IN POCHE PAROLE …

Le recenti risposte  ai principi espressi dall’Adunanza plenaria

Tra le molteplici strade percorribili dinanzi al Giudice amministrativo, nel sistema giuridico attuale carattere principe assume l’azione costitutiva di annullamento dell’atto impugnato, con la quale il ricorrente chiede di procedere all’eliminazione del provvedimento amministrativo precedentemente adottato, di regola con efficacia ex tunc.

L’azione di annullamento

Secondo giurisprudenza costante, confermata, tra le altre, dalla pronuncia del Consiglio di Stato n. 994/2015, l’azione di annullamento risulta  subordinata a tre distinte condizioni.

Anzitutto, è necessario vi sia la titolarità di una posizione giuridica, in astratto configurabile come interesse legittimo, inteso come posizione qualificata – di tipo oppositivo o pretensivo – che distingue il soggetto dal “quisque de populo” in rapporto all’esercizio dell’azione amministrativa.

A questo requisito, si aggiunge quello attinente l’interesse ad agire, ossia la concreta possibilità di perseguire il bene della vita, anche di natura morale o residuale, attraverso il processo, in corrispondenza ad una lesione diretta ed attuale dell’interesse protetto, a norma dell’art. 100 c.p.c.

Da ultimo, viene richiamata anche la legittimazione attiva o passiva di chi agisce o resiste in giudizio, in quanto titolare del rapporto controverso dal lato attivo o passivo.

L’Adunanza Plenaria

Come noto, questi aspetti sono stati di recente oggetto di attenzione da parte dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, chiamata nel 2021 a pronunciarsi su un caso del tutto peculiare e controverso, in tema della tutela del terzo a fronte di atti ampliativi della sfera giuridica di altri soggetti.

Nella risoluzione della controversia sottoposta al suo esame, l’Autorità giudicante ha operato una preliminare chiarificazione in merito a differenti tipologie di interessi, evidenziando come l’interesse oppositivo ad impedire o comunque a contrastare un atto ampliativo della sfera giuridica di altri soggetti costituisca una delle tre principali figure più comunemente discusse nello studio della legittimazione al ricorso nel processo amministrativo, per differenziare la posizione dei soggetti legittimati da quella della generalità dei consociati.

Accanto ad essa, vanno collocate le figure dell’interesse, oppositivo, ad impedire un atto restrittivo della propria sfera giuridica (esempio paradigmatico quello dei provvedimenti ablatori) e l’interesse, in questo caso pretensivo, a contestare il diniego ovvero il rifiuto di un atto ampliativo della propria posizione sostanziale vanamente richiesto dallo stesso interessato (basti pensare al rifiuto di un’autorizzazione o di una concessione).

In particolare, in queste ultime due ipotesi, afferma l’organo giudicante, l’individuazione di un interesse differenziato, e con essa il riconoscimento della legittimazione a ricorrere, appare senza dubbio agevolata dall’essere il soggetto “legittimato” destinatario di un provvedimento che, privandolo di un bene che prima aveva o negandogli un bene che non aveva ma che veniva da lui richiesto, lo lede direttamente.

Nel primo caso, invece, la situazione è più complessa. Infatti, laddove procedimento e provvedimento non contemplino il soggetto terzo, il problema che da sempre si pone è quello di stabilire se e in base a quali criteri l’interesse di costui a contrastare un atto ampliativo della sfera giuridica altrui sia effettivamente qualificato e differenziato, rispetto all’interesse della generalità.

A questo riguardo, l’Adunanza Plenaria, nella sentenza n. 22/2021, prima di procedere alla formulazione dei principi di diritto, in relazione alle questioni deferitele ai sensi dell’art. 99, comma 1, del Codice del processo amministrativo, mette proprio in luce come, nella casistica giurisprudenziale i criteri della qualificazione e della differenziazione, utilizzati per distinguere gli interessi legittimi dagli interessi di fatto e da quelli cosiddetti semplici (nozioni invero non coincidenti, ricevendo i secondi protezione in via amministrativa come evidenziato da CGA, n. 851/2007), siano peraltro strettamente collegati, sebbene nell’impostazione più teorica la qualificazione discenderebbe dalla norma attributiva del potere, mentre la differenziazione si coglierebbe sulla base di criteri materiali o caratteri fattuali.

“Nella realtà delle cose [sia] raro che la norma attributiva del potere, occupata a definire presupposti, forme e modi dell’esercizio del potere amministrativo, menzioni (tutti) gli interessi privati qualificabili come legittimi; sicché il criterio materiale, incentrato sulla dinamica procedimentale e sull’evidenza provvedimentale, svolge un ruolo determinante ed è quello più comunemente praticato” (Ad. Plen., sent. n. 22-2021).

Tuttavia, qualora procedimento e provvedimento non siano di particolare ausilio, perché il terzo non vi ha partecipato e l’atto finale di lui non fa menzione, si sostiene che possa acquisire rilevanza l’elemento fisico-spaziale della “vicinitas”, intesa quale stabile collegamento tra un determinato soggetto e il territorio o l’area sul quale sono destinati a prodursi gli effetti dell’atto contestato.

Sul punto era maturato negli anni un profondo dibattito tanto a livello dottrinale quanto anche sul piano più propriamente processuale.

Secondo un orientamento maggioritario, favorevole ad un approccio non restrittivo nell’individuazione della lesione che potrebbe fondare l’impugnazione, la “vicinitas”, quale criterio idoneo a legittimare l’impugnazione di singoli titoli edilizi, avrebbe assorbito in sé anche il profilo dell’interesse al ricorso. Un secondo indirizzo riteneva invece che la “vicinitas” non fosse da sola sufficiente a fondare anche l’interesse, dovendo piuttosto il ricorrente fornire la prova concreta del pregiudizio sofferto.

Nell’esame della presente fattispecie controversa, l’Adunanza Plenaria ha affermato il seguente principio di diritto: “Nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario che il giudice accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della “vicinitas”, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato”.

Una simile statuizione richiede però alcune puntualizzazioni, anche alla luce di recenti pronunce dei Tribunali Amministrativi Regionali intervenute sul punto.

Negli ultimi mesi, in un caso riguardante la gestione dei rifiuti, il TAR Piemonte, con la sentenza n. 482/2022, ha chiarito come sia in ogni caso “noto che in materia ambientale, ai fini della sussistenza della legittimazione ad agire sia sufficiente la “vicinitas”, intesa come vicinanza dei soggetti che si ritengono lesi al sito prescelto per l’ubicazione di una discarica avente potenzialità inquinanti, non potendo loro addossarsi il gravoso onere dell’effettiva prova del danno subito”. Per di più, una “vicinitas” non intesa dai giudici quale stretta contiguità geografica con il sito assunto come potenzialmente dannoso, dal momento che la portata delle possibili esternalità negative di una discarica avente impatto sull’ambiente non si limita certo ad investire i soli terreni confinanti.

Inoltre, in quel caso, veniva anche rilevato come il riconoscimento della legittimazione attiva non potesse essere subordinato alla produzione di una prova puntuale della concreta pericolosità dell’impianto di discarica, dovendosi ritenere sufficiente una prospettazione delle temute ripercussioni su un territorio comunale collocato nelle immediate vicinanze dell’impianto da realizzare. La tutela dell’ambiente si connoterebbe infatti per una peculiare ampiezza del riconoscimento della legittimazione partecipativa e del coinvolgimento dei soggetti potenzialmente interessati, come è dimostrato dalle scelte legislative (di recepimento delle norme europee e della Convenzione di Aarhus) in tema di partecipazione alle procedure di V.A.S. e V.I.A., di legittimazione all’accesso alla documentazione in materia ambientale, di valorizzazione degli interessi “diffusi” anche quanto al profilo della legittimazione processuale (cfr. Consiglio di Stato sez. IV, 12 maggio 2014, n. 2403).

In tale ottica, come affermato dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato con la pronuncia n. 4639/2022, pretendere la dimostrazione di un sicuro pregiudizio all’ambiente o alla salute, ai fini della legittimazione e dell’interesse a ricorrere, costituirebbe una “probatio diabolica”, tale da incidere sul diritto costituzionale di tutela in giudizio delle posizioni giuridiche soggettive.

Ai fini della sussistenza delle condizioni dell’azione avverso provvedimenti lesivi dal punto di vista ambientale, il criterio della “vicinitas” – ovvero il fatto che i ricorrenti vivano abitualmente in prossimità del sito prescelto per la realizzazione dell’intervento o comunque abbiano uno stabile e significativo collegamento con esso, tenuto conto della portata delle possibili esternalità negative – rappresenta quindi un elemento di per sé qualificante dell’interesse a ricorrere (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 4639/2022).

Anche la Cassazione civile, condividendo gli approdi della giurisprudenza amministrativa, ha recentemente statuito, con la sentenza n. 21740 del 27 agosto 2019, che “il requisito della <<vicinitas>> aggiunge l’elemento della differenziazione ad interessi qualificati in virtù delle norme costituzionali o di quelle ordinarie […]” nelle materie che di volta in volta vengono in rilievo (in particolare, quella del diritto alla salute).

Ciò in quanto l’interesse “appartiene a tanti soggetti facenti parte di una comunità identificata in base ad un prevalente criterio territoriale, che emerge come autentica situazione giuridica tutelabile in giudizio, laddove l’attività conformativa della Pubblica Amministrazione incida su un determinato spazio territoriale, modificandone l’assetto nelle sue caratteristiche non solo urbanistiche, ma anche paesaggistiche, ecologiche e di salubrità, e venga nel contempo denunziata come foriera di rischi per la salute, diritto, questo, costituzionalmente protetto”.

A questa prima precisazione, attinente alla materia ambientale, si affianca anche un’ulteriore considerazione, che può costituire oggetto di profonda riflessione.

Il TAR Lazio, con la sentenza n. 2957/2022, ha avuto modo di riprendere l’argomento affrontato dall’Adunanza Plenaria, mettendone in luce alcuni tra i profili di maggiore rilievo.

Nello specifico, è stato precisato come in materia edilizia ed urbanistica, all’attivazione dei poteri di controllo dell’Amministrazione non sia legittimato chiunque vi abbia un generico interesse, avendo da tempo la giurisprudenza circoscritto la titolarità di tale posizione soltanto in capo a chi lamenti un pregiudizio specifico dalla eventuale illegittimità del titolo edilizio (o abusività dell’edificazione), che, anteriormente all’intervento sopra citato, si era soliti ricondurre alla sussistenza di una relazione qualificata con i luoghi interessati dall’intervento edilizio (criterio della “vicinitas”).

A questo punto, il TAR, richiamandosi alla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 22/2021, ha affermato come la giurisprudenza sembrasse oramai orientata a superare anche tale criterio della “vicinitas”, alla luce della necessità, nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, di uno specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato (accertabile anche in corso di giudizio); “a tale riguardo, si è affermato che nelle cause in cui si lamenti l’illegittimità del titolo autorizzatorio edilizio per contrasto con le norme sulle distanze tra le costruzioni imposte da leggi, regolamenti o strumenti urbanistici, non solo la violazione della distanza legale dell’immobile confinante con quello del ricorrente, ma anche quella tra detto immobile e una terza costruzione può essere rilevante ai fini dell’accertamento dell’interesse al ricorso, tutte le volte in cui da tale violazione possa discendere con l’annullamento del titolo edilizio un effetto di ripristino concretamente utile, per il ricorrente, e non meramente emulativo”.

Tuttavia, a questi rilievi l’Autorità giudicante aggiunge come tale orientamento non possa dirsi, comunque, ancora consolidato, essendosi ribadito anche successivamente alla richiamata decisione dell’Adunanza Plenaria la sufficienza del criterio della “vicinitas”. Riprendendo in particolare quanto sostenuto dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato, nella sentenza 29 ottobre 2021, n. 7285, si ricorda la statuizione secondo cui “in tema di edilizia e urbanistica, ai fini della legittimazione e dell’interesse a ricorrere del terzo, è sufficiente che sussista il requisito della “vicinitas”, senza che la parte debba allegare e provare di subire uno specifico pregiudizio per effetto dell’attività edificatoria intrapresa sul suolo limitrofo; pertanto, il proprietario frontista che si opponga alla costruzione di un immobile abusivo non è tenuto a dimostrare l’esistenza di un danno ulteriore rispetto a quello derivante dalla realizzazione di un’opera non conforme alla disciplina urbanistico- edilizia”.

Dunque, dai rilievi poc’anzi esposti emerge come, pur dovendosi riconoscere l’importanza dell’intervento svolto dall’Adunanza Plenaria nel 2021, la tematica in esame mantenga pur sempre una propria complessità intrinseca, richiedendo ancora del tempo per tradursi in soluzioni ermeneutico-ricostruttive di carattere unitario in sede processuale.

Alessandro Sorpresa


Bibliografia

  • Ad. Pl., sent. n. 22/2021.
  • Cos. St., sez. IV, sent. n. 6862/2020.
  • TAR Piemonte, sez. II, sent. n. 482/2022.
  • TAR Lazio, sez. II bis, sent. n. 2957/2022.
  • Cons. St., sez VI, sent. n. 994/2015.
  • Cos. St., sez. VI, sent. n. 7285/2021.
  • Cos. St., sez. IV, sent. n. 4639/2022.
  • Cassazione, SS. UU., sent. n. 21740/2019.

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