IN POCHE PAROLE

Non ha carattere assolutamente preclusivo – rispetto al rilascio della licenza di portare armi –  una condanna per uno dei reati di cui al primo comma dell’art.43 TULPS, nel caso in cui sia successivamente intervenuta la riabilitazione, a meno che non continui a difettare  l’affidabilità dell’interessato in relazione all’uso delle armi.


Tar Brescia sez.1, n.822 del 4.12.2019 Pres. Angelo Gabbricci, Est. Stefano Tenca


Gli effetti della riabilitazione

Risultano alquanto controversi, sul piano interpretativo, gli effetti della riabilitazione in materia di provvedimenti concernenti il rilascio della licenza di porto d’armi, soprattutto per quanto concerne il margine di discrezionalità da riconoscere alla Pubblica amministrazione  in ordine al rifiuto o alla revoca delle licenze di competenza, quando il richiedente risulta aver commesso reati ostativi ai sensi dell’art.43 Tulps, [1] per i quali sia tuttavia intervenuta la riabilitazione.

Com’è noto, la riabilitazione svolge la funzione di reintegrare il condannato, che abbia già scontato la pena principale, nella posizione giuridica goduta fino alla pronuncia della sentenza di condanna. Ai sensi dell’art.178 c.p. la “riabilita­zione estingue le pene accessorie e ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti”.

Con l’estinzione delle pene accessorie e degli effetti penali, il riabilitato riacquista la capacità giuridica perduta a seguito della condanna e viene rimesso in condizioni di svolgere la sua normale attività nella società.

I presupposti per la concessione della riabilitazione, in presenza dei quali sussiste un vero e proprio diritto del condannato, sono:

  • il decorso almeno tre anni dal giorno in cui la pena principale è stata eseguita o si è in altro modo estinta (il termine è di almeno sette anni per i recidivi qualificati ex art.99 cpv., e di dieci per i delinquenti abituali, professionali o per tendenza);
  • il condannato deve aver dato prove effettive e costanti di buona condotta durante il periodo di tempo indicato;
  • non essere stati sottoposti a misure di sicurezza, tranne che si tratti di espulsione dello straniero dallo Stato o di confisca, ovvero che il  provvedimento sia stato revocato;
  • l’aver adempiuto alle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che si dimostri l’impossibilità di adempierle.

Nel caso di concessione del beneficio il decorso del nuovo termine triennale per la riabilitazione viene fatto coincidere con quello da cui decorre il termine quinquennale di sospensione della pena. Invece, nel caso di concessione del beneficio “speciale” di cui all’art.163 co.4 c.p., la riabilitazione è concessa allo scadere dell’anno di sospensione della pena, purché sussistano le altre condizioni previste (le prove effettive e costanti di buona condotta e la non sottoposizione a misura di sicurezza).

La sentenza di riabilitazione è revocata di diritto se il riabilitato commette entro sette anni un delitto non colposo, per il quale sia inflitta la pena della reclusione per un tempo non inferiore a due anni od un’altra pena più grave (art.180). Come conseguenza della revoca, rivivono le pene accessorie e gli altri effetti penali della condanna.

Il d.lgs. n.104 del 2018, con l’art.3, comma 1, lett e), è intervenuto anche sulla disciplina dei requisiti soggettivi richiesti per il rilascio dei permessi di porto d’arma e delle altre autorizzazioni in materia, modificando l’art.43 TULPS e stabilendo che le condanne per i reati elencati al primo comma sono ostative al conseguimento dei titoli di polizia in parola, salvo che non sia intervenuta la sentenza di riabilitazione di cui all’art.178 c.p..

La modifica normativa è stata ispirata dall’orientamento giurisprudenziale in precedenza formatosi, che ha negato carattere assolutamente preclusivo – rispetto al rilascio della licenza di portare armi – di una condanna per uno dei reati di cui al primo comma del citato art.43 TULPS, nel caso in cui sia successivamente intervenuta la riabilitazione (T.A.R. Piemonte, sez. II – 30 settembre 2019 n.1024).

L’automatismo preclusivo previsto dalla norma non è parso giustificato laddove il richiedente il porto d’armi abbia ottenuto la riabilitazione, la quale infatti presuppone che il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta al fine di un giudizio prognostico sul suo futuro comportamento ex art.179, comma primo, c.p. (T.A.R. Toscana, sez. II – 11/2/2019 n. 219).

La modifica normativa ha attenuato, dunque, la rigidità della preclusione posta dal primo comma dell’art.43 TULPS nei confronti di chi abbia riportato condanne per i delitti ivi menzionati, ripristinando un potere discrezionale dell’autorità amministrativa nella valutazione dei presupposti della concessione della licenza di portare armi allorché il condannato abbia ottenuto la riabilitazione ai sensi dell’art. 178 del codice penale.

Sempre al fine di agevolare l’esercizio del potere discrezionale, può essere utile ricordare che, in base all’art.179, primo comma, c.p., la riabilitazione è concessa dal Giudice, dopo aver accertato che nel periodo di tempo stabilito dalla legge, il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta.

Conseguentemente, gli elementi in grado di conferire rilevanza alla condanna devono riferirsi, in linea di principio, a fatti o circostanze verificatesi successivamente alla sentenza di riabilitazione, ovvero deve trattarsi di situazioni di cui sia stato verificato che il Giudice non abbia potuto tenere conto, non essendo note.

Sulla base di questi presupposti, il TAR di Brescia (sez.I), con sentenza n.822 del 4 dicembre 2019, si è pronunciato sulla correttezza del diniego di una licenza per tiro a volo pure in presenza di intervenuta riabilitazione, ove a giudizio dell’amministrazioni continui a difettare l’affidabilità dell’interessato in relazione all’uso delle armi.

Il giudice amministrativo osserva in primo luogo che a seguito della richiamata modifica dell’art.43 comma 2 del TULPS operata con l’art.3 comma 1 lett. e) del d.lgs. 10/8/2018 n.104 “la licenza può essere ricusata ai soggetti di cui al primo comma [compresi i destinatari di una condanna per porto abusivo di armi] qualora sia intervenuta la riabilitazione…”, per cui è rimessa all’amministrazione una valutazione discrezionale nei confronti dei soggetti condannati per un reato ostativo, i quali abbiano di seguito ottenuto la riabilitazione.

Il legislatore “ha inteso conformare la disciplina a criteri di equilibrata ragionevolezza, attribuendo all’amministrazione, laddove la valenza negativamente sintomatica dei reati tassativamente elencati sia bilanciata dalla condotta successiva del condannato, espressiva di un atteggiamento di ravvedimento che abbia messo capo al provvedimento di riabilitazione ex art. 178 c.p., il potere di valutare in concreto la sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento di diniego, alla luce di un giudizio di affidabilità dell’interessato, in relazione all’uso delle armi, che muova sì dalla condanna, ma abbracci l’intero spettro di elementi, anche sopravvenuti, suscettibili di valutazione al suddetto fine …” (Consiglio di Stato, sez. III – 29/3/2019 n. 2097).

Per la corretta applicazione della nuova disposizione – anche in linea con quanto emerso dalla giurisprudenza amministrativa – la condanna per cui è intervenuta la riabilitazione, pur non avendo più un effetto di “automatismo preclusivo”, non perde, tuttavia la sua rilevanza in senso assoluto.

Essa, infatti, può essere presa a base di una valutazione discrezionale che deve comunque tenere conto degli ulteriori elementi emersi nel corso dell’istruttoria (Cons. Stato, Sez. III, n. 3719 del 2013).

Secondo il Consiglio di Stato (sez.III, sentenza 9 maggio 2019 n.3031) “ai fini della riabilitazione non è sufficiente la mancata commissione di altri reati, come nel caso dell’estinzione conseguente al patteggiamento ai sensi dell’art. 445 c.p.p., ma occorre l’accertamento del “completo ravvedimento dispiegato nel tempo e mantenuto sino al momento della decisione, e tradotto anche nella eliminazione (ove possibile) delle conseguenze civili del reato” (cfr. Cass. pen., sez. I, 18 giugno 2009, n. 31089).

 La Cassazione ha precisato, infatti, che “mentre l’estinzione della pena patteggiata si produce con il solo mancato avveramento della condizione risolutiva nel previsto arco temporale …. la riabilitazione viene pronunziata all’esito di un effettivo approdo rieducativo del reo”.

 Ha inoltre riconosciuto al condannato, la cui pena sia stata medio tempore estinta ex art.445, comma 2, c.p.p., l’interesse a chiedere la riabilitazione, in quanto correlato ad una completa valutazione post factum, non irrilevante sul piano dei diritti della persona.

Da tale premessa consegue, come corollario obbligato, che sebbene entrambi gli istituti assicurino al condannato la cessazione degli effetti penali della condanna, non possono però ritenersi sovrapponibili, in quanto solo con la riabilitazione si  acquista la certezza dell’effettiva rieducazione del reo, poiché l’estinzione ex art.445 c.p.p. deriva dal solo dato fattuale del mero decorso del tempo”.

In definitiva, deve essere distinta l’estinzione del reato rispetto alla riabilitazione, in quanto quest’ultima comporta un giudizio prognostico positivo sulla condotta futura di vita dell’interessato (art.179 c.p.) mentre l’estinzione del reato è un mero effetto conseguente, in via automatica, al decorso del tempo e al mancato compimento di reati della stessa indole (T.A.R. Toscana, sez. II del 14 febbraio 2019 n.231).

Ne consegue che l’intervenuta estinzione del reato di porto abusivo di armi non cancella da sola il fatto storico avvenuto, assunto dalla legge a presupposto per il diniego della licenza di porto armi; inoltre, non è condivisibile l’assunto secondo il quale il quid pluris che accerta il Tribunale di Sorveglianza (buona condotta successiva al reato) rispetto al giudice dell’esecuzione può essere oggetto di valutazione dell’autorità di pubblica sicurezza in sede amministrativa, previa acquisizione delle informazioni pertinenti, dal momento che l’art. 43 del TULPS (il quale enuclea una pluralità di reati sfociati in una condanna emessa dal giudice penale) richiede una riabilitazione in senso tecnico, con chiaro riferimento all’istituto tipico disciplinato dagli artt.178 e ss. del c.p..

D’altra parte, non si rivela irragionevole la necessità di un intervento dell’autorità penale, essendo la stessa che ha accertato la commissione di un delitto e una condotta che assume un preciso disvalore, ed è quindi pienamente abilitata a compiere la valutazione circa il successivo ravvedimento (cfr. “prove effettive e costanti di buona condotta” ex art.179 comma 1 c.p.).

Pertanto, non risulta ammissibile una surroga dell’autorità amministrativa, anche perché il Tribunale di Sorveglianza è tenuto a pronunciarsi (e ad adottare una decisione) previa sollecitazione dell’interessato.

L’orientamento sopra delineato può dirsi oggi completamente stabilizzato alla luce di una serie di convergenti pronunce dei Giudici Amministrativi (tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. III, 14 febbraio 2017, n.658).

Le ricadute sul piano delle funzioni autorizzatorie riconosciute dalla legge in tema di porto d’armi non possono risultare distoniche rispetto alla natura del potere che le Autorità di p.s. esercitano nella valutazione dei requisiti morali ai fini del rilascio e del rinnovo dei titoli di polizia in parola.

Le diverse tipologia di reati

Sussiste, al riguardo, la necessità di un distinguo a seconda che si controverta di condanne per i reati di cui all’art.11, primo comma, ovvero per i reati di cui all’art.43, primo comma, del T.U. delle Leggi di P.S..

Nella prima ipotesi, l’intervenuta riabilitazione elide l’effetto ostativo della condanna, che può assumere rilievo ai fini di una valutazione del profilo di affidabilità dell’interessato, secondo un giudizio discrezionale dell’Autorità, sorretto da un’adeguata motivazione atta a dimostrare la pericolosità sociale dell’individuo (insussistenza della buona condotta), ovvero della possibilità di abusare delle armi.

Di contro, la sentenza di riabilitazione non implica la necessità di fare luogo ad ulteriori valutazioni nel caso in cui essa si riferisca a condanne a pena detentiva per i delitti di cui all’art.43, primo comma, TULPS.

In tal caso, l’Autorità è titolare in linea di principio di un potere vincolato, per cui una volta accertata la sussistenza di una pronuncia di condanna per taluno dei predetti delitti occorrerà necessariamente fare luogo al diniego del provvedimento.

L’automatismo ostativo non si determina, invece, nell’ipotesi in cui il Giudice abbia disposto la sostituzione della pena detentiva, ritenuta applicabile, con una sanzione di ordine pecuniario, a mente del combinato degli artt.53 e 57, della legge 24 novembre 1981, n. 689.  In tali ipotesi, indipendentemente dal fatto che sia intervenuta o meno la sentenza di riabilitazione, assume rilievo la previsione di cui al citato art.57, terzo comma, della legge n.689 del 1981, secondo cui la pena pecuniaria, ancorché sostitutiva di quella restrittiva della libertà personale, si considera sempre come tale a tutti gli effetti. In presenza di una simile fattispecie l’Autorità non può denegare, in via automatica, il rilascio del permesso di porto d’arma, ma deve valutare, unitamente alle altre circostanze emergenti dal compendio istruttorio, se le circostanze oggetto della pronuncia di condanna siano indicative dell’assenza della buona condotta e della capacità di abusare delle armi, situazioni che giustificano, ai sensi dell’art. 43, seconda comma, TULPS il rigetto della richiesta della licenza di porto d’armi (Cons. Stato, Sez. VI, 23 luglio 2008, n. 3654 e Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1698 e n. 1696).

Ad un’analoga valutazione, occorrerà procedere anche nel caso in cui sia stata pronunciata, per uno dei reati di cui al ricordato art. 43, primo comma, TULPS, la sentenza con cui il Giudice – a termini dell’art. 131-bis c.p. – dichiara l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

In tal caso, infatti, la pronuncia del Giudice non può essere equiparata ad una sentenza di condanna a pena detentiva, imponendo pertanto all’Autorità, la quale quindi è chiamata a tenere in considerazione il fatto nell’ambito delle valutazioni discrezionali dei profili individuati dall’art. 43, secondo comma, TULPS (citata sentenza Cons. Stato, Sez. III, 31 maggio 2016, n. 2312).

Queste particolari declinazioni rendono, quindi, opportuno procedere, in sede di istruttoria, ad un’attenta verifica della corretta rilevanza delle condanne e delle altre pronunce giurisdizionali emesse nei confronti dell’interessato per taluno dei reati elencati al primo comma del medesimo art.43 Tulps.


[1] R.D.18 giugno 1931, n. 773 ” Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza ” (Tulps)

art. 11 “… le autorizzazioni di polizia debbono essere negate: 1° a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della liberta’ personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione;  2° a chi e’ sottoposto all’ammonizione o a misura di sicurezza personale o e’ stato dichiarato delinquente abituale, professionale per tendenza.

Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalita’ dello Stato o contro l’ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all’Autorita’, e a chi non puo’ provare la sua buona condotta.

Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego dell’ autorizzazione…”.

Art. 43  ” … non può essere conceduta la licenza di portare armi: a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione; b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della liberta personale per violenza o resistenza all’autorità o per delitti contro la personalita’ dello Stato o contro l’ordine pubblico; c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi …”.


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