IN POCHE PAROLE…

Il regolamento comunale non può introdurre limitazione alla localizzazione degli impianti di telefonia a meno di 200 metri dalle abitazioni,

TAR per il Piemonte, sez. II, sentenza 6 aprile 2022, n. 353, Pres. G. Bellucci; Est. M. Arrivi.


E’ legittima la disapplicazione, da parte dell’Ente, di un proprio regolamento, approvato prima dell’entrata in vigore della L. n. 36/2001, con cui venivano introdotte limitazioni di carattere generale alla localizzazione di impianti di telefonia, senza che fossero stati adottati criteri localizzativi specifici.

 


A margine

Alcuni cittadini, residenti (o proprietari di) immobili posti nelle vicinanze di una stazione radio base per la telefonia, hanno impugnato il provvedimento con cui il Comune  rigettava l’istanza  di annullamento d’ufficio dell’autorizzazione rilasciata all’operatore telefonico ai sensi dell’art. 87 d.lgs. 259/2003, estendendo inoltre il gravame ai presupposti titoli abilitativi dell’intervento.

A sostegno del ricorso gli esponenti hanno dedotto, innanzitutto, la violazione del regolamento comunale, approvato nel 2001, in forza del quale, anche in ragione di un richiamo operato dalle Norme Tecniche di Attuazione (N.T.A.) del Piano Regolatore Generale (P.R.G.), sarebbe stato imposto un divieto di installazione degli impianti di telefonia mobile nelle “zone improprie”, tra cui quelle che si trovano nel raggio di 200 m. dalle abitazioni.

In seconda battuta, poi, i cittadini hanno lamentato la violazione dell’art. 21 nonies l. 241/1990 e l’asserito omesso bilanciamento degli interessi in gioco, poiché il Comune avrebbe rigettato l’istanza di autotutela sulla base di una mera “prognosi processuale in ordine alla possibile soccombenza del Comune nell’ambito di un eventuale giudizio impugnatorio avverso l’annullamento dell’autorizzazione” senza tenere in considerazione i confliggenti interessi dei ricorrenti e della collettività.

La sentenza

Il Tribunale Amministrativo ritiene invece che l’azione amministrativa sia immune da censure.

In primo luogo, il Giudice adito accoglie l’eccezione di tardività sollevata dal Comune resistente: il gravame avverso i titoli autorizzativi  risulta irricevibile in quanto proposto, in data 28 luglio 2020, oltre il termine di sessanta giorni dall’inizio dei lavori (10 settembre 2019). Ed infatti, per pacifico insegnamento giurisprudenziale, ove – come nel caso in questione – un terzo impugni un titolo edilizio contestando l’an dell’edificazione (ossia che nessuna attività edilizia avrebbe potuto essere intrapresa), l’inizio dei lavori segna il dies a quo per la tempestiva proposizione del ricorso (tra le ultime, T.A.R. Milano, Sez. II, 5 gennaio 2021, n. 19; Cons. Stato, Sez. II, 23 marzo 2020, n. 2011; T.A.R. Bari, Sez. III, 8 gennaio 2020, n. 18).

Quanto, invece, al diniego di annullamento in autotutela, pur non potendo essere ascritto agli atti meramente confermativi, come tali non autonomamente impugnabili, il gravame si rivela in parte inammissibile (per difetto di legittimazione dei ricorrenti che, tuttavia, non avevano sottoscritto l’istanza di annullamento in autotutela) e, comunque, infondato nel merito.

A detta del Giudice, infatti, il Comune ha doverosamente disapplicato l’art. 3 del proprio Regolamento in quanto confliggente con la norma di rango superiore posta dall’art. 8, co. 6, l. 36/2001, costantemente interpretata dalla giurisprudenza nel senso che i Comuni possono individuare criteri localizzativi specifici degli impianti di telefonia mobile, quali ad esempio il divieto di collocare antenne su determinati edifici (ospedali, case di cura ecc.), mentre non è loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei, come la prescrizione di distanze minime da edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 9 gennaio 2013, n. 44; Id., 3 giugno 2019, n. 3679; T.A.R. Napoli, sez. VII, 7 aprile 2016, n. 1728; T.A.R. Milano, Sez. II, 4 novembre 2021, n. 2420).

In mancanza dell’illegittimità provvedimentale, presupposto indefettibile per l’esercizio del potere di cui all’art. 21 nonies l. 241/1990, si rivelano quindi inconsistenti i rilievi mossi in ordine all’asserito omesso bilanciamento degli interessi in gioco, bilanciamento che costituisce condizione aggiuntiva, ma non autosufficiente, per l’annullamento d’ufficio.

Il ricorso viene quindi respinto, con condanna alla refusione delle spese di lite a carico dei ricorrenti.

 


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