IN POCHE PAROLE…

Il recente disegno di legge avvia l’iter per arrivare, dopo oltre 20 anni, a riscrivere il testo unico degli enti locali. In attesa, introduce  diverse  modifiche al TUEL e alla riforma Delrio sulle province: scudo da responsabilità per i sindaci, ampliamento delle deroghe per il terzo mandato consecutivo, facoltà per i piccoli comuni di associarsi per l’esercizio delle funzioni fondamentali, introduzione delle giunte fra gli organi delle città metropolitane e delle province, ecc.


I documenti


Lo schema di legge delega ” Delega al Governo per la revisione del Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e altre disposizioni per la funzionalità degli enti locali”,  si compone, come recita la relazione illustrativa di accompagnamento, di due parti:

  1. la prima parte (Capo I) contiene una delega legislativa al Governo per la “manutenzione normativa” della disciplina, da adeguare alle innovazioni nel frattempo intervenute, anche  per effetto della riforma del Titolo V della Costituzione e degli interventi ad opera della Corte costituzionale;
  2.  la seconda parte  (Capo II)  prevede norme immediatamente precettive, che intervengono direttamente sull’assetto ordinamentale dei comuni, delle province e degli enti di area vasta, allo scopo di adeguarlo all’evoluzione normativa e giurisprudenziale.

Delega al Governo per la revisione del TUEL

Le disposizione del Capo I (artt. 1-6)  definiscono: (i) l’ambito di operatività della delega legislativa (fusioni tra comuni; – controllo sugli organi; – revisione del regime giuridico dei segretari comunali; – revisione economico-finanziaria e risanamento degli enti; – garanzie e controlli; – revisione della disciplina concernente la composizione del consiglio provinciale); (ii) i principi e criteri direttivi della delega (ricognizione delle norme statali vigenti in materia, loro coordinamento formale ee sostanziale e  aggiornamento per adeguarle alla legislazione vigente di rango costituzionale in materia; b) garanzia del rispetto delle competenze legislative dello Stato e delle regioni, nonché di unità e di autonomia ai sensi dell’articolo 5 della Costituzione e delle competenze costituzionali degli enti territoriali ;  adeguamento alle modifiche intervenute nel Titolo V della parte II della Costituzione, nel rispetto dell’unità e dell’indivisibilità della Repubblica); (iii) specifici criteri di delega relativi alle diverse materie oggetto di intervento del Legislatore delegato (Revisione della disciplina in materia di fusioni tra comuni; revisione della disciplina in materia di controllo sugli organi; revisione della disciplina del regime giuridico dei segretari comunali e degli enti di area vasta; modifiche alla disciplina delle funzioni di revisione economico-finanziaria e risanamento degli enti; la revisione della disciplina in materia di controlli contabili): (iv) il procedimento per l’adozione dei decreti legislativi delegati (deliberazione del Consiglio dei ministri,  previa acquisizione dei pareri della Conferenza unificata e del Consiglio di Stato).

Il Governo avrà tempo 9 mesi, dall’entrata in vigore della legge delega, per l’emanazione dei decreti legislativi  e altri 12 mesi per potere  emanare eventuali  decreti legislativi integrativi e correttivi.

Disposizioni di immediata efficacia

Le disposizioni del Capo 2 (artt. 7-11) contengono norme immediatamente precettive di modifica delle disposizioni del TUEL e della riforma Delrio del 2014 su  province e enti di area vasta, che riguardano, fra l’altro:

  • la trasformazione in causa di incompatibilità dell’attuale incandidabilità in Parlamento dei sindaci di Comuni sopra i 20mila abitanti a membro del Parlamento;
  • modifiche in materia di esercizio associato delle funzioni, di responsabilità e di durata del mandato dei sindaci e di costituzione degli uffici di supporto;
  • esclusione per i comuni al disotto dei 5.000 ab dell’obbligo del controllo di gestione;
  • lo scudo da responsabilità dei sindaci;
  • modificazioni alle norme in materia di enti dissestati;
  • diverse modifiche alla legge 56 del 2014 su  province e degli enti di area vasta, con particolare riferimento agli organi della città metropolitana e delle province e al sistema di elezione.

La candidatura a parlamentare dei sindaci

 E’ soppressa la causa di incandidabilità  alla candidatura a membro del Parlamento per i presidenti di provincia e per i sindaci dei comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti, che viene sostituita con una nuova ipotesi di incompatibilità ai sensi dell’articolo 63, comma 1, numero 7-bis (introdotto dalla successiva lettera c) del medesimo comma 2).

Ne deriva che non è più necessario che il presidente di provincia o il sindaco dei comuni con oltre 20.000 abitanti  per  candidarsi a membro del Parlamento si debba dimettere dalla carica per non incorrere nell’ineleggibilità e decadere  automaticamente dalla carica elettiva ricoperta. Solo  una volta eletto a parlamentare, diventerà incompatibile e decadrà dalla carica unitamente alla giunta.

Terzo mandato

 Il divieto del terzo mandato varrà solo per i sindaci dei comuni con oltre a 5.000 abitanti, anziché oltre 3.000. Possono usufruire del terzo mandato  anche i sindaci dei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti. se uno dei primi due mandati è durato meno di due anni, sei mesi e un giorno per cause diverse dalle dimissioni volontarie.

La causa  di ineleggibilità, che attualmente è prevista per l’eventuale candidatura di chi abbia ricoperto per due mandati consecutivi la carica di sindaco e di presidente della provincia, diventa una causa di incandidabilità.

Lo scudo da responsabilità per i sindaci

Derubricata la responsabilità del sindaco a mera responsabilità politica.

Raccogliendo l’appello dell’ANCI ad apportare correzioni  in materia di responsabilità dei sindaci,  la proposta  modifica l’art. 50 del TUEL, prevedendo che ” […] il sindaco e il presidente della provincia sono gli organi responsabili politicamente dell’amministrazione del comune e della  provincia […] “.

Ai sindaci non bastava l’esimente politica prevista per la responsabilità erariale, volevano e hanno ottenuto di più: gestire di fatto senza dovere rispondere della gestione; un obiettivo che hanno cercato di perseguire, fin dall’inizio dell’introduzione nel nostro ordinamento del principio della distinzione fra politica e azione,  prima con la riforma Cassese dei primi anni dello scorso secolo (D.Lgs n. 29 del 1993), poi rafforzata dalle riforme Bassanini della fine degli anni novanta (L 59 e 127 del 1997; L. 191 del 1998 e L. 50 del 1999).

E per evitare che il giudice  contabile (e quello penale, ritengo) possa avere dubbi interpretativi,  la proposta prevede che il vertice politico degli enti locali sia privato della funzione, oggi attribuita, di sovrintendenza al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti, e che debba  limitarsi ad esercitare funzioni di indirizzo  politico-amministrativa, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e a verificare la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli  indirizzi impartiti.

La chiusura del cerchio è contenuta nella proposta di modifica del comma 1 dell’art. 107 dello stesso TUEL, in cui si prevede  che i dirigenti siano responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati, rafforzando con l’aggiunta “in via esclusiva  un principio già consolidato nel nostro ordinamento.

In breve, se la proposta dovesse essere approvata tal quale, ed è molto probabile che lo  sarà, solo il dirigente (o il titolare della PO  responsabile apicale del servizio). sarà responsabile della gestione, amministrativa, finanziaria-contabile e tecnica, il sindaco mai a meno che il vulnus non stia nell’indirizzo.

Il dichiarato (nella relazione illustrativa) perseguimento del fine di rafforzare il principio della separazione tra indirizzo e gestione potrebbe essere comprensibile, anche se  discutibile, ma la realtà, anche dal punto di vista legislativo, è molto diversa.

Da un lato, infatti, la quasi totalità dei sindaci è convinta che l’elezione  permetta loro di adottare arbitrariamente qualsiasi scelta a prescindere dal rispetto di vincoli e regole. In altri termini, diversi sindaci sono convinti di essere come il principe di machiavelliana memoria, legibus solutus, per il quale il fine giustificava i mezzi (La seppure amara vicenda del sindaco di Riace Mimmo Lucano ne è una lampante testimonianza recente).

Dall’altro, il complesso di norme già da tempo in vigore attribuisce ai sindaci ampissimi poteri sulle nomine dirigenziali e non solo, da esercitare  in quasi totale libertà. Alcuni esempi.

Vige da tempo negli enti locali un accentuato “spoil system“, pratica politica che, di fatto, consente al sindaco, di scegliere motu proprio i “gestori”. Infatti, il sindaco e il presidente della provincia, è bene ricordarlo, nominano ad nutum il segretario dell’ente e, al rinnovo dell’amministrazione, hanno il potere di non confermarlo nell’incarico senza alcun obbligo di motivazione, persino di revocarlo in corsa, seppure all’esito di un un giusto procedimento.

I sindaci decidono il contenuto degli incarichi dei dirigenti di ruolo, conferiscono gli incarichi di dirigente a contratto ex art. 110 del TUEL, con un procedimento di nomina spesso basato essenzialmente su un rapporto fiduciario, ancorché mascherato di trasparenza per l’obbligo di indire una specie di “selezione pubblica”. E, ancora, hanno il potere di nominare i componenti del nucleo di valutazione (o OIV) , con il solo obbligo di pubblicare un avviso ma senza alcun dovere di motivare la scelta e, nei comuni con oltre 15.ooo abitanti, nelle province e nelle città metropolitane, di proporre alla loro maggioranza consiliare la nomina del presidente del collegio dei revisori (il controllato, quindi, sceglie il controllore del bilancio e della gestione economico – finanziaria dell’ente).

A ciò deve aggiungersi che l’organo di governo di vertice deve tradurre le policies in indirizzi, ma il confine fra i doverosi indirizzi e le direttive (con  addirittura, ordini puntuali), normativamente vietate,  è nella pratica molto incerto;  attraverso lo schermo degli indirizzi spesso gli organi di governo adottano ordini molto puntuali. In base al nuovo riparto di responsabilità che si vuole introdurre, del c.d. indirizzo, ancorché illegittimo, dato dal sindaco, finirebbe con il rispondere, con molta probabilità esclusivamente il gestore che lo ha attuato.

Non bisogna, poi, dimenticare che già la legge 20/1994, all’articolo 1, comma 1-ter, disciplina la cosiddetta “esimente politica”: “[…]. Nel caso di atti che rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi la responsabilità non si estende ai titolari degli organi politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione

La proposta legislativa concede  un “aiutino” anche ai sindaci per l’esercizio delle funzioni di Ufficiale di Governo . Più precisamente, prevede che per le ordinanze contingibili ed urgenti adottate per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana, il sindaco risponda di danno erariale solo in caso di dolo e non più anche per colpa grave. E che il Ministero dell’interno sia litisconsorte necessario nei giudizi promossi contro il sindaco – nella sua qualità di ufficiale di Governo – in materia di anagrafe e stato civile: ciò per consentire, recita la relazione illustrativa, al Governo, titolare delle corrispondenti funzioni a livello nazionale, di porre in essere, nell’ambito del giudizio, ogni utile azione a garanzia dell’interesse pubblico e dell’unità dell’ordinamento giuridico.

Aggregazione facoltativa per le funzioni fondamentali.

In coerenza  con la nota sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Corte cost. sent. 4 marzo 2019, n. 33),  viene superato l’obbligo dell’esercizio associato delle funzioni da parte dei piccoli comuni (fino a 5.000 ab. o ai 3.000 ab. nelle zone montane). La proposta prevede la facoltatività dell’esercizio associato delle funzioni, collegando alla preventiva programmazione all’esito dell’obbligatoria concertazione tra gli enti territoriali.

Città metropolitane e province

La novità di maggior rilievo, anch’essa di immediata efficacia, consiste nella proposta di inserire fra gli organi di governo delle città metropolita e delle province anche la giunta (metropolitana e provinciale), l’organo esecutivo non previsto dalla fallimentare riforma  Delrio del 2014 (legge n. 56 del 2014). La giunta, metropolitana o provinciale, sarà composta dal presidente (sindaco della città metropolitana o presidente della provincia) e da un numero di assessori non superiore a quattro per le città metropolitane o le province con una popolazione superiore ad un milione di abitanti e non superiore a tre per le città metropolitane o le province con popolazione inferiore ad un milione di abitanti.

La carica degli assessori

Ritornano, quindi, gli assessori, con la loro indennità di funzione. Ad ogni assessore della città metropolitana  e delle province spetterà, infatti, un compenso non superiore al 50 dell’indennità di carica prevista per gli assessori del comune capoluogo della città metropolitana o della provincia.

Sembra che siano passati anni luce e che tutti abbiano dimenticato le urla scomposte di alcuni giornalisti (Stella) e dei politici di (quasi) tutti gli schieramenti contro le province inutili, che affollavano i talk schow per convincerci che l’unica cosa da fare era l’abolizione di questi enti che sprecavano solo denaro pubblico.

Giuseppe Panassidi, avvocato in Verona

 


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