IN POCHE PAROLE…
Per il dirigente a contratto, nessun diritto al collocamento in aspettativa da parte dell’Amministrazione di appartenenza
Il parere della Funzione Pubblica
La fruizione dell’aspettativa per la durata dell’incarico di dirigente a contratto è subordinata alla previa valutazione delle esigenze organizzative dell’amministrazione di appartenenza.
A margine
La questione riguarda l’obbligatorietà o meno dell’applicazione del comma 5 dell’art. 110 del TUEL, che prevede la collocazione del dipendente in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell’anzianità di servizio, durante tutta la durata di incarico di dirigente a contratto..
Il richiamato comma 5 dell’art. 110, sul conferimento degli incarichi a contratto, del D. Lgs. n. 267/2000 stabilisce, infatti, che “per il periodo di durata degli incarichi di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo nonché dell’incarico di cui all’art. 108 (n.d.r. direttore generale) i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono collocati in aspettativa senza assegni con riconoscimento dell’anzianità di servizio”. Lo stesso regime è previsto dal comma 6 dell’articolo 19 del D.Lgs. n. 165 del 2001 per le amministrazioni dello Stato e per gli enti pubblici.
Il dipartimento della Funzione Pubblica, con il parere annotato (DFP-0025780-P-16/04/2021), ha chiarito che il comma 5 dell’art. 110 non istituisce alcun diritto del dipendente alla collocazione in aspettativa, bensì prevede per l’interessato una possibilità, condizionata alla concessione da parte del datore di lavoro.
Fino a qualche tempo fa, invece, vi era la convinzione da parte dei dipendenti, che partecipare ad un avviso pubblico a tempo determinato e vincere la selezione determinasse l’automatica concessione, da parte dell’amministrazione di appartenenza, dell’assenso verso l’amministrazione procedente alla selezione. Il parere della Funzione Pubblica smonta la tesi del diritto soggettivo vantato dai dipendenti all’aspettativa per ricoprire un incarico dirigenziale o equiparato.
Certo non poteva non essere così in quanto l’amministrazione ha sempre la possibilità di valutare l’impatto che la concessione dell’aspettativa prevista dal comma 5 dell’art. 110 del TUEL potrebbe comportare sull’organizzazione dell’ente e sullo svolgimento delle funzioni istituzionali, soprattutto negli enti locali di ridotte dimensioni organizzative.
Da sempre le amministrazioni si sono poste il problema se in tal caso potessero rifiutare o meno la richiesta avanzata dai dipendenti per questo tipo di aspettativa. Le pubbliche amministrazioni e soprattutto gli uffici del personale, nell’istruire l’istanza di concessione di aspettativa si ponevano l’interrogativo se fossero di fronte ad una scelta discrezionale che poteva portarle anche a rifiutare la richiesta di aspettativa oppure se fossero obbligati dalla norma di legge che imponeva in modo indicativo e forse imperativo la concessione dell’aspettativa.
La questione si pone, stante il principio cardine, nell’ambito del rapporto d’impiego pubblico, dell’esclusività della prestazione lavorativa (a mente dell’art. 98, I comma, Cost.: “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”), con le sole eccezioni previste dall’art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001 e dagli artt. 60 e ss. d.P.R. n. 3/1957 (Corte dei conti – Sezione regionale di controllo Lombardia deliberazione n. 232 del 2018 .
Anche il Tar Marche, sez. I, sentenza 7 febbraio 2018, n. 94 ha chiarito che la concessione dell’ aspettativa non avrebbe carattere di automatismo ma un effetto derogatorio rispetto alla disciplina in materia di esclusività che opera in seguito alla sua concessione. La Funzione Pubblica nel rendere il parere cita a margine sia la sentenza del Tar Marche che la deliberazione della Corte dei Conti Lombardia.
Pertanto, sarebbe opportuno che già al momento della presentazione della domanda alla partecipazione ad un avviso pubblico di selezione di incarico a tempo determinato, i dipendenti producessero anche il preventivo assenso da parte dell’amministrazione di appartenenza.
Ciò al fine di non creare situazioni di conflittualità tra interessi potenzialmente contrapposti: quello del dipendente ad avere una crescita professionale e di carriera in un ente diverso con un incarico superiore a volte anche in termini economici e quello dell’ente di appartenenza a non avere scoperture in organico non facilmente colmabili con mobilità interne o con assunzioni in forme flessibili in tempi brevi.
Pur condividendo la posizione assunta dalla funzione Pubblica, sarebbe opportuno un intervento chiaro del legislatore tale da liberare l’amministrazione da dubbi interpretativi passibili anche di contenziosi.
D’altro canto, l’art. 3, comma 7 del D.L. 80 del 2021, ancora in attesa di conversione, stabilisce, salvo alcuni casi, che l’assenso dell’amministrazione di appartenenza nelle procedure di mobilità non è più dovuto, al di là di qualunque considerazione sulle esigenze organizzative dell’ente. Pertanto, appare improcrastinabile un intervento ad hoc del legislatore.
dott. Filippo Cambareri