IN POCHE PAROLE…
La condanna penale può essere causa di esclusione dalla procedura concorsuale solo se la pubblica amministrazione valuti il reato incompatibile con le funzioni da svolgere e ne indichi le ragioni.
Tar Lazio, Roma, sez, V, sentenza 5 gennaio 2023, n. 209 – Pres. Spagnoletti, Est. Zafarana
La regola generale è che non possono accedere agli impieghi coloro che siano esclusi dall’elettorato attivo politico e coloro che siano stati destituiti o dispensati dall’impiego presso una pubblica amministrazione che si ano esclusi dall’elettorato attivo politico e coloro che siano stati destituiti o dispensati dall’impiego presso una pubblica amministrazione.
La condanna penale può essere causa di esclusione dalla procedura concorsuale ove ad essa si accompagni una autonoma e specifica valutazione dell’Amministrazione sulla gravità dei reati commessi.
E’ onere dell’ente reclutante, pertanto, valutare l’effettiva sussistenza dei requisiti per l’instaurazione del rapporto impiegatizio, avendo riguardo al particolare disvalore delle condotte penalmente rilevanti tenute dal candidato.
A margine
Il caso – Nonostante il superamento di tutte le prove concorsuali, un candidato viene escluso da un concorso pubblico, per titoli ed esami, a 189 posti di professionista medico nei ruoli dell’INPS per aver riportato una condanna penale, dichiarata in sede di domanda di concorso, per il reato di “detenzione illegale di armi continuato in concorso, art. 81, 110 C.P., Art. 2 L. 02/10/1967 n. 895”, considerato dall’amministrazione causa di impedimento alla costituzione del rapporto di lavoro con la Pubblica amministrazione.
Pertanto, l’interessato ricorre al Tar contestando l’affermata mancanza del requisito di ammissione previsto dal bando in ordine alla circostanza che il candidato non debba aver riportato condanne penali, ancorché non passate in giudicato, che impediscano la costituzione o prosecuzione del rapporto di lavoro con la Pubblica amministrazione.
Sostiene che l’amministrazione avrebbe dovuto fornire la prova che i titoli di reato siano effettivamente impeditivi della costituzione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione, dimostrando che da una condanna per tali reati deriverebbe senz’altro l’interdizione dai pubblici uffici, o l’incapacità di contrarre con la p.a. o l’estinzione del rapporto di impiego (e cita Cons. Stato, Sezione VI, 12 dicembre 2011, n. 6494).
La sentenza
Il Tar accoglie il ricorso evidenziando che la condanna penale non è di per sé preclusiva della costituzione del rapporto di pubblico impiego “e ciò non solo perché con la legge 29 ottobre 1984, n. 732, è venuto meno tra le condizioni per l’accesso al pubblico impiego il requisito della buona condotta (che poteva ritenersi escluso dalla condanna penale), ma soprattutto per la considerazione che la sentenza penale di condanna, come non può determinare la automatica destituzione di diritto ex art. 85 T.U. (richiedendosi a tal fine l’apertura del procedimento disciplinare), così non può considerarsi ostativa alla instaurazione del rapporto d’impiego.
Tuttavia, l’ente pubblico può considerare il particolare disvalore dei reati per i quali il candidato/aspirante alla stabilizzazione è stato condannato, dando conto di come tali addebiti siano incompatibili con le funzioni da assegnare. Si tratta di una ponderazione di elementi e circostanze che non è certamente inibita alla P.A., ma è anzi doverosa, in vista della costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato” (Tribunale Bari, Sez. lav., 6 luglio 2020, n.1980).
Come rilevato da costante giurisprudenza del Consiglio di Stato la condanna penale può certamente essere causa di esclusione dalla procedura concorsuale ove ad essa si accompagni una autonoma e specifica valutazione della Amministrazione sulla gravità dei reati commessi (Cons. Stato, Sez. VI, n. 4812/2001; id,., 27 dicembre 2000, n. 6883 e 20 gennaio 2006, n. 130) e, pertanto, è onere dell’Ente reclutante valutare l’effettiva sussistenza dei requisiti per l’istaurazione del rapporto impiegatizio, avendo riguardo del particolare disvalore delle condotte penalmente rilevanti tenute dal candidato.
Secondo l’orientamento del giudice amministrativo “Il rinvio a giudizio non è di per sé solo causa di esclusione dalla procedura concorsuale, dovendo esso avvenire per un titolo di reato che impedisca la costituzione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione. È quindi necessario fornire la prova che i titoli di reato in questione sono impeditivi della costituzione del rapporto di lavoro con la p.a. dimostrando che da una condanna per tali reati deriverebbe senz’altro l’interdizione dai pubblici uffici, o l’incapacità di contrarre con la p.a., o l’estinzione del rapporto di impiego (artt. 28, 29, 32-ter, 32-quater, 32-quinquies Cod. pen., artt. 3,4, 5, l. 27 marzo 2001, n. 97). Invero, la regola generale per la partecipazione ai concorsi pubblici è quella secondo cui non possono accedere agli impieghi coloro che siano esclusi dall’elettorato attivo politico e coloro che siano stati destituiti o dispensati dall’impiego presso una pubblica amministrazione (art. 2 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3; art. 2 d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487), non essendo di per sé rilevante la mera pendenza di un processo penale, salve regole specifiche di singoli ordinamenti” (Cons.Stato sez. VI, 12 dicembre 2011, n. 6494).
E ancora, di recente il giudice amministrativo ha confermato “La condanna penale può essere causa di esclusione dalla procedura concorsuale ove ad essa si accompagni una autonoma e specifica valutazione dell’Amministrazione sulla gravità dei reati commessi e, pertanto, è onere dell’ente reclutante valutare l’effettiva sussistenza dei requisiti per l’instaurazione del rapporto impiegatizio, avendo riguardo al particolare disvalore delle condotte penalmente rilevanti tenute dal candidato” (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III , 4 gennaio 2022, n. 36; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II , 8 giugno 2022, n. 1867).
Nel caso in esame il Collegio osserva che l’articolo del bando – nel prevedere la possibilità per l’Amministrazione di procedere con atto motivato all’esclusione dei candidati che non siano in possesso dei requisiti di ammissione previsti dal bando o che siano destinatari di sentenze penali di condanna ancorché non passate in giudicato – deve essere letto congiuntamente con altra clausola del medesimo bando che prevede quale requisito di accesso il “non aver riportato condanne penali, ancorché non passate in giudicato, che impediscano la costituzione o la prosecuzione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione”.
Sotto questo profilo la motivazione adottata sul punto dall’amministrazione appare del tutto apodittica laddove afferma “Le comunico, pertanto, l’esclusione dalla procedura concorsuale indicata in oggetto in quanto la relativa condanna penale per il reato di “detenzione illegale di armi continuato in concorso, art. 81, 110 C.P., Art. 2 L. 02/10/1967 n. 895”, è da considerare causa di impedimento alla costituzione del rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione.”.
Manca cioè una concreta e specifica valutazione circa l’effettiva sussistenza dei requisiti per l’instaurazione del rapporto impiegatizio, avuto riguardo al disvalore della condotta penalmente rilevante tenuta dal candidato.
Conclusioni
La regola generale per la partecipazione ai concorsi pubblici è che non possono accedere agli impieghi coloro che siano esclusi dall’elettorato attivo politico e coloro che siano stati destituiti o dispensati dall’impiego presso una pubblica amministrazione (art. 2 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3; art. 2 d.P.R. 9 maggio 1994, n. 487). L’ente pubblico reclutante può considerare il particolare disvalore dei reati per i quali il candidato è stato condannato, dando conto di come tali addebiti siano incompatibili con le funzioni da assegnare.