IN POCHE PAROLE…

Il rapporto fra le due fasi della procedura: la scelta del promotore e la gara pubblica.

Sent. TAR Lazio n. 4338/2023, Pres. R. Perna , Est. F. V. Di Mauro


Il caso

Due società impugnavano l’aggiudicazione della procedura aperta per l’affidamento, mediante un contratto di partenariato pubblico-privato, della realizzazione e gestione del Polo Strategico Nazionale (PSN) prevista dall’art. 33-septies del D.L. n. 179/2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221/2012, in favore del raggruppamento temporaneo di imprese costituito tra altre società.

Il comma 1 del predetto articolo 33-septies affidava alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il compito di promuovere “lo sviluppo di un’infrastruttura ad alta affidabilità localizzata sul territorio nazionale per la razionalizzazione e il consolidamento dei Centri per l’elaborazione delle informazioni (CED) definiti al comma 2, destinata a tutte le Pubbliche Amministrazioni”. Ciò “al fine di tutelare l’autonomia tecnologica del Paese, consolidare e mettere in sicurezza le infrastrutture digitali delle Pubbliche Amministrazioni di cui all’articolo 2, comma 2, lettere a) e c) del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, garantendo, al contempo, la qualità, la sicurezza, la scalabilità, l’efficienza energetica, la sostenibilità economica e la continuità operativa dei sistemi e dei servizi digitali”.

La realizzazione della summenzionata infrastruttura rappresentava uno dei cardini della Missione 1 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), dedicata a “Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo”.

Il completamento dell’intero progetto vedeva come data di scadenza il secondo trimestre del 2026, pur prevedendosi la realizzazione dell’infrastruttura del PSN entro la data ultima del 31 dicembre 2022, pena la perdita dei finanziamenti provenienti dall’Unione Europea.

Il Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva stabilito di realizzare il PSN mediante una procedura di partenariato pubblico privato ad iniziativa privata, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. eee), e degli articoli 180 e 183, comma 15, del Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n. 50/2016.

Nel 2021, il predetto Dipartimento dava avvio alla prima fase della procedura, manifestando sul proprio sito l’esigenza di procedere ai sensi delle disposizioni richiamate.

Nell’ambito di tale prima fase, veniva dichiarata la fattibilità di una delle tre proposte pervenute, con conseguente approvazione del relativo progetto. Una volta nominata tale società come “promotore”, la stazione appaltante, per mezzo di un’apposita centrale di committenza, procedeva alla seconda fase della procedura, consistente nella gara aperta finalizzata all’individuazione di un operatore economico aggiudicatario di un contratto di partenariato pubblico-privato quale soggetto concessionario che avrebbe dovuto realizzare e gestire la nuova infrastruttura.

L’aggiudicazione non veniva disposta al favore del soggetto promotore, che quindi esercitava il proprio diritto di prelazione, impegnandosi senza riserve ad adempiere alle obbligazioni contrattuali alle medesime condizioni offerte dall’aggiudicatario della gara.

La procedura si concludeva dunque con il relativo provvedimento di aggiudicazione, successivamente oggetto di impugnazione in sede giurisdizionale da parte dei soggetti esclusi, con annessa loro richiesta di risarcimento dei danni patiti.

Finanza di progetto ed interventi dell’Adunanza Plenaria

Per poter procedere ad un’analisi della fattispecie concreta che tenga conto degli orientamenti giurisprudenziali già maturati in materia, occorre operare una preliminare disanima della disciplina applicabile al caso oggetto di esame in questa sede.

In particolare, il citato articolo 183, comma 15 del D.Lgs n. 50/2016 prevede una procedura articolata in una progressione di due fasi “biunivocamente interdipendenti”, come definiti dalla giurisprudenza amministrativa, così che la prima “non è logicamente e giuridicamente concepibile senza la seconda e viceversa, con la ulteriore e definitiva conseguenza che esse non sono giuridicamente autonome, non potendo essere separate tra di loro a pena della stessa esistenza della procedura (Cons. Stato, Sez. IV, 26/1/2009, n. 392; Sez. VI, 5/3/2013, n. 1315)” (Cons. Stato, Sez. V, 7 febbraio 2018, n. 791).

Nello specifico, nella prima fase, gli operatori economici presentano le proprie proposte alla Pubblica Amministrazione, la quale ne valuta la relativa fattibilità, anche con facoltà di richiedere eventuali modifiche, e successivamente approva il progetto di fattibilità ritenuto maggiormente idoneo, riconoscendo all’operatore che lo ha presentato la veste di “promotore”.

Nella seconda fase, viene indetta una gara, alla quale è invitato il promotore, sulla base del progetto di fattibilità approvato. Qualora il promotore non risulti aggiudicatario, può esercitare, come accaduto nel caso di specie, entro quindici giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione, il diritto di prelazione e divenire aggiudicatario, purché dichiari di impegnarsi ad adempiere alle obbligazioni contrattuali alle medesime condizioni offerte dall’aggiudicatario.

Dunque un simile diritto, nell’ambito della procedura della finanza di progetto di cui all’articolo 183, comma 15, del Codice dei Contratti Pubblici, spetta esclusivamente solo qualora il promotore non risulti aggiudicatario, trattandosi di una situazione giuridica soggettiva implicitamente subordinata alla presentazione, da parte dell’operatore, di un’offerta ammissibile, effettivamente comparata con le altre e collocata nella graduatoria finale in una posizione diversa dalla prima (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 10 febbraio 2020, n. 1005; Id., 5 dicembre 2022, n. 10627).

Nel caso in cui, però, si faccia valere la prelazione, l’originario aggiudicatario avrà diritto al pagamento, a carico del promotore, dell’importo delle spese per la predisposizione dell’offerta.

Diversamente, laddove il promotore non aggiudicatario non eserciti la prelazione, avrà diritto al solo pagamento, a carico dell’aggiudicatario, dell’importo delle spese per la predisposizione della proposta.

Già nel 2012, con la sentenza n. 1, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha avuto modo di approfondire il rapporto tra le suddette fasi della procedura della finanza di progetto.

In particolare, nella pronuncia si è affermato che il primo sub-procedimento, che si conclude con la selezione del promotore, sia il “cuore” dell’intera procedura e si è sottolineato che “tale è il ruolo centrale e preponderante della fase di scelta del promotore, che questa stessa Adunanza Plenaria ha già in passato ritenuto che il procedimento di scelta del promotore sia autonomo rispetto alla successiva fase articolata in gara e procedura negoziata (così la decisione 15 aprile 2010 n. 2155 dell’Adunanza Plenaria)”.

In questo senso, si è rimarcato che “la selezione del promotore crea, per il soggetto prescelto, una posizione di vantaggio certa e non meramente eventuale, atteso che il suo progetto viene posto a base della successiva gara e che, ove anche nella gara vengano selezionati progetti migliori di quello del promotore, quest’ultimo ha un diritto potestativo di rendersi aggiudicatario, adeguando la propria proposta a quella migliore; se poi non esercita tale diritto di prelazione, il promotore vanta l’alternativo diritto al rimborso forfetario delle spese sostenute per la presentazione della proposta”.

D’altro canto, secondo quanto ancora rilevato dall’Adunanza Plenaria, “sul versante opposto, per i concorrenti non prescelti, la selezione di un altro promotore determina un definitivo arresto procedimentale, atteso che il loro progetto non sarà posto a base della successiva gara e che non vanteranno né il diritto ad essere aggiudicatari in mancanza di altre proposte, né il diritto di prelazione, né il diritto al rimborso delle spese sostenute. E’ vero che possono partecipare alla successiva gara, ed esserne vincitori se presentano un progetto migliore di quello del promotore: ma sono in una posizione di pati rispetto al diritto potestativo di prelazione del promotore. In definitiva, il bene della vita nel procedimento di project financing è il conseguimento della concessione sulla base del progetto presentato nella prima fase, sicché, se tale progetto non viene selezionato come di pubblico interesse, è immediatamente leso l’interesse a conseguire la concessione sulla base del proprio progetto”.

Dunque, ne consegue che in coerenza con i principi generali in tema di legittimazione e di interesse al ricorso, l’atto di scelta del promotore risulta immediatamente e autonomamente lesivo e, come tale, immediatamente impugnabile da parte degli interessati.

Inoltre, come chiarito dai Giudici di Palazzo Spada, non si tratta di una semplice facoltà, bensì di un onere, a pena di decadenza, di immediata impugnazione. La scelta del promotore che non venga tempestivamente impugnata non potrà più quindi essere contestata dopo la conclusione dell’intero procedimento.

Nonostante la richiamata pronuncia dell’Adunanza Plenaria si riferisse alla disciplina della finanza di progetto contenuta negli artt. 37-bis e seguenti della L. n. 109/94 ed a quella contenuta nell’art. 153 del D.Lgs. n. 163/2006, come precisato dal TAR Lazio nella sentenza in esame, nondimeno le conclusioni in quella sede raggiunte mantengono tuttora profili di attualità, dal momento che le scansioni procedimentali prese in considerazione risultano previste in termini analoghi nel quadro normativo applicabile alla procedura de quo.

Pertanto anche quest’anno i Giudici amministrativi hanno fatto diretto richiamo al principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria nel 2012, in base al quale “nel procedimento di project financing, articolato in più fasi, la prima delle quali si conclude con la scelta, da parte della stazione appaltante, del promotore, l’atto di scelta del promotore determina una immediata posizione di vantaggio per il soggetto prescelto e un definitivo arresto procedimentale per i concorrenti non prescelti; tale atto è pertanto lesivo e deve essere immediatamente impugnato dai concorrenti non prescelti, senza attendere l’esito degli ulteriori subprocedimenti di aggiudicazione della concessione”.

Il risarcimento del danno

I ricorrenti chiedevano anche fosse loro corrisposto il risarcimento dei danni.

Sotto questo profilo, il Collegio laziale ha richiamato alcuni consolidati orientamenti della giurisprudenza amministrativa, che meritano di essere ricordati in questa sede.

In particolare, il principio per cui: “L’azione risarcitoria va (…) ricondotta alle disposizioni dell’art. 30, comma 2, Cod. proc. amm. e dell’art. 2043 cod. civ.: il fatto costitutivo è l’illegittimità del provvedimento; l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, in materia di pubblici appalti, non è rilevante, né richiesto a presupposto della responsabilità della pubblica amministrazione; l’evento di danno (ingiusto) è appunto l’adozione del provvedimento illegittimo per avere la Pubblica Amministrazione esercitato l’attività amministrativa con incompetenza o in violazione di legge o eccesso di potere; le conseguenze pregiudizievoli risarcibili perché prodotte da tale evento di danno sono quelle direttamente e immediatamente causate dall’atto illegittimo” (Cons. Stato, Sez. V, 14 febbraio 2023, n. 1552; Id., 4 luglio 2022, n. 5554; Id., 30 novembre 2021, n. 7960).

In questa prospettiva, “Il danneggiato è, dunque, tenuto a provare il nesso eziologico tra il danno ingiusto, costituito dal provvedimento illegittimo, e le dirette e immediate conseguenze pregiudiziali risarcibili (danno conseguenza). Nella materia dei pubblici appalti tali conseguenze consistono sostanzialmente nella perdita dell’aggiudicazione o nella perdita delle chances di aggiudicazione (…)” (Cons. Stato, n. 1552 del 2023, cit. e n. 5554 del 2022, cit.).

Nel caso di specie, le due società attrici lamentavano un danno diretto da mancata percezione degli utili, quale conseguenza normale della perdita dell’aggiudicazione, nonché un danno indiretto consistente nel danno curriculare con conseguente perdita di chance sui mercati di riferimento.

Quanto al primo dei due danni lamentati, ossia quello da perdita di utili, pur sussistendo astrattamente nell’an, il TAR Lazio osservava, però, che, secondo quanto affermato dall’Adunanza Plenaria, “il mancato utile spetta nella misura integrale, in caso di annullamento dell’aggiudicazione impugnata e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se questo dimostri di non aver utilizzato o potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista della commessa. In difetto di tale dimostrazione, può presumersi che l’impresa abbia riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori ovvero che avrebbe potuto riutilizzare, usando l’ordinaria diligenza dovuta al fine di non concorrere all’aggravamento del danno, a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum […] Pertanto, in mancanza di prova contraria, che l’impresa che neghi l’aliunde perceptum può fornire anche sulla base dei libri contabili, deve ritenersi che essa abbia comunque impiegato proprie risorse e mezzi in altre attività, dovendosi quindi sottrarre al danno subito per la mancata aggiudicazione l’aliunde perceptum, calcolato in genere in via equitativa e forfettaria” (Ad. Plen. n. 2/2017).

Come correttamente rilevato dall’Avvocatura dello Stato, le società attrici non avevano fornito alcuna prova volta a escludere il c.d. aliunde perceptum, nonostante questo debba essere ordinariamente presunto.

Tale presunzione veniva ulteriormente avvalorata, nel caso oggetto del presente giudizio, da due considerazioni: (i) la commessa aveva una durata prevista di tredici anni, durante i quali le ricorrenti, operatori primari del settore, ragionevolmente sarebbero state in condizione di destinare ad altre attività i fattori che ipotizzavano di impiegare nella realizzazione e gestione del PSN; (ii) la maggior parte delle Pubbliche Amministrazioni non erano obbligate alla migrazione dei propri dati verso il PSN, ma ben potevano rivolgersi ad altri idonei servizi cloud: ciò avrebbe comportato che le ricorrenti, le quali avevano già elaborato un progetto specifico per la realizzazione del PSN, erano astrattamente in condizione di offrire quegli stessi servizi previsti quale oggetto della commessa non solo nei confronti dei privati, come era naturale, ma anche in favore delle Amministrazioni pubbliche, le quali, in luogo di aderire al PSN, ben avrebbero potuto avvalersi di altri idonei operatori per la migrazione dei propri dati.

Per queste ragioni, il TAR riteneva dovesse reputarsi equo riconoscere il danno derivante dalla mancata percezione degli utili nella misura del trentacinque per cento dell’ammontare totale degli stessi.

Oltre a ciò, come detto, veniva domandato anche il risarcimento del cd. danno curriculare.

Un risposta positiva in questo senso presupponeva, però, che fosse comprovato: (i) il nesso di causalità tra la condotta e l’evento lesivo, ossia la c.d. causalità materiale; (ii) “la sussistenza di conseguenze dannose, da accertare secondo un (distinto) regime di causalità giuridica che ne prefigura la ristorabilità solo in quanto si atteggino, secondo un canone di normalità e adeguatezza causale, ad esito immediato e diretto della lesione del bene della vita ai sensi degli artt. 1223 e 2056 cod. civ. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 4 agosto 2015, n. 3854)” (Cons. Stato, Sez. VI, 10 novembre 2022, n. 9875).

Inoltre, sul punto la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che “il danno curriculare, ancorato alla perdita della specifica possibilità concreta di incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al curriculum professionale, da intendersi anche come immagine e prestigio professionale, al di là dell’incremento degli specifici requisiti di qualificazione e di partecipazione alle singole gare, deve essere oggetto di puntuale dimostrazione, ancorata (…) alla perdita di un livello di qualificazione già posseduta ovvero alla mancata acquisizione di un livello superiore, quali conseguenze immediate e dirette della mancata aggiudicazione; (…) alla mancata acquisizione di un elemento costitutivo della specifica idoneità tecnica richiesta dal bando oltre la qualificazione SOA (cfr. Cons. Stato, sez. III, 15 aprile 2019, n. 2435; Id., sez. IV, 7 novembre 2014, n. 5497), sicché solo all’esito di tale dimostrazione, relativamente all’an, è possibile procedere alla relativa liquidazione nel quantum (anche a mezzo di forfettizzazione percentuale applicata sulla somma riconosciuta a titolo di lucro cessante: cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 agosto 2019, n. 5803) e sempre che non debba ritenersi che, trattandosi di impresa leader nel settore di riferimento, l’aver conseguito già un curriculum di tutto renda la mancata aggiudicazione di un appalto non idonea, per definizione, ad incidere negativamente sulla futura possibilità di conseguire le commesse economicamente più appetibili e, più in generale, sul posizionamento dell’impresa nello specifico settore di mercato in cui è chiamata ad operare (Cons. Stato, Sez. V, 28 gennaio 2019, n. 689)” (Cons. Stato, Sez. V, 7 novembre 2022, n. 9785).

Nel caso di specie, le ricorrenti omettevano, però, di dimostrare l’esistenza di tale danno, limitandosi a sostenere che lo stesso si sarebbe dovuto stimare facendo riferimento all’incremento dei ricavi registrato durante il periodo di esecuzione di commesse precedentemente conseguite e ritenute affini al PSN. Un difetto di prova che, dunque, impediva ai Giudici di procedere al riconoscimento della spettanza del relativo ammontare.

Conclusioni

Da quanto esposto, emerge come questa importante pronuncia di primo grado sia inserita entro un quadro ordinamentale e giurisprudenziale più ampio, proprio di una materia, quale quella della finanza di progetto, che sovente ha costituito fonte di contenziosi e dibattiti, tanto sul piano teorico quanto su quello più strettamente pratico ed operativo. Una sentenza che conferma quegli orientamenti degli Organi di vertice della Giurisprudenza amministrativa, il cui consolidamento è capace di portare chiarezza nel comune agire degli operatori professionali, concretizzando quel principio di certezza del diritto di cui, in altre occasioni, spesso si avverte la mancanza.

dott. Alessandro Sorpresa


Stampa articolo