IN POCHE PAROLE…

La corretta distribuzione, secondo il Giudice  della nomofilachia, della “potestas decidendi” fra giudice amministrativo e giudice ordinario nelle controversie relative alla conclusione del procedimento amministrativo. 


Sentenza Cass. SS.UU., n. 3099/2022

In generale, le questioni di giurisdizione hanno carattere pregiudiziale rispetto a quelle di competenza, in quanto relative alla distribuzione della “potestas decidendi” tra magistrati appartenenti a diverso ordine giudiziari.

E’ di competenza del giudice amministrativo e non di quello orinario la controversia  in materia di “risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo.

E’ di competenza, invece, del Giudice ordinario la controversia nella quale invece il privato lamenta non solo la violazione dei termini procedimentali ma anche il comportamento “ondivago” tenuto dall’Ente pubblico, ossia una condotta contraria ai canoni di correttezza e buona fede che devono presiedere la fase procedimentale, con conseguente lesione dell’affidamento ingenerato nel privato in ordine all’esito favorevole del procedimento.


LINK UTILI

L. n. 241 del 1990  – L. n. 69 del 2009


A margine

Il complesso tema attinente i criteri di riparto di giurisdizione da seguire nel sistema processuale vigente in questo Paese, nonostante sia stato negli anni sempre maggiormente definito, sembra nondimeno presentare ancora profili non agevolmente inquadrabili entro sicure categorie dogmatiche.

Il caso Un assunto che risulta confermato dall’iter procedimentale seguito nella risoluzione della fattispecie oggetto di analisi in questa sede, giunta da ultimo all’esame della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite.

Il caso va inquadrato entro una domanda giudiziale apparentemente semplice e lineare. Un privato agiva in giudizio nei confronti di una Regione, chiedendone la condanna al risarcimento del danno derivante dalla violazione delle regole procedimentali di cui alla L. n. 241 del 1990, per avere in un primo momento accolto la sua richiesta di accesso ad un finanziamento pubblico volto a sostenere il c.d. auto-impiego e/o l’auto-imprenditorialità, con inclusione nella graduatoria degli aventi diritto, e successivamente dichiarato l’istante decaduto dal finanziamento, per aver avviato l’attività d’impresa prima ancora di essere stato ammesso al beneficio, in violazione dell’art. 5 del bando, senza però provvedere nei termini alla definizione del procedimento decadenziale a seguito dell’opposizione presentata.

In primo grado, il Tribunale ordinario respingeva l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla Regione, accogliendo invece quella d’incompetenza per territorio.

A questo punto, proposto ricorso per regolamento necessario di competenza innanzi alla Corte di Cassazione, il Procuratore Generale rilevava, invece, d’ufficio il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario in favore della giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo.

Le fonti regolatrici della materia

La disposizione normativa da considerare nella disamina della fattispecie controversa è anzitutto l’art. 2 della L. n. 241 del 1990, al cui secondo comma statuisce che “Nei casi in cui disposizioni di legge ovvero i provvedimenti di cui ai commi 3, 4 e 5 non prevedono un termine diverso, i procedimenti amministrativi di competenza delle Amministrazioni statali e degli Enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni”.

Altrettanto rilievo merita l’art. 2 bis della citata L. n. 241, introdotto con l’art. 7 della L. n. 69 del 2009, considerato dagli studiosi emblematico di una crescente sensibilità verso il c.d. danno da ritardo come fattispecie di responsabilità civile della Pubblica Amministrazione. In particolare si prevede che “Le Pubbliche Amministrazioni e i soggetti di cui all’art. 1, comma 1-ter, s[ia]no tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”.

Le summenzionate disposizioni normative si pongono come logici corollari dei principi costituzionali che presiedono allo svolgimento dell’attività amministrativa. Si ricordino, in particolare, l’art. 97 Cost., che impone alla Pubblica amministrazione di “organizzare” gli uffici pubblici secondo le disposizioni di legge e in modo da assicurarne il buon andamento e l’imparzialità, e l’art. 111 Cost., che prevede come componente del “giusto processo” (e del giusto procedimento) il principio della ragionevole durata.

La questione di giurisdizione

Le Sezioni Unite procedono ad analizzare e districare il peculiare caso sottoposto alla loro attenzione attraverso una chiara analisi tecnico-giuridica della vicenda.

In primo luogo, rilevano l’ammissibilità dell’eccezione esposta nel primo paragrafo di questo scritto, non avendo il Giudice di primo grado pronunciato nel merito con statuizione implicita sulla giurisdizione. Il giudicato interno sulla giurisdizione si forma, infatti, tutte le volte in cui il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando anche implicitamente la propria giurisdizione, e le parti abbiano prestato acquiescenza a tale statuizione, non impugnando la sentenza sotto questo profilo (cfr. Cass., Sez. Un., 29 novembre 2017 n. 28503 e Cass. 25 maggio 2019 n. 13750).

A ciò si aggiunga quel principio pacifico nella giurisprudenza, tanto di merito quanto soprattutto di legittimità, secondo il quale le questioni di giurisdizione hanno carattere pregiudiziale rispetto a quelle di competenza.

È pur vero che sono ammesse ipotesi derogatorie ad una simile statuizione generale, ma solo in forza di norme o principi della Costituzione o espressivi di interessi o di valori di rilievo costituzionale. A tale riguardo, si è soliti richiamare l’esempio rappresentato dai casi di mancanza delle condizioni minime di legalità costituzionale nell’instaurazione del “giusto processo”, oppure della formazione del giudicato, esplicito o implicito, sulla giurisdizione (cfr. Cass., Sez. Un., 5 gennaio 2016 n. 29 e Cass. 27 febbraio 2020 n. 5298).

Peraltro, operate queste considerazioni preliminari, i Giudici di legittimità chiariscono come il Procuratore Generale, nell’esaminare nel merito il ricorso, richiami il consolidato orientamento  giurisprudenziale secondo cui “qualora una sentenza di primo grado, recante l’espressa affermazione della giurisdizione dell’adito giudice ordinario e la successiva declinatoria della sua competenza, sia stata impugnata con regolamento di competenza, da qualificarsi come facoltativo, la Corte di Cassazione, non essendosi formato il giudicato sulla giurisdizione, giusta l’art. 43 c.p.c., comma 3, primo periodo, può rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione di quel giudice ai sensi dell’art. 37 c.p.c., attesi i concorrenti principi di pregiudizialità della questione di giurisdizione rispetto a quella di competenza, di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di attribuzione costituzionalmente riservata alla Suprema Corte di tutte le predette questioni, nonché del rilievo che la sua statuizione sulla sola questione di competenza risulterebbe “inutiliter data” a seguito di un esito del processo di impugnazione sulla questione di giurisdizione nel senso del difetto di giurisdizione del Giudice ordinario” (cfr. Cass., Sez. Un., n. 29/2016).

Il criterio tassonomico da utilizzare nella gradazione dell’esame delle questioni pregiudiziali di rito e preliminari di merito, infatti, deve tener conto, non soltanto dell’interesse manifestato dalla parte nella scelta preferenziale accordata alle diverse eccezioni formulate (che è espressione del potere dispositivo che informa il processo civile), ma anche delle esigenze connesse all’interesse pubblico ad una valida instaurazione del rapporto processuale tra le parti e tra queste ed il giudice adito, in quanto l’organo giudicante a cui è rivolta la richiesta di tutela risulti effettivamente titolare della “potestas judicandi” ed idoneo a soddisfare le garanzie richieste dall’art. 25 Cost.

Dunque, la scelta compiuta dalla parte non può non essere coordinata con il potere attribuito al giudice di rilevazione “ex officio” delle eccezioni non rilevabili esclusivamente ad istanza di parte (art. 112 c.p.c.), tanto più nel caso in cui la selezione della priorità di trattazione delle questioni operata dalla parte appaia recessiva rispetto a fatti “litis ingressum impedientes” consistenti nella mancanza di requisiti minimi essenziali richiesti per la configurazione di un rapporto processuale

In un simile di riferimento, il Collegio ha rinvenuto il criterio ordinatore nell’art. 37 c.p.c. che, tanto in relazione all’eccezione della parte quanto con riguardo al rilievo officioso del difetto di giurisdizione, scandisce una sequenza di esame rispondente ad una progressiva riduzione dell’oggetto della verifica processuale evidenziata tra giurisdizione e competenza, per cui l’individuazione del “tipo” di Giudice (Giudice di Pace, Tribunale, Corte d’Appello), cui presiede il criterio della competenza, è preceduto da quello funzionale, di livello superiore, degli altri criteri individuatori della giurisdizione, in quanto provvede alla distribuzione della “potestas decidendi” tra magistrati appartenenti a diverso ordine giudiziario.

Si precisa nella pronuncia che laddove sussista “diversa giurisdizione rispetto al giudice adito, non può esservi luogo, quindi, ad alcuna verifica – che risulta pertanto del tutto superflua ed inutile – della distribuzione territoriale della inesistente competenza tra i giudici statali appartenenti al medesimo ordine giurisdizionale”.

La risposta delle Sezioni Unite

Ad avviso dell’Autorità giudicante, risulta condivisibile la conclusione a cui è pervenuto il  Procuratore Generale. Avendo il soggetto privato chiesto la condanna della Pubblica amministrazione al risarcimento del danno per non aver concluso il procedimento amministrativo nel termine di legge, va dichiarato il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario in favore della giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo ex art. 133, lett. a), n. 1 cod. proc. amm., in quanto controversia vertente in materia di “risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento amministrativo”.

Un aspetto interessante di tale conclusione può rinvenirsi nel confronto per differenza operato dai Giudici di ultima istanza. Sono state, infatti, richiamate gli esiti cui sono giunte le Sezioni Unite della Suprema Corte nell’ordinanza n. 8236 del 2020, che hanno riconosciuto la giurisdizione del Giudice ordinario in una controversia nella quale invece il privato lamentava non solo la violazione dei termini procedimentali ma anche il comportamento “ondivago” tenuto dall’Ente pubblico, ossia una condotta contraria ai canoni di correttezza e buona fede che devono presiedere la fase procedimentale, con conseguente lesione dell’affidamento ingenerato nel privato in ordine all’esito favorevole del procedimento.

L’affidamento incolpevole o secondo buona fede nella corretta condotta dell’Ente pubblico, che diventa giuridicamente rilevante solo nel momento in cui tale affidamento viene deluso a danno del privato che ne è titolare e la cui cognizione è stata, dalle recenti Sezioni Unite di Cassazione, devoluta al Giudice ordinario, è cosa ben diversa, precisa l’Organo Giudicante nella sent. 3099/2022, dall’affidamento legittimo che viene in discorso nel caso oggetto di esame. Quest’ultimo vive piuttosto nel rapporto amministrativo e presuppone l’esercizio di un potere pubblicistico. Ne consegue che la tutela di detto affidamento è assicurata in via preventiva dal rispetto delle garanzie procedimentali normativamente previste, tra cui l’osservanza del termine di conclusione del procedimento.

In tale ipotesi, il privato non contesta quindi una lesione dell’affidamento incolpevole, essendogli stato comunicato l’avvio del procedimento di decadenza dal finanziamento pubblico per aver avviato l’attività d’impresa prima ancora di essere stato ammesso al beneficio, bensì la lesione del legittimo affidamento alla ragionevole durata del procedimento e alla regolarità dell’azione amministrativa, con specifico riguardo al rispetto del termine di conclusione di esso.

Considerazioni conclusive

Con questo importante apporto giurisprudenziale è stato aggiunto un ulteriore tassello al variegato mosaico processuale del nostro ordinamento. Una tessera che è al tempo stesso emblema di come l’agire degli operatori professionali, tanto in sede contenziosa quanto a livello stragiudiziale, non sempre, o quantomeno non esclusivamente, risulti “sinallagmaticamente” connesso con un chiaro e preciso disposto normativo entro cui poter sussumere la specifica fattispecie concreta.

Un (inevitabile?) diritto vivente che, salvo diverse intese difficilmente visibili nel prossimo futuro, con il tempo sarà capace di dare sempre maggiore concretezza alle previsioni legislative e regolamentari astratte, tenendo conto delle inevitabili evoluzioni sociali e tecnologiche del contesto spazio-temporale di riferimento.

dott. Alessandro Sorpresa


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