L’alterazione della regolare funzionalità dell’ufficio, anche se temporanea e limitata ad un solo settore delle attività, integra il reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di pubblica necessità.

Corte di Cassazione, Sezione seconda penale, sentenza n. 1630, del 14 gennaio 2013, Pres. Macchia, Est. Rag

Cass. n.1630

Commento

Nella fattispecie in esame, la Suprema Corte ha confermato la sussistenza dei reati di cui agli artt.633 (Invasione di terreni o edifici), 610 (Violenza privata) e 340 c.p. (Interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità) individuati nell’arbitraria irruzione nell’ufficio del Presidente della Magistratura delle acque di Venezia – con violenza privata nei confronti di una dipendente, costretta ad uscire dalla stanza con offese, minacce, spintoni e lancio di oggetti – da parte di un gruppo di persone che avevano occupato l’ufficio con finalità di protesta ed avevano altresì determinato lo sgombero dell’edificio per esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e la conseguente interruzione delle attività lavorative prima del normale orario di chiusura degli uffici.

La prima condotta, di irruzione arbitraria, è agevolmente individuata dai giudici di merito nell’invasione dell’edificio pubblico da parte di una trentina di persone munite di striscione e di megafono, che avevano occupato una pluralità di locali e si erano asserragliati nell’ufficio presidenziale facendo uso dei beni pubblici ivi esistenti (fax, telefono).

Qui la Suprema Corte, in linea con un indirizzo consolidato, ravvisa l’elemento materiale del reato di invasione di terreni o edifici di cui all’art.633 c.p. non già nella mera occupazione – la quale di per sé può svolgersi anche in forma non violenta e può costituire solo una delle finalità specifiche della condotta dell’agente – ma nel carattere arbitrario dell’irruzione posta in essere senza averne diritto o titolo.

“L’arbitrarietà della condotta è ravvisabile in tutti i casi in cui l’ingresso nell’immobile o nel fondo altrui avvenga senza il consenso dell’avente diritto al possesso od alla detenzione ovvero, in mancanza di questo, senza la legittimazione conferita da una norma giuridica o da un’autorizzazione dell’autorità” (Cass. pen. n.8107 del 2000, rv.216525; Cass. pen. n.49169 del 2003, rv.227692; Cass. n.15610 del 2006, rv.233970).

Di maggiore significato è il riconoscimento della rilevanza penale dell’alterazione della regolare funzionalità dell’ufficio, anche se temporanea e limitata ad un solo settore delle attività del medesimo.

Occorre preliminarmente ricordare – osservano i giudici di legittimità – che il reato previsto dall’art.340 c.p. “si configura alternativamente nella condotta di chi cagiona un’interruzione o di chi turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità: ciò comporta che le due ipotesi alternative nelle quali la fattispecie astratta si prospetta devono ritenersi equivalenti e quindi reciprocamente interpretabili nel senso che l’interruzione deve essere tale da turbare la regolarità dell’ufficio o servizio” e la turbativa si realizza anche con una (sola) interruzione (Cass.pen. n.33062 del 2003, rv. 226662).

Se la connotazione temporale può dirsi pacificamente integrata nell’interruzione per un apprezzabile lasso di tempo, “purché di entità e durata tale da determinarla” (il tautologismo dell’espressione non modifica la sostanza dell’assunto interpretativo), meno condiviso è l’ambito delle attività lavorative che devono risultare effettivamente interrotte per rendere configurabile la violazione dell’art.340 c.p..

Si registrano, in proposito, due differenti indirizzi giurisprudenziali.

Secondo un primo orientamento, sostenuto dalla difesa, “il concetto di turbamento della regolarità di un ufficio o servizio pubblico […] si riferisce ad una alterazione, ancorché temporanea, del funzionamento dell’ufficio o servizio pubblico nel suo complesso e non già al turbamento dell’esercizio di una singola funzione o di una singola prestazione” (Cass. 5472/1982, rv. 154030; Cass. 6257/2003, rv. 223740). In tale ottica, “non avrebbe alcuna incidenza negativa di apprezzabile valenza, sulla concreta operatività globale dell’ufficio o del servizio, un’interruzione circoscritta ad un singolo ufficio che per gli effetti minimali che produce rientra nella fisiologica prevedibilità, tanto da essere agevolmente controllabile con i normali meccanismi di difesa preordinati ad assicurare il costante funzionamento del servizio” (Cass. 35399/2006, rv. 235196).

Alla luce di un più recentemente consolidato indirizzo, invece, “integra il reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di pubblica necessità anche la condotta che determini una temporanea alterazione, oggettivamente apprezzabile, della regolarità dell’ufficio o del servizio, coinvolgendone solamente un settore e non la totalità delle attività” (Cass. 36253/2011, rv.250810, rv.250810; Cass. 27919/2009, rv.244337).

I giudici della Corte di Cassazione avevano già affermato, peraltro, la sussistenza del reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico in caso simile a quello in esame (irruzione di una rappresentanza di lavoratori negli uffici del Ministero della Funzione pubblica con altri soggetti, ove erano rimasti per circa sei ore, costringendo il ministro a spostarsi in un’altra stanza e gli agenti della Questura ad intervenire in ragione di un “rilevante turbamento dell’ordinaria attività dell’ufficio pubblico”: Cass. 15636/2005, rv. 232127).

Invero, se si parte dall’enunciato della fattispecie incriminatrice, che tutela non solo l’effettivo funzionamento di un ufficio, ovvero di un servizio pubblico o di pubblica necessità, ma anche il suo ordinato e regolare svolgimento, si deve necessariamente concludere che la punibilità investe sia l’interruzione che il turbamento, dovendosi intendere quest’ultimo come riferito “alla regolarità dell’ufficio o del servizio, per la cui alterazione basta realizzare anche solo una discontinuità parziale di singole attività”.

Nel caso di specie, “l’interruzione dell’attività lavorativa dell’ufficio della Magistratura delle acque si verificò quantomeno a partire dal momento in cui gli impiegati presenti – su richiesta della Polizia – dovettero sgomberare l’edificio prima del normale orario di chiusura degli uffici. La suddetta interruzione fu univocamente causata dal comportamento degli occupanti, che aveva reso necessario l’intervento della forza pubblica, non avendo voluto desistere autonomamente dall’occupazione nonostante fossero già trascorse almeno due ore e mezza”.

La Suprema Corte ritiene di dare continuità a quest’ultimo indirizzo anche in ragione della portata costituzionale del bene giuridico di riferimento (il buon andamento della amministrazione, considerato sotto il profilo della regolarità e della continuità di esercizio della funzione o del servizio pubblico), che risulterebbe meno tutelato ove si accogliesse l’interpretazione restrittiva.


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