Il Ministero dell’Interno ha individuato le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità da parte di soggetti destinatari del DASPO, per la richiesta al Questore della cessazione degli ulteriori effetti pregiudizievoli del divieto

DM 19-10-2021 – Daspo e Lavori di pubblica utilità

Il Daspo è una misura che può essere emessa dal Questore come provvedimento ‘atipico’ di prevenzione o dall’Autorità Giudiziaria con la sentenza di condanna per i reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive o durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui si svolgono dette manifestazioni.

In quest’ultimo caso l’A.G. può disporre nei confronti del condannato, ove lo ritenga opportuno e come prescrizione aggiuntiva, il divieto di accesso alle manifestazioni sportive ed eventualmente, l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria durante lo svolgimento delle competizioni specificatamente indicate, per un periodo da due a otto anni.

La sentenza emessa dall’Autorità Giudiziaria può prevedere eventualmente, nei confronti del soggetto sottoposto a Daspo, anche la pena accessoria di cui all’art.1 comma 1 bis, lettera a) del d.l. 26 aprile 1993, n.122, convertito con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n.205 (obbligo di prestare un’attività non retribuita a favore della collettività per finalità sociali o di pubblica utilità).

Nel caso di condanna per i delitti di frode in competizione sportiva ed esercizio abusivo dell’attività di gioco o di scommessa (rispettivamente artt.1 e 4 della legge n.401 del 1989) il divieto di accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive o si accettano scommesse autorizzate ovvero si tengono giochi d’azzardo autorizzati opera come pena accessoria (art.5 della legge n.401 del 1989).

Nel caso di condanna si applica, inoltre, la pena accessoria all’interdizione dagli uffici di cui all’art.32 bis co.1 c.p. che può intervenire nei casi di condanna per frode in competizione sportiva per uffici direttivi delle società sportive. La durata della pena accessoria è ricompresa tra 6 mesi e tre anni.

Il d.l. n.119 del 2014 ha aggiunto all’impianto di cui all’art.6 della legge n.401 del 1989 un nuovo comma – il comma 8-bis – con cui disciplina una sorta di giudizio di «riabilitazione» del destinatario della misura in oggetto.

L’interessato può chiedere e ottenere – trascorsi almeno tre anni dalla scadenza del divieto – la piena riabilitazione. La cessazione è richiesta al Questore che ha disposto il divieto o, nel caso in cui l’interessato sia stato destinatario di più divieti, al Questore che ha disposto l’ultimo di tali divieti ed è concessa se il soggetto si è concretamente attivato con ravvedimento operoso, risarcimento del danno, lavori di pubblica utilità e ha dato prova costante ed effettiva di buona condotta, anche in occasione di manifestazioni sportive.

L’istituto è stato ridisegnato con il decreto sicurezza bis del 2019, pertanto ai fini dell’accoglimento della istanza assumeranno rilievo le condotte di ravvedimento operoso, quali la riparazione integrale del danno eventualmente prodotto, mediante il risarcimento anche in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile, e la concreta collaborazione con l’Autorità di polizia o con l’Autorità giudiziaria per l’individuazione degli altri autori o partecipanti ai fatti per i quali è stato adottato il divieto.

La norma, a seguito delle modifiche apportate dall’art.13 del d.l. n.53 del 14 giugno 2019, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 2019 n.77, recita: “Decorsi almeno tre anni dalla cessazione del divieto di cui al comma 1, l’interessato può chiedere la cessazione degli ulteriori effetti pregiudizievoli derivanti dall’applicazione del medesimo divieto. La cessazione è richiesta al questore che ha disposto il divieto o, nel caso in cui l’interessato sia stato destinatario di più divieti, al questore che ha disposto l’ultimo di tali divieti ed è concessa se il soggetto ha adottato condotte di ravvedimento operoso, quali la riparazione integrale del danno eventualmente prodotto, mediante il risarcimento anche in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile, o la concreta collaborazione con l’autorità di polizia o con l’autorità giudiziaria per l’individuazione degli altri autori o partecipanti ai fatti per i quali è stato adottato il divieto di cui al comma 1 o lo svolgimento di lavori di pubblica utilità, secondo modalità stabilite con decreto del Ministro dell’interno, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e senza oneri a carico della finanza pubblica, consistenti nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività presso lo Stato, le regioni, le province e i comuni, e ha dato prova costante ed effettiva di buona condotta, anche in occasione di manifestazioni sportive”.

I requisiti di riferimento sono, dunque, il ravvedimento operoso e la buona condotta, serbata anche in occasione di manifestazioni sportive. Il Questore è chiamato a valutare la condotta tenuta dal soggetto nel corso degli ultimi tre anni, anche in contesti che esulano dall’ambito sportivo, benché, per ovvie ragioni, un particolare rilievo assume il contegno tenuto dal riabilitando in occasione di eventi sportivi.

La “prova effettiva di buona condotta”, che si richiede nei medesimi termini di cui all’art.70 del d.lgs. n.159 del 2011 e all’art.179 c.p. presenta di per sé, connotazioni indefinite.

Se da una parte non è necessario che il condannato abbia compiuto atti positivi di valore morale rappresentativi di redenzione dal delitto commesso e capaci di riscattarne il passato (Cass. pen., sez.I, 19 giugno 1998), resta da valutare se la buona condotta possa ritenersi presunta fino a quando non siano stati accertati elementi specifici e concreti dimostrativi di una cattiva condotta (così Cass. pen., sez.V, 16 febbraio 1999, n.5751).

Al riguardo, l’orientamento della Suprema Corte si è attestato sulla necessità che la prova costante ed effettiva di buona condotta, necessaria per la concessione della riabilitazione, derivi da una valutazione della personalità non già sulla base della mera astensione dal compimento di fatti criminosi, bensì “di fatti e comportamenti sintomatici di un effettivo e costante rispetto delle regole della convivenza sociale, quale espressione del recupero dell’interessato ad un corretto modello di vita” (Cass. pen., sez.II, n.35545 del 25 giugno 2008; Cass. pen., sez.V, 23 ottobre 2013 n.43383).

Le condotte di ravvedimento operoso si sostanziano:
– nella riparazione dei danni causati mediante risarcimento anche in forma specifica;
– nella collaborazione con le autorità ai fini dell’individuazione di altri autori o partecipanti ai fatti che hanno determinato il DASPO;
– nello svolgimento di lavori di pubblica utilità, consistente nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività.

Con decreto del 19 ottobre 2021, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale – serie ordinaria n.276 del 19 novembre 2021, il Ministero dell’Interno ha individuato le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità da parte di soggetti destinatari del DASPO, per la richiesta al Questore della cessazione degli ulteriori effetti pregiudizievoli del divieto, tra cui il mancato ottenimento dalle società sportive di contributi, sovvenzioni e facilitazioni di qualsiasi natura, compresa l’erogazione di biglietti e abbonamenti o di titoli di viaggio a prezzo agevolato o gratuito.

Il lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di un’attività non retribuita, a favore della collettività, presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni; le attività sono svolte direttamente presso le amministrazioni, ovvero presso associazioni ed enti, sulla base di apposite convenzioni disciplinate dall’art.7 del decreto in oggetto.

Coloro che intendono essere ammessi allo svolgimento di lavori di pubblica utilità producono istanza alle amministrazioni, ovvero alle associazioni ed enti di cui sopra, i quali comunicano senza ritardo, e comunque prima dell’inizio della prestazione dell’attività lavorativa, l’ammissione al lavoro di pubblica utilità del soggetto interessato al Questore che ha emesso il DASPO e, se diverso, anche al Questore territorialmente competente in relazione alla sede di svolgimento dei lavori (art.3).

E’ compito delle menzionate associazioni assicurare che lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità avvenga nel rispetto delle norme e delle misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e morale dei soggetti interessati, nonché del rispetto del decreto ministeriale e delle convenzioni richiamate nell’art.7 dello stesso. Le amministrazioni e le associazioni ed enti garantiscono, altresì, il regolare svolgimento delle relative attività e delle mansioni assegnate ai soggetti ammessi (art.5).

Al riguardo, l’accertata violazione, grave e non giustificata degli obblighi di prestazione lavorativa e del regolare svolgimento del lavoro, comporta la decadenza dall’ammissione ai lavori di pubblica utilità. Le amministrazioni danno comunicazione dell’avvenuta decadenza al Questore che ha emesso il DASPO e, se diverso, anche al Questore territorialmente competente in relazione alla sede di svolgimento dei lavori.

Resta ferma la facoltà per entrambe le Autorità di P.S. di disporre verifiche, a mezzo delle Forze di Polizia, sul regolare svolgimento delle prestazioni da parte dei soggetti ammessi ai lavori di pubblica utilità.

Al termine del periodo di svolgimento del lavoro di pubblica utilità, le amministrazioni o le associazioni ed enti presso cui è stata eseguita la prestazione lavorativa, redigono una relazione finale che attesti l’effettivo e regolare svolgimento del lavoro di pubblica utilità da parte del soggetto ammesso.

Tale relazione è trasmessa al Questore che ha emesso il DASPO per le conseguenti valutazioni connesse alla sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della richiesta di cessazione degli ulteriori effetti pregiudizievoli del divieto (art.6).


Stampa articolo