.8 del d.l. n.11 del 2009, che è applicabile solo su istanza della persona offesa, fino a quando non è proposta querela. Tale ultima misura è stata a sua volta modificata dalla legge n.168 del 2023, che ne ha esteso l’applicabilità al reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, di cui all’art.612-ter c.p..
A seguito della modifica normativa in esame, dunque, si deve ritenere che dinanzi a condotte inquadrabili negli artt.612-bis o 612-ter, c.p., che siano state realizzate ‘nell’ambito di violenza domestica’ – come intesa dalla norma – il Questore potrà adottare l’ammonimento per violenza domestica, che, a differenza di quello previsto dall’art.8 del d.l. n.11 del 2009, è applicabile a prescindere dall’eventuale richiesta della persona offesa, e anche in presenza di querela.
L’operatività dell’ammonimento di cui all’art.8 del d.l. n.11 del 2009 resta confermata per tutti i casi di stalking o diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, che risultino estranei all’ambito della violenza domestica.
A tale proposito, si evidenzia come anche la definizione normativa di violenza domestica sia stata ampliata dalla novella legislativa. Più specificamente, accanto alla gravità o non episodicità degli atti descritti dalla norma, la commissione degli stessi in presenza di minorenni (cd. “violenza assistita“) è stata prevista quale ulteriore, autonomo elemento idoneo ad integrare il requisito della violenza domestica.
Al fine di potenziare l’ammonimento per violenza domestica e di armonizzarne la disciplina con quella dell’ammonimento per ‘atti persecutori’, sono state introdotte, anche per la fattispecie in esame, una specifica aggravante (art.3, co.5-quater) e la procedibilità d’ufficio (art.3, co.5-quinquies) – laddove non già prevista – per i reati-presupposto suindicati, qualora vengano commessi, nell’ambito di violenza domestica da soggetto già ammonito ai sensi dell’art.3 del d.l. n.93 del 2013. La disposizione precisa che tali effetti penali, sostanziali e procedurali, si producono anche se la persona offesa è diversa da quella per la cui tutela è stato già adottato l’ammonimento.
“La norma trattata, ampliando le casistiche per cui il questore deve comminare l’ammonimento ha natura precettiva e comporta, sotto il profilo giuridico, la naturale conseguenza di prevedere la procedibilità d’ufficio per i reati contemplati, estendendo la disciplina prevista per i delitti per i quali sussisteva l’istituto ed il regime procedurale che si sta esaminando. Si evidenzia, quindi, che la disposizione è diretta a coordinare ed adeguare l’intero sistema equiparando tutte le situazioni giuridiche ed approntando la stessa tipologia di tutela e le medesime garanzie alle vittime interessate da delitti della stessa natura e specie” (cfr. Relazione tecnica al disegno di legge n.2530, comunicato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 16 febbraio 2022, p.13, reperibile su www.senato.it).
Un’ulteriore, importante novità introdotta dalla legge n.168 del 2023 è costituita dal comma 5-ter dell’art.3, che configura una specifica disciplina della revoca dell’ammonimento, estesa anche alla fattispecie di cui all’art.8 del d.l. n.11 del 2009. In particolare, la revoca può essere disposta su istanza del soggetto ammonito, non prima di 3 anni dall’emissione del provvedimento, valutata la partecipazione ad appositi percorsi di recupero e tenuto conto dei relativi esiti.
b) l’ammonimento per stalking
L’art.1 co.3 della legge in esame modifica l’art.8 del d.l. n.11 del 2009, che disciplina la misura di prevenzione dell’ammonimento per ‘atti persecutori’
art.8 d.l. 23 febbraio 2009 n.11 convertito con modificazioni dalla legge 23 aprile 2009, n.38 (in G.U. 24/04/2009, n. 95) – Ammonimento
- Fino a quando non è proposta querela per i reati di cui agli articoli 612-bis e 612-ter del codice penale, la persona offesa può esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore.
- Il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Copia del processo verbale è rilasciata al richiedente l’ammonimento e al soggetto ammonito. Il questore adotta i provvedimenti in materia di armi e munizioni.
- Le pene per i delitti di cui agli articoli 612-bis e 612 -ter del codice penale sono aumentate se il fatto è commesso da soggetto già ammonito ai sensi del presente articolo, anche se la persona offesa è diversa da quella per la cui tutela è stato già adottato l’ammonimento previsto dal presente articolo.
- Si procede d’ufficio per i delitti previsti dagli articoli 612–bis e 612–ter quando il fatto è commesso da soggetto ammonito ai sensi del presente articolo, anche se la persona offesa è diversa da quella per la cui tutela è stato già adottato l’ammonimento previsto dal presente articolo.
In primo luogo, sulla scia dell’ammonimento per violenza domestica, l’ambito di applicabilità di questa misura di prevenzione è stato esteso all’ulteriore reato-presupposto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, di cui all’art.612-ter c.p.. A tale estensione, prevista dalla legge n.168 del 2023, è venuta a corrispondere la soppressione dell’originario riferimento ai “reati di cui agli articoli 609-bis, fuori dai casi previsti dall’articolo 609-septies, quarto comma”, inserito nell’originario disegno di legge.
Inoltre, la legge di riforma è intervenuta a potenziare gli effetti penali, sostanziali e procedurali, già contemplati da questa fattispecie di ammonimento.
In particolare, la nuova disposizione chiarisce che la specifica aggravante e la procedibilità d’ufficio previste per i reati-presupposto (artt.612-bis e 612-ter c.p.), qualora commessi da soggetto già ammonito ai sensi dell’art.8 del d.l. n.11 del 2009, si applicano anche nei casi in cui la persona offesa da tali reati è diversa da quella per la cui tutela era stato adottato l’ammonimento.
Come anticipato, la revoca dell’ammonimento per stalking può essere disposta su istanza del soggetto ammonito, non prima di 3 anni dall’emissione del provvedimento, valutata la partecipazione ad appositi percorsi di recupero e tenuto conto dei relativi esiti. La previsione è, tuttavia, contenuta nell’art.3 co.5-ter dell’art.3 d.l. n.93/2013.
– Misure a sostegno delle vittime del reato di atti persecutori (art. 11 d.l. 23 febbraio 2009 n.11, convertito con modificazioni dalla legge 23 aprile 2009, n.38 (in G.U. 24/04/2009, n. 95)
- Le forze dell’ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche che ricevono dalla vittima notizia del reato di cui agli articoli 572, 575, nell’ipotesi di delitto tentato, 583–quinquies, 600, 600-bis, 600-ter, anche se relativo al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 601, 602, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609–octies, 612-bis o 612-ter del codice penale, hanno l’obbligo di fornire alla vittima stessa tutte le informazioni relative ai centri antiviolenza presenti sul territorio e, in particolare, nella zona di residenza della vittima. Le forze dell’ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche provvedono a mettere in contatto la vittima con i centri antiviolenza, qualora ne faccia espressamente richiesta.
L’art.1 co.1 lettera b) amplia il novero dei reati ai quali si applicano le misure di cui all’articolo 11, comma 1, del decreto-legge n.11 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n.38 del 2009.
Tali misure consistono nell’obbligo – da parte delle forze dell’ordine, dei presidi sanitari e delle istituzioni pubbliche che ricevono dalla vittima notizia dei reati considerati – di informare la medesima vittima sui centri antiviolenza presenti sul territorio e, in particolare, nella zona di residenza della stessa nonché metterla in contatto con i centri antiviolenza, ove essa ne faccia espressamente richiesta.
c) la sorveglianza speciale di P.S.
L’art.2 della legge n.168 del 2023 ha potenziato l’operatività della sorveglianza speciale di P.S. nell’ambito della violenza domestica e/o di genere, secondo quattro direttrici:
- l’estensione dell’applicabilità della misura ai soggetti indiziati di ulteriori gravi fattispecie nelle quali vanno a concretizzarsi le varie fasi del c.d. “ciclo della violenza”;
- il rafforzamento delle procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici;
- la maggiore incisività delle prescrizioni volte, da un lato, a vigilare sul soggetto destinatario del provvedimento, dall’altro, a tutelare le vittime.
- l’introduzione di appositi provvedimenti temporanei d’urgenza, applicabili già durante la pendenza del procedimento finalizzato all’emissione della misura.
Innanzitutto, dunque, l’art.2 co.1 lett.a) della legge in oggetto ha esteso l’applicabilità della sorveglianza speciale di P.S. – già prevista dall’art.4, comma 1, lett.i-ter) del d.lgs. n.159 del 2011 per gli indiziati di maltrattamenti contro familiari o conviventi (art.572 c.p.) e atti persecutori (art.612-bis c.p.) – ai soggetti indiziati dei seguenti, ulteriori delitti, consumati o tentati:
- omicidio (art.575 c.p.);
- lesione personale “grave” e “gravissima” (art.583 c.p.), nelle ipotesi aggravate dal legame familiare o affettivo (art.577, primo comma, numero 1, e secondo comma c.p.),
- deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (art.583-quinquiesp.) e
- violenza sessuale (art.609-bisp.).
Queste misure si applicano indipendentemente dalla commissione di un precedente reato e riguardano anche i soggetti che, già ammoniti dal questore, risultino indiziati dei delitti (commessi nell’ambito di violenza domestica) di percosse, lesioni, violenza privata, minacce aggravate, violazione di domicilio e danneggiamento.
- Art.4 (Soggetti destinatari)
1. I provvedimenti previsti dal presente capo si applicano:
a) agli indiziati di appartenere alle associazioni di cui all’articolo 416-bis p.;
b) ai soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale ovvero del delitto di cui all’articolo 12 -quinquies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n.306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n.356, o del delitto di cui all’articolo 418 del codice penale;
c) ai soggetti di cui all’articolo 1;
d) agli indiziati di uno dei reati previsti dall’articolo 51, comma 3 -quater, del codice di procedura penale e a coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, ovvero esecutivi diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei reati previsti dal capo I del titolo VI del libro II del codice penale o dagli articoli 284, 285, 286, 306, 438, 439, 605 e 630 dello stesso codice, nonché alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale ovvero a prendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un’organizzazione che persegue le finalità terroristiche di cui all’articolo 270 -sexies del codice penale;
e) a coloro che abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della legge 20 giugno 1952, n. 645, e nei confronti dei quali debba ritenersi, per il comportamento successivo, che continuino a svolgere una attività analoga a quella precedente;
f) a coloro che compiano atti preparatori, obiettivamente rilevanti, ovvero esecutivi diretti alla ricostituzione del partito fascista ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 645 del 1952, in particolare con l’esaltazione o la pratica della violenza;
g) fuori dei casi indicati nelle lettere d), e) ed f), siano stati condannati per il delitto di cui all’articolo 421-bis del codice penale o per uno dei delitti previsti nella legge 2 ottobre 1967, n.895, e negli articoli 8 e seguenti della legge 14 ottobre 1974, n.497, e successive modificazioni, quando debba ritenersi, per il loro comportamento successivo, che siano proclivi a commettere un reato della stessa specie col fine indicato alla lettera d);
h) agli istigatori, ai mandanti e ai finanziatori dei reati indicati nelle lettere precedenti. È finanziatore colui il quale fornisce somme di denaro o altri beni, conoscendo lo scopo cui sono destinati;
i) alle persone indiziate di avere agevolato gruppi o persone che hanno preso parte attiva, in più occasioni, alle manifestazioni di violenza di cui all’articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n.401, nonché alle persone che, per il loro comportamento, debba ritenersi, anche sulla base della partecipazione in più occasioni alle medesime manifestazioni, ovvero della reiterata applicazione nei loro confronti del divieto previsto dallo stesso articolo, che sono dediti alla commissione di reati che mettono in pericolo l’ordine e la sicurezza pubblica, ovvero l’incolumità delle persone in occasione o a causa dello svolgimento di manifestazioni sportive;
i-bis) ai soggetti indiziati del delitto di cui all’articolo 640 –bis o del delitto di cui all’articolo 416 del codice penale, finalizzato alla commissione di taluno dei delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319 -quater, 320, 321, 322 e 322 -bis del medesimo codice;
i-ter) ai soggetti indiziati dei delitti di cui agli articoli 572 e 612-bis del codice penale o dei delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 575, 583, nelle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, 583-quinquies e 609-bis del medesimo codice.
In secondo luogo – a seguito delle modifiche introdotte all’art.6 del d.lgs. n.159 del 2011, dall’art.2 co.1 lett.b) della legge n.168 del 2023 – la possibilità di disporre gli obblighi e le prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con le modalità di controllo previste all’art.275-bis c.p.p., oltre che all’acquisizione del consenso dell’interessato, è subordinata all’accertamento della fattibilità tecnica, e non più della disponibilità dei relativi dispositivi, come stabilito nel precedente testo.
La nuova formulazione appare idonea a includere i casi nei quali, pur essendo disponibili i dispositivi di controllo, essi non possono essere installati, o comunque funzionare correttamente, per ragioni tecniche (ad esempio, inidoneità dei luoghi, assenza di linea, ecc.).
Inoltre, all’art.6 del d.lgs. n.159 del 2011 è stato aggiunto il comma 3-ter, il quale stabilisce che gli obblighi e le prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale nei confronti dei soggetti di cui all’articolo 4, comma 1, lettera i-ter), siano sempre disposti con le modalità di controllo previste dall’articolo 275-bis, c.p.p., previa acquisizione del consenso dell’interessato e accertamento della relativa fattibilità tecnica.
Qualora l’interessato neghi il consenso all’adozione delle modalità di controllo anzidette, si producono i seguenti effetti:
- la durata della misura non può essere inferiore a tre anni;
- il tribunale impone all’interessato l’obbligo di presentazione all’autorità di P.S. competente, con cadenza almeno bisettimanale, per tutta la durata della misura;
- il tribunale, salva diversa valutazione, impone il divieto o l’obbligo di soggiorno.
Qualora l’organo delegato per l’esecuzione accerti la non fattibilità tecnica dell’applicazione delle predette modalità di controllo, si producono unicamente gli effetti di cui ai punti 2) e 3).
In caso di manomissione degli strumenti tecnici di controllo di cui all’articolo 275-bis c.p.p., la durata della sorveglianza speciale, applicata con le modalità poc’anzi indicate, non può essere inferiore a quattro anni.
- Art.6 (Tipologia delle misure e loro presupposti)
- Alle persone indicate nell’articolo 4, quando siano pericolose per la sicurezza pubblica, può essere applicata, nei modi stabiliti negli articoli seguenti, la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.
- Salvi i casi di cui all’articolo 4, comma 1, lettere a) e b), alla sorveglianza speciale può essere aggiunto, ove le circostanze del caso lo richiedano, il divieto di soggiorno in uno o più comuni, diversi da quelli di residenza o di dimora abituale, o in una o più regioni.
- Nei casi in cui le altre misure di prevenzione non sono ritenute idonee alla tutela della sicurezza pubblica può essere imposto l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale.
3-bis. Ai fini della tutela della sicurezza pubblica, gli obblighi e le prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale possono essere disposti, con il consenso dell’interessato ed accertata la relativa fattibilità tecnica, anche con le modalità di controllo previste all’articolo 275-bis del codice di procedura penale.
3–ter. Quando la sorveglianza speciale è applicata ai soggetti indiziati dei delitti di cui all’articolo 4, comma 1, lettera i-ter), gli obblighi e le prescrizioni di cui al comma 3-bis sono disposti, con il consenso dell’interessato e accertata la relativa fattibilità tecnica, con le particolari modalità di controllo previste dall’articolo 275-bis del codice di procedura penale. Qualora l’interessato neghi il consenso all’adozione delle modalità di controllo anzidette, la durata della misura non può essere inferiore a tre anni e il tribunale prescrive all’interessato di presentarsi all’autorità di pubblica sicurezza preposta alla sorveglianza nei giorni e negli orari indicati, con cadenza almeno bisettimanale, per tutta la durata della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, e impone, salva diversa valutazione, il divieto o l’obbligo di soggiorno ai sensi dei commi 2 e 3 del presente articolo. In caso di manomissione dei mezzi elettronici e degli altri strumenti tecnici di controllo di cui all’articolo 275-bis del codice di procedura penale, la durata della sorveglianza speciale, applicata con le modalità di controllo di cui al secondo periodo, non può essere inferiore a quattro anni. Qualora l’organo delegato per l’esecuzione accerti la non fattibilità tecnica dell’applicazione delle predette modalità di controllo, il tribunale prescrive all’interessato di presentarsi all’autorità di pubblica sicurezza preposta alla sorveglianza nei giorni e negli orari indicati, con cadenza almeno bisettimanale, per tutta la durata della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, e impone, salva diversa valutazione, il divieto o l’obbligo di soggiorno ai sensi dei commi 2 e 3 del presente articolo.
L’art.2 co.1 lett.c) della legge in esame ha modificato l’art.8 co.5 del d.lgs. n.159 del 2011 al fine di rafforzare le prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale di P.S. applicata agli indiziati dei delitti di cui all’art.4, comma 1, lett.i-ter) del medesimo decreto legislativo.
In particolare, è stabilito che – con riferimento agli stessi soggetti e non più nella forma meramente facoltativa – il tribunale impone il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalle persone cui occorre prestare protezione, e l’obbligo di mantenere una determinata distanza, non inferiore a cinquecento metri, da tali luoghi e persone.
Se la frequentazione dei menzionati luoghi risulta necessaria per motivi di lavoro o per altre comprovate esigenze, il tribunale prescrive le relative modalità e può imporre ulteriori limitazioni.
- Art.8 (Decisione).
- Il provvedimento del tribunale stabilisce la durata della misura di prevenzione che non può essere inferiore ad un anno né superiore a cinque.
- Qualora il tribunale disponga l’applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all’articolo 6, nel provvedimento sono determinate le prescrizioni che la persona sottoposta a tale misura deve osservare.
- A tale scopo, qualora la misura applicata sia quella della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e si tratti di persona indiziata di vivere con il provento di reati, il tribunale prescrive di darsi, entro un congruo termine, alla ricerca di un lavoro, di fissare la propria dimora, di farla conoscere nel termine stesso all’autorità di pubblica sicurezza e di non allontanarsene senza preventivo avviso all’autorità medesima.
- In ogni caso, prescrive di vivere onestamente, di rispettare le leggi, e di non allontanarsi dalla dimora senza preventivo avviso all’autorità locale di pubblica sicurezza; prescrive, altresì, di non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza, di non accedere agli esercizi pubblici e ai locali di pubblico trattenimento, anche in determinate fasce orarie, di non rincasare la sera più tardi e di non uscire la mattina più presto di una data ora e senza comprovata necessità e, comunque, senza averne data tempestiva notizia all’autorità locale di pubblica sicurezza, di non detenere e non portare armi, di non partecipare a pubbliche riunioni.
- Inoltre, può imporre tutte le prescrizioni che ravvisi necessarie, avuto riguardo alle esigenze di difesa sociale, e, in particolare, il divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più regioni, ovvero, con riferimento ai soggetti di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), il divieto di avvicinarsi a determinati luoghi, frequentati abitualmente dalle persone cui occorre prestare protezione o da minori. Con riferimento ai soggetti di cui all’articolo 4, comma 1, lettera i-ter), il tribunale impone il divieto di avvicinarsi a determinati luoghi, frequentati abitualmente dalle persone cui occorre prestare protezione, e l’obbligo di mantenere una determinata distanza, non inferiore a cinquecento metri, da tali luoghi e da tali persone. Quando la frequentazione dei luoghi di cui al periodo precedente sia necessaria per motivi di lavoro o per altre comprovate esigenze, il tribunale prescrive le relative modalità e può imporre ulteriori limitazioni.
- Qualora sia applicata la misura dell’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale o del divieto di soggiorno, può essere inoltre prescritto:
1) di non andare lontano dall’abitazione scelta senza preventivo avviso all’autorità preposta alla sorveglianza;
2) di presentarsi all’autorità di pubblica sicurezza preposta alla sorveglianza nei giorni indicati ed a ogni chiamata di essa.
- Alle persone di cui al comma 6 è consegnata una carta di permanenza da portare con sé e da esibire ad ogni richiesta degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza.
- Il provvedimento è comunicato al procuratore della Repubblica, al procuratore generale presso la Corte di appello ed all’interessato e al suo difensore.
Per quanto riguarda i provvedimenti temporanei d’urgenza, previsti dall’art.9, comma 2 del d.lgs. n.159 del 2011, l’art.2 co.1 lett.d) della legge n.168 del 2023 introduce una nuova fattispecie, specificamente rivolta alle ipotesi in cui sia stata proposta la sorveglianza speciale nei confronti di uno dei soggetti di cui all’art. 4, comma 1, lett. i-ter) d.lgs. n.159 del 2011.
In particolare, è stabilito che in tali casi, qualora sussistano motivi di particolare gravità, il presidente del tribunale, con decreto, nella pendenza del procedimento di prevenzione, può disporre la temporanea applicazione, con le particolari modalità di controllo previste dall’articolo 275-bis c.p.p., previo accertamento della relativa fattibilità tecnica, del divieto di avvicinarsi alle persone cui occorre prestare protezione o a determinati luoghi da esse abitualmente frequentati e dell’obbligo di mantenere una determinata distanza, non inferiore a cinquecento metri, da tali luoghi e da tali persone, fino a quando non sia divenuta esecutiva la misura di prevenzione della sorveglianza speciale.
Se l’interessato nega il consenso all’adozione delle modalità di controllo anzidette o l’organo delegato per l’esecuzione accerta la non fattibilità tecnica delle citate modalità di controllo, il presidente del tribunale impone all’interessato, in via provvisoria, l’obbligo di presentazione all’autorità di P.S. competente, con cadenza almeno bisettimanale, fino a quando non sia divenuta esecutiva la misura di prevenzione.
Anche in questo caso, se la frequentazione dei menzionati luoghi risulta necessaria per motivi di lavoro o per altre comprovate esigenze, il presidente del tribunale prescrive le relative modalità e può imporre ulteriori limitazioni.
- Art.9 (Provvedimenti d’urgenza)
- Se la proposta riguarda la misura della sorveglianza speciale con l’obbligo o il divieto di soggiorno, il presidente del tribunale, con decreto, nella pendenza del procedimento di cui all’articolo 7, può disporre il temporaneo ritiro del passaporto e la sospensione della validità ai fini dell’espatrio di ogni altro documento equipollente.
- Nel caso in cui sussistano motivi di particolare gravità, può altresì disporre che alla persona denunciata sia imposto, in via provvisoria, l’obbligo o il divieto di soggiorno fino a quando non sia divenuta esecutiva la misura di prevenzione. Se la proposta della sorveglianza speciale riguarda i soggetti indiziati dei delitti di cui all’articolo 4, comma 1, lettera i-ter), e sussistono motivi di particolare gravità, il presidente del tribunale, con decreto, nella pendenza del procedimento di cui all’articolo 7, può disporre la temporanea applicazione, con le particolari modalità di controllo previste dall’articolo 275-bis del codice di procedura penale, previo accertamento della relativa fattibilità tecnica, del divieto di avvicinarsi alle persone cui occorre prestare protezione o a determinati luoghi da esse abitualmente frequentati e dell’obbligo di mantenere una determinata distanza, non inferiore a cinquecento metri, da tali luoghi e da tali persone, fino a quando non sia divenuta esecutiva la misura di prevenzione della sorveglianza speciale. Qualora l’interessato neghi il consenso all’adozione delle modalità di controllo anzidette o l’organo delegato per l’esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle citate modalità di controllo, il presidente del tribunale impone all’interessato, in via provvisoria, di presentarsi all’autorità di pubblica sicurezza preposta alla sorveglianza nei giorni e negli orari indicati, con cadenza almeno bisettimanale, fino a quando non sia divenuta esecutiva la misura di prevenzione. Quando la frequentazione dei luoghi di cui al secondo periodo sia necessaria per motivi di lavoro o per altre comprovate esigenze, il presidente del tribunale prescrive le relative modalità e può imporre ulteriori limitazioni.
2-bis. Nei casi di necessità e urgenza, il Questore, all’atto della presentazione della proposta di applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza speciale e dell’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale nei confronti delle persone di cui all’articolo 4, comma 1, lettera d), può disporre il temporaneo ritiro del passaporto e la sospensione della validità ai fini dell’espatrio di ogni altro documento equipollente. Il temporaneo ritiro del passaporto e la sospensione della validità ai fini dell’espatrio di ogni altro documento equipollente sono comunicati immediatamente al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove dimora la persona, il quale, se non ritiene di disporne la cessazione, ne richiede la convalida, entro quarantotto ore, al presidente del tribunale del capoluogo della provincia in cui la persona dimora che provvede nelle successive quarantotto ore con le modalità di cui al comma 1. Il ritiro del passaporto e la sospensione della validità ai fini dell’espatrio di ogni altro documento equipollente cessano di avere effetto se la convalida non interviene nelle novantasei ore successive alla loro adozione.
Per la violazione dei divieti, degli obblighi e delle prescrizioni imposti con i provvedimenti d’urgenza di cui all’art.9 co.2, la legge di riforma ha previsto – all’art.75-bis co.1-bis del d.lgs. n.159 del 2011 – un’apposita fattispecie di reato, che punisce il contravventore con la reclusione da uno a cinque anni, consentendo l’arresto anche fuori dei casi di flagranza.
- Art.75-bis Violazione delle misure imposte con provvedimenti d’urgenza
- Il contravventore al divieto di espatrio conseguente all’applicazione delle misure di cui ai commi 1 e 2 -bis dell’articolo 9 è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
1–bis. Il contravventore ai divieti, agli obblighi e alle prescrizioni conseguenti all’applicazione delle misure di cui all’articolo 9, comma 2, è punito con la reclusione da uno a cinque anni; l’arresto è consentito anche fuori dei casi di flagranza.
Iniziative formative in materia di contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica
L’art.6 della legge n.168 del 2023, “in conformità agli obiettivi della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011, ratificata ai sensi della legge 27 giugno 2013, n.77”, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame, incarica l’Autorità politica delegata per le pari opportunità, anche con il supporto del Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio sul fenomeno della violenza nei confronti delle donne e sulla violenza domestica, sentita l’assemblea dell’Osservatorio stesso, fermo restando quanto previsto in materia di formazione degli operatori di polizia dall’articolo 5 della legge 19 luglio 2019, n. 69, a predisporre “apposite linee guida nazionali al fine di orientare una formazione adeguata e omogenea degli operatori che a diverso titolo entrano in contatto con le donne vittime di violenza”.
Nella definizione delle linee programmatiche sulla formazione proposte annualmente dal Ministro della giustizia alla Scuola superiore della magistratura, ai sensi dell’art.5 co.2, del decreto legislativo 30 gennaio 2006 n.26, sono inserite iniziative formative specifiche in materia di contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica.
Obblighi di comunicazione al Questore ai fini dell’esercizio dell’azione di prevenzione
La legge n.168 del 2023 ha introdotto degli specifici obblighi di comunicazione al Questore, con riferimento ai casi di perdita di efficacia o di attenuazione di alcune misure cautelari, affinché l’Autorità di P.S. possa formulare le valutazioni di competenza in materia di misure di prevenzione.
Tale novità normativa va a incrementare la protezione delle vittime di determinate fattispecie di reato, attraverso la tempestiva attivazione del potere di prevenzione nei casi in cui venga meno o si attenui l’operatività degli strumenti di tutela di natura penale.
In primo luogo, al fine di potenziare la “circolarità informativa” e la “multi-attorialità” nel delicato campo della violenza domestica o contro le donne, l’art.14, comma 1, lett. b) della legge in oggetto ha modificato l’art.299 c.p.p., introducendo il comma 2-ter.
La nuova disposizione prevede che, nei procedimenti per i delitti di cui all’articolo 4, comma 1, lett. i-ter) del d.lgs. n.159 del 2011, l’estinzione, l’inefficacia o la revoca delle misure coercitive di cui agli artt.282-bis c.p.p. (allontanamento dalla casa familiare), 282-ter c.p.p. (divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa), 283 c.p.p. (divieto e obbligo di dimora), 284 c.p.p. (arresti domiciliari), 285 c.p.p. (custodia cautelare in carcere) e 286 c.p.p. (custodia cautelare in luogo di cura), ovvero la loro sostituzione con misura meno grave, siano comunicate, a cura della cancelleria, anche per via telematica, al Questore, ai fini dell’eventuale adozione dei provvedimenti, o formulazione di proposte, in materia di misure di prevenzione.
- Art.299 co.2-ter c.p.p.
Nei procedimenti per i delitti di cui all’articolo 4, comma 1, lettera i -ter ), del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, l’estinzione, l’inefficacia pronunciata per qualsiasi ragione o la revoca delle misure coercitive previste dagli articoli 282-bis , 282-ter , 283, 284, 285 e 286 o la loro sostituzione con altra misura meno grave sono comunicati, a cura della cancelleria, anche per via telematica, all’autorità di pubblica sicurezza competente per le misure di prevenzione, ai fini dell’eventuale adozione dei relativi provvedimenti.
Analogamente, nei procedimenti per i delitti di cui all’art.362, co.1-ter, c.p.p. – tentato omicidio ovvero, nelle forme consumate o tentate, maltrattamenti contro familiari e conviventi, violenza sessuale, atti sessuali con minorenne, corruzione di minorenne, violenza sessuale di gruppo, atti persecutori, nonché talune ipotesi aggravate di lesioni personali e deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso – l’estinzione o la revoca delle misure coercitive ovvero la loro sostituzione con misura meno grave saranno comunicati al prefetto ai fini dell’eventuale adozione, sulla base delle valutazioni espresse nell’ambito delle riunioni di coordinamento di cui all’art.5, co.2 del d.l. 6 maggio 2002 n.83, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2002 n.133, di misure di vigilanza dinamica a tutela della persona offesa, con revisione trimestrale delle misure adottate.
In termini operativi, tutto questo si traduce in una dedicata attenzione richiesta agli equipaggi impiegati nei servizi di controllo del territorio nelle zone frequentate dagli obiettivi individuati come sensibili, nell’ambito di apposite modulazioni di percorsi e passaggi, in coerenza con le vigenti pianificazioni territoriali.
- Art.299 co.2 -quater c.p.p.
Nei procedimenti per i delitti di cui all’articolo 362, comma 1 -ter , l’estinzione o la revoca delle misure coercitive di cui al comma 1 del presente articolo o la loro sostituzione con altra misura meno grave sono comunicate al prefetto che, sulla base delle valutazioni espresse nelle riunioni di coordinamento di cui all’articolo 5, comma 2, del decreto-legge 6 maggio 2002, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2002, n.133, può adottare misure di vigilanza dinamica, da sottoporre a revisione trimestrale, a tutela della persona offesa
Il provvedimento che determina il venir meno delle misure cautelari precedentemente disposte, a seguito di sospensione condizionale della pena (art.300 co.3 c.p.p.), deve essere immediatamente comunicato al Questore affinché valuti tempestivamente se richiedere l’applicazione di una delle misure di prevenzione previste dal Libro I, Titolo I, Capo II del d.lgs. n.159 del 2011, e cioè di una delle ipotesi di sorveglianza speciale.
La norma specifica che è fatto salvo quanto previsto dall’art.166, co.2 c.p., a mente del quale ‘la condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo per l’applicazione di misure di prevenzione’
Al riguardo, l’art.164 co.1 c.p. ammette la sospensione condizionale della pena “soltanto se, avuto riguardo alle circostanze indicate nell’articolo 133, il giudice presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati …”
Stante tale assetto normativo, la sorveglianza speciale potrà essere proposta in tutti i casi in cui, dalle valutazioni dell’Autorità di P.S., risultino degli elementi di pericolosità sociale ulteriori rispetto a quelli desumibili dalla sola condanna per la quale è stata concessa la sospensione condizionale della pena.
Pertanto, appare quanto mai opportuno, a seguito della comunicazione di cui sopra – anche qualora le prime valutazioni del Questore abbiano dato esito negativo sulla esperibilità della proposta di sorveglianza speciale – portare avanti un attento monitoraggio della condotta del soggetto, al fine di rilevare l’emersione di eventuali, ulteriori elementi di pericolosità sociale.
Informazioni alla persona offesa dal reato e obblighi di comunicazione
Viene estesa, con la modifica del primo comma dell’art.90 ter c.p.p. la previsione dell’immediata comunicazione alle vittime di violenza domestica o contro le donne, di tutte le notizie inerenti alle misure cautelari disposte nei confronti dell’autore del reato, sia esso imputato in stato di custodia cautelare, comprese l’evasione, la scarcerazione o la volontaria sottrazione dell’internato all’esecuzione della misura di sicurezza detentiva.
- Art.90-ter (Comunicazioni dell’evasione e della scarcerazione).
- Fermo quanto previsto dall’articolo 299, nei procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona sono immediatamente comunicati alla persona offesa che ne faccia richiesta, con l’ausilio della polizia giudiziaria, i provvedimenti di scarcerazione e di cessazione della misura di sicurezza detentiva emessi nei confronti dell’imputato in stato di custodia cautelare o del condannato o dell’internato, ed è altresì data tempestiva notizia, con le stesse modalità, dell’evasione dell’imputato in stato di custodia cautelare o del condannato, nonché della volontaria sottrazione dell’internato all’esecuzione della misura di sicurezza detentiva, salvo che risulti, anche nella ipotesi di cui all’articolo 299, il pericolo concreto di un danno per l’autore del reato.
1-bis. Le comunicazioni previste al comma 1 sono sempre effettuate alla persona offesa e al suo difensore, ove nominato, se si procede per il delitto previsto dall’articolo 575 del codice penale, nella forma tentata, o per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 572, 609-bis , 609-ter, 609 -quater , 609 -quinquies , 609-octies e 612-bis del codice penale, nonché dagli articoli 582 e 583 -quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del codice penale.
La norma è volta a rafforzare la disciplina della tutela specifica introdotta dalla legge 19 luglio 2019, n.69 (c.d. Codice rosso) e richiesta dalla Direttiva 2012/29/UE, per garantire alle vittime di violenza domestica o di genere i più adeguati livelli di informazione e sostegno, assistenza e protezione adeguata, in ogni stato e grado del procedimento.
Prospettive di coordinamento dell’azione amministrativa e giudiziaria
Le misure di contrasto contro la violenza di genere, maltrattamenti sui minori e reati contro le cc.dd. “fasce deboli” richiedono l’attivazione di modelli di prevenzione del fenomeno che si integrino con gli strumenti sanzionatori di natura penale, all’interno di un’unica cornice di interventi finalizzati alla neutralizzazione del rischio di verificazione di azioni violente in contesti domestici.
La funzione preventiva della commissione di azioni violente è stata attuata dal legislatore attraverso un sistema integrato con il riconoscimento di poteri di intervento di natura amministrativa rimessi al Questore territorialmente competente che si pongono in rapporto di alternatività e/o complementarietà con le azioni di prevenzione e cautelari.
Sotto questo profilo, l’ammonimento di cui all’art.3 co.1 d.l. n.93 del 2013, convertito in legge n.119 del 2013, può essere emesso a prescindere dalla presentazione della querela e senza alcuna richiesta da parte della persona offesa, nei casi di segnalazione del catalogo di reati – ampliato dalla legge n.168 del 2023 – consumati nell’ambito di violenza domestica,
E’ possibile prevedere misure di coordinamento tra i poteri amministrativi e gli strumenti di contrasto rimessi all’Autorità Giudiziaria che garantiscano la piena circolarità delle informazioni tra l’A.G. e le Forze di Polizia ed il tempestivo avvio dei procedimenti amministrativi tesi alla valutazione dei presupposti per l’irrogazione del provvedimento di ammonimento con l’acquisizione di ogni elemento utile, in coerenza con i principi e le regole dell’azione amministrativa di cui alla legge n.241 del 1990, nei limiti di compatibilità tra gli stessi e la natura cautelare ed urgente di tali procedimenti.
A tal fine, è stata utilmente sperimentata la definizione di protocolli operativi tra le Procure della Repubblica e le Questure, finalizzati allo scambio informativo ed all’utilizzo combinato delle risultanze dell’attività di controllo del territorio e repressione delle condotte di reato, in occasione della quale le forze dell’ordine possono acquisire elementi di conoscenza sulla sussistenza di condotte di violenza di genere e/o riconducibili ai reati – consumati o tentati – di cui agli artt.572 (con riferimento al singolo episodio dal quale è scaturito l’intervento), 581 e 582 co.2 c.p. ed ora anche 610, 612 co.2, 612 bis, 612 ter, 614 e 635 c.p., su cui vengono redatte apposite annotazioni di polizia giudiziaria dirette all’A.G. al fine delle valutazioni di sussistenza di condotte di reato.
Una prima esperienza operativa è stata in tal senso avviata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano con la direttiva n.414/23 del 18 ottobre 2023 per la prevenzione, repressione e trattamento dei reati contro soggetti vulnerabili e femminicidi.
In queste situazioni, è necessario garantire la piena e completa trasmissione degli atti anche all’autorità amministrativa (Questore) al fine di avviare d’ufficio i procedimenti amministrativi funzionali all’ammonimento dell’autore delle condotte, in attuazione del principio eurounitario di proporzionalità che richiede di valutare la misura da adottare in armonia con i parametri di necessità, idoneità ed adeguatezza delle misure repressive (c.d. test di proporzionalità).
La tempestività di tali azioni consente di avviare azioni di prevenzione di condotte violente, anche nei casi in cui l’azione penale risulti improcedibile per mancanza di querela o siano necessarie attività di indagini che non consentano, nell’immediatezza, l’adozione di misure precautelari o cautelari previste dal codice di procedura penale, che richiedono la sussistenza di gravi indizi di reità.
Di fatto, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, l’ammonimento risponde a quella logica dimostrativa a base indiziaria e di tipo probabilistico che informa l’intero diritto amministrativo della prevenzione, in cui la valutazione amministrativa è diretta non a stabilire responsabilità, ma a prevenire la commissione di reati, mediante un giudizio prognostico ex ante relativo alla sussistenza di un mero pericolo” (tra le altre, cfr. Cons. Stato, sez.III, 18 ottobre 2021 n.6958; Cons. Stato, sez.III, 25 maggio 2015 n.2599). Il provvedimento di ammonimento presuppone, dunque, non l’acquisizione della prova richiesta ai fini della condanna per i reati sopraindicati, ma la sussistenza di soli elementi indiziari dai quali sia possibile desumere, con un adeguato grado di attendibilità, un comportamento reiterato anomalo, minaccioso o semplicemente molesto atto a determinare un perdurante e grave stato si “ansia e paura” nella vittima e potenzialmente degenerare, se non fermato, in condotte costituenti reato.
L’emanazione immediata dei provvedimenti di ammonimento risulta funzionale all’attuazione di finalità dissuasive di soggetti che presentino ancora una capacità di ‘autocontrollo’ in modo da bloccare il tipico percorso di crescente gravità delle condotte di violenza.
L’irrogazione dell’ammonimento consente altresì di procedere d’ufficio nei confronti del soggetto ammonito, nell’ipotesi di condotte rientranti nell’alveo dell’art.612 bis e 612 ter c.p. con la contestazione dell’aggravante di cui all’art.8 co.3 del d.l. n.11 del 2009, nonché una maggiore rapidità anche dell’azione penale, potendosi ritenere accertata, oltre ogni ragionevole dubbio, una volontà di prevaricazione dell’altrui sfera in caso di violazione della misura amministrativa e la sussistenza di un pericolo di recidiva, stante la riscontrata inadeguatezza della stessa a contenere le esigenze di prevenzione.
Sul piano operativo, il coordinamento che è possibile delineare con specifica direttiva del Procuratore della Repubblica si traduce nella predisposizione da parte delle forze dell’ordine, sin dal primo intervento in cui emerga la sussistenza di condotte di violenza di genere o riconducibili ai reati di cui agli artt.572, 581, 582 co.2 c.p. ed ora anche 610, 612 co.2, 612 ter 614 e 635 c.p., una segnalazione di polizia che contenga le ragioni dell’intervento, i soggetti richiedenti, l’attestazione di fatti indicatori di contesti di violenza domestica, la descrizione precisa dei fatti oggetto di diretto accertamento o delle fonti di conoscenza indiretta, l’episodicità o serialità dell’intervento, che dovrà essere trasmessa, nell’immediatezza, alla Questura territorialmente competente per l’adozione del provvedimento di ammonimento (Divisione Anticrimine) o per la proposta di adozione di eventuali provvedimenti inibitori del possesso di titoli autorizzatori o abilitanti (Divisione Amministrativa).
La trasmissione in argomento non si sostituisce ma si aggiunge alla comunicazione di notizia di reato all’A.G. e alle comunicazioni previste dagli artt.64 r.d. n.1169 del 1934 per l’Arma dei Carabinieri, rendendo queste ultime non più meramente riassuntive ma circostanziate per le finalità sopra descritte.
La Divisione Anticrimine territorialmente competente, ove si determini all’emissione del provvedimento di ammonimento, provvederà a comunicarlo senza ritardo all’A.G. procedente. che a sua volta provvederà a trasmettere alla Divisione Anticrimine territorialmente competente i provvedimenti di archiviazione relativi ai reati di cui agli artt.572, 581, 582 co.2 ove ricorrano le aggravanti previste dall’art.585 in relazione agli artt.576 n.2 e n.5 c.p. e 577 co.1 n.1 e co.2 c.p., 612 co.2, 612 bis, 612 ter, 614 e 635 c.p., ove emergano i presupposti previsti per l’esercizio dei poteri di ammonimento indicati nelle disposizioni di legge sopra richiamate
Disposizioni in materia di sospensione condizionale della pena
L’art.15 co.1 della legge n.168 del 2023 è intervenuto sull’art.165 c.p., in materia di sospensione condizionale della pena, andando a sostituire il comma 5 e modificando gli obblighi ai quali il condannato deve soggiacere per accedere al beneficio, richiedendosi non solo la partecipazione a specifici percorsi di recupero ma anche il superamento degli stessi con esito favorevole, accertato dal giudice.
Viene altresì previsto che qualsiasi violazione ingiustificata degli obblighi connessi allo svolgimento del percorso di recupero, ivi compresa una sola assenza, costituisce inadempimento rilevante ai fini della revoca della sospensione, ai sensi dell’articolo 168 co.1 n.1 c.p..
- Art.165 co.5 c.p. – Obblighi del condannato
Nei casi di condanna per il delitto previsto dall’articolo 575, nella forma tentata, o per i delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612-bis, nonché agli articoli 582 e 583-quinquies nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, la sospensione condizionale della pena è sempre subordinata alla partecipazione, con cadenza almeno bisettimanale, e al superamento con esito favorevole di specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati, accertati e valutati dal giudice, anche in relazione alle circostanze poste a fondamento del giudizio formulato ai sensi dell’articolo 164. Del provvedimento che dichiara la perdita di efficacia delle misure cautelari ai sensi dell’articolo 300, comma 3, del codice di procedura penale è data immediata comunicazione, a cura della cancelleria, anche per via telematica, all’autorità di pubblica sicurezza competente per le misure di prevenzione, ai fini delle tempestive valutazioni concernenti l’eventuale proposta di applicazione delle misure di prevenzione personali previste nel libro I, titolo I, capo II, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 59, fermo restando quanto previsto dall’articolo 166, secondo comma, del presente codice. Sulla proposta di applicazione delle misure di prevenzione personali ai sensi del periodo precedente, il tribunale competente provvede con decreto entro dieci giorni dalla richiesta. La durata della misura di prevenzione personale non può essere inferiore a quella del percorso di recupero di cui al primo periodo. Qualsiasi violazione della misura di prevenzione personale deve essere comunicata senza ritardo al pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di condanna, ai fini della revoca della sospensione condizionale della pena ai sensi dell’articolo 168, primo comma, numero 1).
La norma, tuttavia, non individua alcuna istituzione pubblica che possa fornire al giudice la consulenza necessaria sia per individuare gli enti o le associazioni presso cui svolgere i programmi riabilitativi, sia per supervisionare l’effettivo svolgimento dei percorsi di recupero.
Trattandosi di un provvedimento afferente all’area penale, si è ritenuto che la struttura di elezione per tale compito sia l’ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE), in particolare per ciò che concerne il monitoraggio e la verifica dell’effettiva partecipazione ai percorsi di recupero da parte dei condannati per i reati di violenza domestica e del loro esito, con la corretta esecuzione degli obblighi previsti.
Tra i compiti dell’U.E.P.E. l’art.72 della legge 26 luglio 1975, n.354 (c.d. ordinamento giudiziario) ricomprende quelli concernenti le proposte all’autorità giudiziaria relative al programma di trattamento da applicare ai condannati che chiedono di essere ammessi all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare (co.2 lett.c) e il controllo / accertamento / monitoraggio, riferendone gli esiti all’autorità giudiziaria e proponendo eventuali interventi di modificazione o di revoca sull’esecuzione dei programmi da parte degli ammessi alle misure alternative (co.2 lett.d).
L’art.15 co.2 della legge in esame modifica, al contempo, l’art.18-bis delle disposizioni di coordinamento e transitorie per il codice penale, in modo da prevedere che la sentenza, al momento del suo passaggio in giudicato, sia comunicata all’ufficio di esecuzione penale esterna, affinché lo stesso accerti l’effettiva partecipazione del condannato al percorso di recupero e, nel caso di inadempimento di uno qualsiasi degli obblighi imposti, ne dia immediata comunicazione al pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza, il quale attiverà conseguentemente il procedimento di esecuzione per la revoca della sospensione condizionale della pena. Per garantire la tempestiva informazione in ordine ad eventuali inadempimenti, gli enti o le associazioni presso cui il condannato svolge il percorso di recupero forniranno immediata comunicazione all’ufficio di esecuzione penale esterna di qualsiasi violazione ingiustificata degli obblighi connessi allo svolgimento del percorso di recupero.
Anche da questa modifica si desume che il giudice si avvale degli uffici di esecuzione penale esterna per individuare gli enti o le associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per reati di violenza domestica e di genere e gli specifici percorsi di recupero previsti dalla stessa norma.
Ad ogni modo, sulla proposta di sorveglianza speciale avanzata ai sensi del nuovo art.165 co.5 c.p., il tribunale deve decidere entro 10 giorni, e la durata della misura di prevenzione non può essere inferiore a quella del percorso di recupero disposto dal giudice con la sospensione condizionale della pena.
Inoltre, qualsiasi violazione della misura di prevenzione deve essere comunicata al pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di condanna, al fine della revoca della sospensione condizionale della pena ai sensi dell’articolo 168, primo comma, n.1, c.p..
Assistenza alla vittima e percorsi di recupero del maltrattante: tra invito ed ingiunzione trattamentale
L’intero impianto normativo per il contrasto alla violenza di genere ha il pregio di valorizzare le potenzialità di accesso a percorsi di recupero attraverso lo strumento dell’invito a parteciparvi anche in relazione all’ammonimento del Questore, senza necessariamente determinare problematiche in merito ad un istituto monitorio che mantiene una natura amministrativa, sebbene con caratteristiche peculiari.
A fronte dell’ingiunzione trattamentale – strumento a disposizione dell’autorità giudiziaria, resta invariato il mero onere informativo in virtù del quale il questore “informa senza indugio l’autore del fatto circa i servizi disponibili sul territorio, inclusi i consultori familiari, i servizi di salute mentale e i servizi per le dipendenze, (…) finalizzati ad intervenire nei confronti degli autori di violenza domestica o di genere”.
Tuttavia si fa ancor più stringente l’esigenza di puntare in maniera decisa sul recupero del maltrattante. Tale connotazione, già presente nell’enunciato dell’art.165 c.p. in tema di sospensione condizionale della pena dopo la modifica introdotta dall’art.6 della legge n.69 del 2019, viene ulteriormente rafforzata, prevedendosi la sistematica subordinazione (mediante l’introduzione dell’avverbio ‘sempre’) alla partecipazione, “con cadenza almeno bisettimanale” a “specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati, accertati e valutati dal giudice”.
L’obbligo è tassativo, prevede un numero minimo di sedute e il percorso deve essere superato “con esito favorevole”.
Anche la durata dell’ammonimento (sia per stalking che per violenza domestica) “non può essere inferiore a quella del percorso di recupero”, così come la revoca del provvedimento su istanza dell’ammonito potrà essere valutata “non prima che siano decorsi tre anni” dall’emissione dell’atto, “valutata la partecipazione del soggetto” ai suddetti percorsi di recupero.
Va, tuttavia, rimosso preliminarmente un possibile equivoco sulla natura del trattamento: sebbene persista l’idea che l’autore di maltrattamenti, violenze sessuali o atti persecutori sia un soggetto affetto da patologia psichiatriche da curare, l’esperienza giudiziaria e quella delle strutture impegnate nel percorso di trattamento e recupero dimostra che l’agente violento non risulta affetto da alcuna patologia sul piano psicologico-psichiatrico, ai sensi dell’art.85 c.p., e che la sua condotta maltrattante si sviluppa su un binario di piena consapevolezza, dovendosi così ricercare la causa scatenante della condotta violenta in una matrice subculturale che autorizza la liberazione di impulsi aggressivi nei confronti di una donna in quanto espressione di un genere ritenuto secondario.
In ambito scientifico si discute, partendo da una valutazione pragmatica che evidenzia come gli uomini condannati per reati catalogo espressivi di violenza di genere non sottoposti a trattamento alcuno su un piano di sensibilizzazione relativa al disvalore del comportamento commesso, comportamento che tendono a negare o a minimizzare, presentino un alto tasso di recidiva, se debbano essere approntati programmi mirati alla riabilitazione di genere dei maltrattanti, degli stupratori domestici e degli stalker. Ed invero, al di là del dibattito che sembra caratterizzato da scivolamenti ideologici laddove si ritiene inopportuno investire risorse a favore dei violenti sottraendole alla tutela delle vittime, occorre osservare come tutte le convenzioni internazionali prevedano, proprio per l’attivazione di circuiti virtuosi che attraverso il trattamento degli autori, perseguendo finalità di prevenzione speciale, mirano a contenere i tassi di recidiva e quindi i costi sociali della violenza, la necessità che gli Stati adottino degli interventi di recupero degli uomini violenti.
Peraltro, nell’ambito degli autori di reati sessuali, la legge n.172 del 2012, di ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa del 2007 per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale (c.d. Convenzione di Lanzarote), ha introdotto la possibilità per i responsabili di delitti a sfondo sessuale di sottoporsi volontariamente ad un programma di riabilitazione, disciplinato dall’articolo 13 bis, ai fini di un’eventuale accesso ai benefici penitenziari. Grazie a questo intervento normativo, negli istituti penitenziari vengono applicati programmi di trattamento per gli uomini violenti finalizzati ad una responsabilizzazione per le violenze esercitate ed alla riduzione del tasso di recidiva.
Ad esempio, nella casa di reclusione di Milano-Bollate è attivo il “progetto di trattamento e presa in carico di autori di reati sessuali in unità di trattamento intensificato e sezione attenuata” ovvero un programma di trattamento per i c.d. sex offenders. Tale programma è costruito su due vie di approccio psicoterapeutiche, ovvero gli interventi psicologici volti ad ottenere dei cambiamenti evolutivi della personalità e della condotta, che possono consistere in trattamenti di tipo comportamentale prevalentemente indicati nella cura dei disturbi compulsivi oppure in tecniche psicoterapeutiche psicodinamiche e cognitive, individuali e di gruppo, indicata per quei soggetti che il cui comportamento sessuale deviante è riconducibile ad una generale deformazione della personalità che si è strutturata in tal modo sin dagli anni dello sviluppo. Entrambe le terapie possono richiedere l’ausilio di trattamenti psicofarmacologici. Tuttavia, parte degli esperti sottolineano che il trattamento, rappresentando semplicemente un elemento di valutazione positiva ai fini della concessione dei benefici penitenziari, è privo di una propria individualità nei termini di misura di sicurezza o di pena accessoria; di una disciplina dettagliata circa l’organo competente (istituzioni solo pubbliche o private) a tenere tale programma; di parametri per la valutazione della partecipazione dell’interessato al programma; di modalità organizzative riguardo lo svolgimento del programma, ovvero all’interno o anche all’esterno del carcere.
Il legislatore, con l’intervento normativo del 2013, ha previsto una sorta di “ingiunzione terapeutica” nei confronti del soggetto indiziato di uno dei reati catalogo della violenza di genere: con la modifica apportata all’art.282 quater c.p.p. l’agente sottoposto ad una misura non detentiva dell’allontanamento dalla casa familiare o del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, allorquando “si sottopone positivamente ad un programma di prevenzione della violenza organizzato dai servizi del territorio, il responsabile del servizio ne dà comunicazione al pubblico ministero e al giudice ai fini della valutazione ai sensi dell’art.299 comma 2“ (attenuazione delle esigenze cautelari).
Si tratta, in sostanza, di un invito che viene rivolto al presunto autore, (in quanto non ancora condannato in via definitiva) di reati riguardanti la violenza domestica a sottoporsi ad un’osservazione di tipo trattamentale con la prospettiva, a valenza tipicamente premiale e quindi implicitamente incentivante, che tale comportamento potrà essere valutato positivamente dal giudice della misura sul piano di una riconsiderazione della pericolosità sociale.
Ferma restando la necessità di proseguire sui binari di un intervento di tipo trattamentale che abbia come finalità quella di rendere consapevole l’autore di reati di violenza di genere della profonda antigiuridicità del comportamento tenuto, è parso opportuno costruire, con un apposito intervento legislativo, un meccanismo di incentivazione di tipo premiale, realizzato presso strutture accreditate da professionisti formati ed esperti, finalizzato allo studio ed alla rimozione delle cause scatenanti il comportamento aggressivo, con la conseguente possibilità di usufruire, in casi di riuscita del progetto di recupero e di reale assenza di rischio di recidiva, di tutti i benefici processuali previsti dal nostro sistema nelle diverse fasi del procedimento penale, sia di cognizione che di esecuzione della pena.
Soluzioni diverse, per esempio di tipo coattivo, porrebbero dei seri problemi di costituzionalità sul piano della prevista libertà di sottoporsi a programmi di tipo terapeutico e di riuscita stessa del progetto che presuppone, comunque, una libera volontà di adesione da parte dell’interessato.
Nell’esperienza sviluppata nella prassi operativa, gli interventi trattamentali di questo tipo sono già realizzati nell’ambito dell’applicazione delle misure di prevenzione personali e nel momento dell’emissione da parte del Questore del provvedimento di ammonimento sia per i delitti di atti persecutori che per quelli c.d. sentinella del maltrattamento, con risultati ampiamenti positivi sul piano dell’assenza di recidiva nel breve termine.
Basti ricordare, in proposito, l’esperienza del c.d. protocollo Zeus, attiva in oltre la metà delle Questure e contrassegnata dall’invio e dalla presa in carico delle persone ammonite da parte di Centri specialistici.
La sottoscrizione di questi Protocolli non rappresenta una mera dichiarazione di intenti, ma prevede anche la formazione specifica per il personale della Polizia di Stato
Si osserva, inoltre, che la percentuale di ammoniti che hanno aderito al trattamento e che sono, successivamente, risultati recidivi (cioè sono stati denunciati per maltrattamenti in famiglia o atti persecutori) ha un andamento decrescente nel tempo.
Se nel 2020 i soggetti denunciati per atti persecutori o per violenza domestica dopo essere stati ammoniti erano il 20% di tutti quelli a cui era stato irrogata la misura di prevenzione, nel 2021 la percentuale scende al 16% e nel 2022 al 12% (fonte: Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale Anticrimine).
I richiamati percorsi trattamentali si caratterizzano una spiccata finalità rieducativa rimessa all’intervento dell’Ufficio di esecuzione penale esterna per il soggetto condannato a pena sospesa e al raccordo tra la Questura ed il centro deputato al trattamento per quanto concerne le misure dell’ammonimento.
In questo caso, le modalità attuative dei protocolli in materia di atti persecutori, violenza domestica, violenza di genere e cyberbullismo prevedono incontri periodici di aggiornamento volti alla discussione delle criticità emergenti e alla trattazione di eventuali proposte migliorative, verifiche sull’effettiva presentazione dei soggetti ai colloqui e sull’esito finale del percorso.
Accelerazione dei processi, anche nella fase cautelare
In forza dell’art.3 della legge n.168 del 2023 il rapido e prioritario svolgimento dei processi in materia di violenza contro le donne viene ora esteso anche ad altre fattispecie, quali la costrizione o induzione al matrimonio; la deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso; la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa; la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti; lo stato di incapacità procurato mediante violenza; le lesioni personali, in alcune ipotesi aggravate (per esempio quando il fatto è commesso contro i genitori, i figli o i coniugi/partner).
Nei casi indicati dall’articolo 132 -bis , comma 1, lettera a -bis ), delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, come sostituita dall’articolo 3 della legge in esame assicurata priorità anche alla trattazione delle richieste di misura cautelare personale (art.4 della legge n.168 del 2023).
art.132 bis co.1 norme att. coord. e trans. c.p.p.
lett.a-bis): ai delitti previsti dagli articoli 387 -bis , 558 -bis , 572, 582, nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, 583 -quinquies , 593 -ter , da 609-bis a 609 octies , 612 -bis , 612-ter e 613, terzo comma, del codice penale
Attribuzioni del Procuratore della Repubblica
L’art.5 della legge n.168 del 2023 prevede l’obbligo (e non più la mera facoltà), per il Procuratore della Repubblica, di individuare uno o più procuratori aggiunti o uno o più magistrati addetti all’ufficio per la cura degli affari in materia di violenza contro le donne e domestica.
Termini per la valutazione delle esigenze cautelari
L’art.7 della legge n.168 del 2023 inserisce, nel codice di procedura penale, un nuovo articolo (art.362 bis, rubricato misure urgenti di protezione della persona offesa), con la previsione che il pubblico ministero, “qualora si proceda per il delitto di cui all’articolo 575, nell’ipotesi di delitto tentato, o per i delitti di cui agli articoli 558 -bis , 572, 582, nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, 583 -bis , 583 -quinquies , 593 -ter , da 609 -bis a 609 -octies , 610, 612, secondo comma, 612 -bis , 612 -ter e 613, terzo comma, del codice penale, consumati o tentati, commessi in danno del coniuge, anche separato o divorziato della parte dell’unione civile o del convivente o di persona che è legata o è stata legata da relazione affettiva ovvero di prossimi congiunti”, effettuate le indagini ritenute necessarie, abbia un massimo di 30 giorni dall’iscrizione della persona indagata nell’apposito registro per valutare se richiedere l’applicazione delle misure cautelari.
Ulteriori 30 giorni al massimo saranno a disposizione del giudice per la decisione sull’istanza. Anche qualora il pubblico ministero non ravvisi i presupposti per la richiesta delle misure cautelari, dovrà proseguire le indagini preliminari. Il giudice avrà 20 giorni dal deposito dell’istanza cautelare presso la cancelleria per decidere in ordine alla richiesta del P.M.
Ai sensi dell’art.8 della legge n.168 del 2023 rubricato (“Rilevazione dei termini”) e del nuovo comma 1 bis introdotto all’articolo 127 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989 n.271, “il procuratore generale presso la corte di appello acquisisce ogni tre mesi dalle procure della Repubblica del distretto i dati sul rispetto dei termini relativi ai procedimenti di cui all’articolo 362 -bis del codice di procedura penale e invia al procuratore generale presso la Corte di cassazione una relazione almeno semestrale”.
Violazione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari
L’art.9 della legge in esame reca un’armonizzazione degli effetti penali della violazione delle misure coercitive ex artt. 282-bis e 282-ter c.p.p. e della violazione degli ordini di protezione emessi ex art.342-ter, co.1 c.c..
L’art.387-bis c.p. prevede il reato di violazione delle misure cautelari adottate dal giudice penale dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa nonché di violazione del provvedimento di allontanamento d’urgenza dalla casa familiare adottato dalla polizia giudiziaria previa autorizzazione del pubblico ministero.
Tale reato è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e sei mesi. Per lo stesso delitto, l’art.380, comma 2, lettera l-ter) c.p.p. come modificato dall’art.2, comma 15, della legge 27 settembre 2021 n.134, prevede l’arresto obbligatorio in flagranza. La medesima disciplina viene estesa alla violazione degli ordini di protezione emessi dal giudice in sede civile, attualmente sanzionata dall’art.388 c.p. (mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice) con la reclusione fino a tre anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032, 1.032, senza la previsione dell’arresto obbligatorio in flagranza.
“Considerato che l’ordine di protezione contro gli abusi familiari di cui all’articolo 342-ter, primo comma, del codice civile presuppone una condotta pregiudizievole per l’integrità fisica o morale del coniuge o convivente e che viene emesso dal giudice all’esito di una compiuta istruttoria, appare ragionevole equiparare le conseguenze della violazione del predetto ordine emesso in sede civile a quelle previste per la violazione delle misure cautelari del divieto di avvicinamento o dell’obbligo di allontanamento: in entrambi i casi, infatti, l’autore della violazione ha posto previamente in essere una condotta ai danni del convivente tale da dover essere allontanato dall’abitazione (con eventuale prescrizione anche del divieto di avvicinamento) e ha poi dimostrato di non essere in grado di autodeterminarsi, eludendo il provvedimento dell’autorità giudiziaria”.
Arresto in flagranza differita
L’art.10 introduce nel codice di procedura penale un nuovo art.382-bis, che configura un’ipotesi di arresto in flagranza differita.
La nuova disposizione stabilisce che, nei casi di cui agli articoli 387-bis (violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa), 572 (maltrattamenti contro familiari o conviventi) e 612-bis (atti persecutori) del codice penale, “si considera comunque in stato di flagranza colui il quale, sulla base di documentazione videofotografica o di altra documentazione legittimamente ottenuta da dispositivi di comunicazione informatica o telematica, dalla quale emerga inequivocabilmente ilfatto, ne risulta autore, sempre che l’arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro le quarantotto ore dal fatto”.
La misura permette di procedere all’arresto anche se il soggetto, al momento di arrivo delle forze dell’ordine, si è allontanato, così ovviandosi a problematiche di carattere procedurale oggetto di differente interpretazione da parte della Suprema Corte. La formulazione della norma ricalca quella di cui all’articolo 8 della legge n.401 del 1989, come modificata nel 2003, per i reati commessi con violenza alle persone in occasione delle manifestazioni sportive. Considerata l’equiparazione del trattamento penale del divieto di allontanamento previsto in sede civile con quello adottato in sede cautelare penale, anche in quella ipotesi si consente l’arresto differito.
Un effetto indiretto di questa misura riguarda la concreta messa in protezione della vittima, che “viene normalmente collocata in una casa rifugio in attesa che venga emessa una misura cautelare a carico dell’aggressore con una evidente distorsione dell’intervento che costringe la vittima a nascondersi quando dovrebbe essere l’autore del reato ad essere messo in una condizione di limitazione della sua libertà personale tale da consentire alla donna di sentirsi protetta mediante un intervento di polizia giudiziaria assolutamente efficace e risolutivo” (così Roia F., Audizione Commissione Giustizia Senato dell’11 giugno 2019, contributo consultabile su www.senato.it).
Disposizioni in materia di allontanamento d’urgenza dalla casa familiare
L’art.11 della legge in esame, attraverso la modifica dell’art.384 bis c.p.p., potenzia l’istituto dell’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare, prescindendo dal pericolo di fuga e dalla flagranza quando si procede nei confronti della persona gravemente indiziata di uno dei delitti previsti dagli articoli 387 bis, 572, 582, limitatamente alle ipotesi procedibili d’ufficio o comunque aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, e 612 -bis del codice penale o di altro delitto, consumato o tentato, commesso con minaccia o violenza alla persona per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni, ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave e attuale pericolo la vita o l’integrità fisica della persona offesa e non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice.
Secondo la precedente formulazione, nel caso della violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, eseguito l’arresto ed in assenza di un tempestivo provvedimento di aggravamento della misura cautelare da parte del giudice, in seguito a richiesta del pubblico ministero, conseguiva l’immediata liberazione dell’arrestato. Con la deroga ai limiti di pena ex art.391 co.5 secondo periodo ultima parte c.p.p. si è inteso ovviare a questa limitazione.
Pertanto la disposizione, nell’ottica di una pronta ed efficace tutela dell’incolumità della persona offesa, consente l’intervento tempestivo alla polizia giudiziaria qualora l’urgenza della situazione, valutata sulla base di specifici elementi, non permetta di attendere il provvedimento cautelare del giudice.
La nuova misura viene prevista per categorie di reati, quali i maltrattamenti in famiglia, le lesioni e lo stalking, che normalmente preludono alla commissione di condotte criminose più gravi o comunque delitti commessi con minaccia e violenza, anch’essi sintomatici di una condotta aggressiva e violenta dell’autore, in ordine alla quale è necessario un intervento tempestivo per evitare che la vita o l’incolumità della persona offesa sia posta in pericolo con la commissione di delitti con uso di armi o con altri mezzi di violenza personale.
«Art. 384 -bis (Allontanamento d’urgenza dalla casa familiare)
- Gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria hanno facoltà di disporre, previa autorizzazione del pubblico ministero, scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, o per via telematica, l’allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti di chi è colto in flagranza dei delitti di cui all’articolo 282 -bis , comma 6, ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa. La polizia giudiziaria provvede senza ritardo all’adempimento degli obblighi di informazione previsti dall’articolo 11 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, e successive modificazioni.
- Si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui agli articoli 385 e seguenti del presente titolo. Si osservano le disposizioni di cui all’articolo 381, comma 3. Della dichiarazione orale di querela si dà atto nel verbale delle operazioni di allontanamento.
2-bis .Fermo restando quanto disposto dall’articolo 384, anche fuori dei casi di flagranza, il pubblico ministero dispone, con decreto motivato, l’allontanamento urgente dalla casa familiare, con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti della persona gravemente indiziata di taluno dei delitti di cui agli articoli 387 -bis, 572, 582, limitatamente alle ipotesi procedibili d’ufficio o comunque aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, e 612 -bis del codice penale o di altro delitto, consumato o tentato, commesso con minaccia o violenza alla persona per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni, ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave e attuale pericolo la vita o l’integrità fisica della persona offesa e non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice.
2-ter. Entro quarantotto ore dall’esecuzione del decreto di cui al comma 2 -bis, il pubblico ministero richiede la convalida al giudice per le indagini preliminari competente in relazione al luogo nel quale il provvedimento di allontanamento d’urgenza è stato eseguito.
2-quater. Il giudice fissa l’udienza di convalida al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive, dandone avviso senza ritardo al pubblico ministero e al difensore.
2-quinquies. Il provvedimento di allontanamento d’urgenza diviene inefficace se il pubblico ministero non osserva le prescrizioni del comma 2 -ter.
2-sexies. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 385 e seguenti del presente titolo
Rafforzamento delle misure cautelari e dell’uso del braccialetto elettronico
L’art.12 della legge in esame interviene sulla disciplina delle particolari modalità di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici di cui all’articolo 275-bis c.p.p., nei casi previsti dagli articoli 282-bis e 282-ter c.p.p. ed ai fini dell’applicabilità della misura coercitiva degli arresti domiciliari, anche in sostituzione di quella della misura cautelare in carcere, nonché sulle trasgressioni delle prescrizioni e degli obblighi derivanti dall’applicazione delle misure cautelari disposte in relazione al verificarsi di fatti riconducibili a episodi di violenza domestica o di genere: a tutte queste misure, infatti, può essere abbinata – come condizione per la loro concessione – anche una modalità di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici.
E’ soppresso l’obbligo, ora vigente in capo al giudice procedente, di verificare in via preventiva la disponibilità degli apparati necessari da parte della polizia giudiziaria. Questa previsione, di per sé, non è parsa idonea a risolvere i problemi finora riscontrati in ordine all’approvvigionamento e al corretto funzionamento dei dispositivi, forniti dal gestore aggiudicatario del vigente contratto di appalto.
Si richiede, pertanto, analogamente a quanto specificato per le misure di prevenzione con uso del braccialetto elettronico e in luogo della verifica sulla disponibilità dello strumento, un “previo accertamento della relativa fattibilità tecnica da parte della polizia giudiziaria”.
L’applicazione della misura cautelare in carcere è ora prevista, in forza della modifica dell’art.276 co.1 ter c.p.p., non solo nel caso di trasgressione alle prescrizioni degli arresti domiciliari ma anche nel caso di manomissione dei mezzi elettronici e degli strumenti di controllo disposti con la misura degli arresti domiciliari o con le misure di allontanamento dalla casa familiare o divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.
L’art.2 co.1 lettera c), tramite la modifica dell’art.282 bis co.6 c.p. stabilisce che, nel disporre la misura coercitiva dell’allontanamento dalla casa familiare con le modalità di controllo previste all’art.275-bis c.p.p., il giudice prevede altresì l’applicazione, anche congiunta, di una misura più grave qualora l’imputato neghi il consenso all’adozione delle citate modalità di controllo. Qualora l’organo delegato per l’esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle predette modalità di controllo, il giudice impone l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi.
Si estendono al tentato omicidio e alla deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso (qualora commessi in danno dei prossimi congiunti o del convivente) le fattispecie per le quali è consentita l’applicazione della misura dell’allontanamento anche al di fuori dei limiti di pena previsti e si prevede il controllo del rispetto degli obblighi tramite il braccialetto elettronico e la prescrizione di mantenere una determinata distanza, comunque non inferiore a 500 metri, dalla casa familiare o da altri luoghi determinati, abitualmente frequentati dalla persona offesa, “salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro. In tale caso, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni”.
Con la successiva lettera d), si registrano due distinti interventi sulla disciplina del provvedimento di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.
In forza del riformulato comma 1 dell’art.282 ter c.p.p., “con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza, comunque non inferiore a cinquecento metri, da tali luoghi o dalla persona offesa, disponendo l’applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall’articolo 275–bis. Nei casi di cui all’articolo 282 -bis, comma 6, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 280. Con lo stesso provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prevede l’applicazione, anche congiunta, di una misura più grave qualora l’imputato neghi il consenso all’adozione delle modalità di controllo previste dall’articolo 275 -bis . Qualora l’organo delegato per l’esecuzione accerti la non fattibilità tecnica delle predette modalità di controllo, il giudice impone l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi”
Le distanze vengono rideterminate nel co.2 dell’art.282-ter c.p.p. in misura comunque non inferiore a cinquecento metri, con l’applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall’articolo 275-bis c.p.p..
Ulteriori disposizioni in materia di misure cautelari coercitive
Le modifiche agli articoli 275 e 280 c.p.p. apportate dall’art.13 della legge in esame, derogano ai limiti edittali precedenti per consentire di applicare la custodia cautelare in carcere, al ricorrere delle condizioni previste dalla legge, anche per il reato di lesioni personali (articolo 582 del codice penale), nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del codice penale.
Si tratta delle aggravanti già valorizzate, per il medesimo reato di lesioni personali, dalla legge 19 luglio 2019 n.69, in relazione alle modifiche introdotte in materia di obbligo di riferire la notizia del reato (articolo 347 c.p.p.), di assunzioni di informazioni (art.362 c.p.p.), di compimento di atti diretti e delegati dal pubblico ministero (articolo 370 c.p.p.), di sospensione condizionale della pena (art.165 c.p.), di obblighi informativi (art-64-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie c.p.p. e articoli 90-bis e 190-bis c.p.p.): l’avere commesso il fatto contro l’ascendente o il discendente, quando concorre taluna delle circostanze indicate nei numeri 1 e 4 dell’articolo 61 del codice penale o quando è adoperato un mezzo venefico o un altro mezzo insidioso, ovvero quando vi è premedita-zione (articolo 576, primo comma, numero 2, del codice penale); l’avere commesso il fatto in occasione della commissione di taluno dei delitti previsti dagli articoli 572, 583-quinquies, 600-bis, 600-ter, 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale (articolo 576, primo comma, numero 5, del codice penale); l’essere stato il fatto commesso dall’autore del delitto previsto dall’articolo 612-bis del codice penale nei confronti della persona offesa (articolo 576, primo comma, numero 5.1, del codice penale); l’avere commesso il fatto contro l’ascendente o il discendente anche per effetto di adozione di minorenne o contro il coniuge, anche legalmente separato, contro l’altra parte dell’unione civile o contro la persona stabilmente convivente con il colpevole o ad esso legata da relazione affettiva (art.577 co.1 n.1 c.p.); l’avere commesso il fatto contro il coniuge divorziato, l’altra parte dell’unione civile, ove cessata, la persona legata al colpevole da stabile convivenza o relazione affettiva, ove cessate, il fratello o la sorella, l’adottante o l’adottato nei casi regolati dal titolo VIII del libro primo del co-dice civile, il padre o la madre adottivi, o il figlio adottivo, o contro un affine in linea retta (art.577 co.2 c.p.).
Le aggravanti suddette, per effetto della disposizione di cui all’art.585 c.p., fanno scattare l’aumento della pena da un terzo alla metà nei casi dell’art.576 c.p. e di un terzo nei casi dell’art.577 c.p. e giustificano, in tal senso, una deroga alla disposizione di cui all’articolo 275, comma 2-bis, c.p.p. (secondo cui, di regola, non può applicarsi la misura della custodia cautelare in carcere se il giudice ritiene che, all’esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni di reclusione), a fronte di un reato, quale quello di lesioni, che nelle ipotesi non aggravate è punito con una pena della reclusione da sei mesi a tre anni.
Pure a fronte dei maggiori oneri di controllo sul rispetto delle misure e delle prescrizioni “si assicura che le attività conseguenti le modifiche apportate (…) potranno essere espletate attraverso il rafforzamento delle forme di collaborazione già esistenti tra gli organi preposti alla verifica dell’esecuzione delle misure impartite e all’accertamento dei fatti e delle condotte oggetto di trasgressione, tanto presso gli uffici giudiziari che presso gli uffici delle Forze dell’ordine interessate” (cfr. Relazione tecnica, cit., p.15: “la norma ha carattere precettivo – ordinamentale ed è diretta a rafforzare la prevenzione del verificarsi di eventi ancora più gravi, inibendo la libertà personale o di circolazione di coloro che hanno dimostrato comportamenti antisociali e un’indole comunque propensa alla reiterazione della condotta per la quale risultano perseguiti. Pertanto, si tratta di un efficientamento delle misure di prevenzione e contrasto di un fenomeno dilagante diretto a creare una sinergia di interventi tra le amministrazioni coinvolte (Interno e Giustizia) che già sono impegnate nella repressione delle violenze ciascuna nell’ambito di competenza e funzioni istituzionali. Pertanto, l’attuazione dell’intervento normativo, non comporta nuovi o maggiori oneri atteso che le attività, svolte tramite l’adozione di opportune misure organizzative, di riprogrammazione della spesa e di miglioramento delle forme di collaborazione già esistenti, potranno essere fronteggiate con l’utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente”).
Va osservato, tuttavia, che l’impegno richiesto alle forze di Polizia per la verifica sull’osservanza delle prescrizioni imposte deve coniugarsi con gli ulteriori oneri derivanti dalle misure di vigilanza dinamica che saranno disposte dal Prefetto in relazione ai procedimenti per i delitti di cui all’art.362, comma 1-ter, c.p.p. (tentato omicidio ovvero, nelle forme consumate o tentate, maltrattamenti contro familiari e conviventi, violenza sessuale, atti sessuali con minorenne, corruzione di minorenne, violenza sessuale di gruppo, atti persecutori, nonché talune ipotesi aggravate di lesioni personali e deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso), in relazione ai casi di estinzione o revoca delle misure coercitive ovvero di sostituzione con misura meno grave comunicati dall’A.G., ma anche in presenza di “concreti e rilevanti elementi di pericolo di reiterazione della condotta”, segnalati dall’organo di polizia che procede a seguito di denuncia o querela.
Modifiche in materia di indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti
L’art.13 della legge 7 luglio 2016 n.122 opera anche in caso di omicidio nei confronti del coniuge, anche legalmente separato o divorziato, dell’altra parte di un’unione civile, anche se l’unione è cessata, o di chi è o è stato legato da relazione affettiva e stabile convivenza
Provvisionale a titolo di ristoro anticipato a favore delle vittime
L’art.17 della legge in esame introduce, con il nuovo art.13 bis della 13 della legge 7 luglio 2016 n.122, una provvisionale a titolo di ristoro “anticipato”, in favore della vittima o, in caso di morte, degli aventi diritto che, in conseguenza dei delitti di omicidio, violenza sessuale o lesione personale gravissima, e deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, vengano a trovarsi in stato di bisogno.
Si supera anche il limite della necessità dell’acquisizione della sentenza di condanna, attualmente previsto quale elemento indissolubile per il riconoscimento e la conseguente elargizione dell’indennizzo. La disposizione anticipa il momento della richiesta alla fase delle indagini preliminari, sulla base degli atti del procedimento penale previo parere del pubblico ministero competente.
La provvisionale può esser corrisposta a condizione che:
- la vittima non abbia concorso, anche colposamente, alla commissione del reato ovvero di reati connessi al medesimo;
- la vittima non sia stata condannata con sentenza definitiva ovvero, alla data di presentazione della domanda, non sia sottoposta a procedimento penale per uno dei reati di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), c.p.p. e per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto;
- la vittima non abbia percepito, in tale qualità e in conseguenza immediata e diretta del fatto di reato, da soggetti pubblici o privati, somme di denaro di importo pari o superiore a quello dovuto in base alle disposizioni di cui all’articolo 11. In caso di morte della vittima in conseguenza del reato, tali condizioni devono sussistere, oltre che per la vittima, anche con riguardo agli aventi diritto indicati all’articolo 11, comma 2-bis (comma 2 dell’articolo 13-bis).
Qualora, decorso il termine di termine di sessanta giorni dalla decisione che ha definito il giudizio per essere ignoto l’autore del reato o dall’ultimo atto dell’azione esecutiva infruttuosamente esperita ovvero dalla data del passaggio in giudicato della sentenza penale, non venga presentata domanda di indennizzo ovvero questa venga respinta o dichiarata inammissibile, il Comitato dichiara la decadenza dal beneficio della provvisionale e dispone la ripetizione di quanto erogato.
L’istanza è presentata al prefetto della provincia di residenza, che entro sessanta giorni dal ricevimento dell’istanza, verifica la sussistenza dei requisiti, avvalendosi anche degli organi di polizia.
Il Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso e dei reati intenzionali violenti, di cui all’articolo 3 della legge 22 dicembre 1999, n. 512, acquisiti gli esiti dell’istruttoria dal prefetto, provvede entro centoventi giorni dalla presentazione dell’istanza. La provvisionale può essere assegnata in misura non superiore a un terzo dell’importo dell’indennizzo determinato secondo quanto previsto dal decreto di cui all’articolo 11, comma 3.
Il Comitato dichiara la decadenza dal beneficio della provvisionale e dispone la ripetizione di quanto erogato nei seguenti casi:
a) qualora non sia presentata domanda di indennizzo nel termine di cui all’articolo 13, comma 2, ovvero questa sia respinta o dichiarata inammissibile;
b) qualora, decorso il termine di due anni dalla concessione della provvisionale e con cadenza biennale per gli anni successivi, in assenza delle condizioni per la presentazione della domanda di indennizzo, non sia prodotta autocertificazione sulla non definitività della sentenza penale o della procedura esecutiva o sulla mancata percezione di somme in connessione al reato.
Riconoscimento e attività degli enti e delle associazioni organizzatori di percorsi di recupero destinati agli autori di reato
L’art.18 della legge in esame stabilisce che “ai fini e per gli effetti degli articoli 165, quinto comma, del codice penale e 282-quater, comma 1, terzo periodo, del codice di procedura penale”, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, “il Ministro della giustizia e l’Autorità politica delegata per le pari opportunità stabiliscono, con proprio decreto, i criteri e le modalità per il riconoscimento e l’accreditamento degli enti e delle associazioni abilitati a organizzare percorsi di recupero destinati agli autori dei reati di violenza contro le donne e di violenza domestica e adottano linee guida per lo svolgimento dell’attività dei medesimi enti e associazioni”
Clausola di invarianza finanziaria
I profili attuativi della legge in esame non devono recare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono all’attuazione dei compiti assegnati con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente (art.19 della legge n.168 del 2023).
Si osserva, tuttavia, che a fronte del ricorrente enunciato dell’invarianza finanziaria (anche) per le misure di contrasto alla violenza di genere, le attività svolte a titolo di sostanziale volontariato dalle case rifugio e dai centri antiviolenza per il sostegno alle vittime ed il recupero dei maltrattanti, così come la formazione degli addetti ai lavori, richiederebbero concreti impegni di spesa per un’efficace strategia di prevenzione e di assistenza.