IN POCHE PAROLE …

Con il trasferimento al comune delle funzioni prima attribuite all’unione, anche i dipendenti devono essere ritrasferiti al comune, senza variazione in aumento della spesa per il personale.

Corte dei conti, sez. reg. di controllo per l’Emilia – Romagna, deliberazione  10 dic.  2020, n. 118 Pres. Marco Pieroni, Rel. Elisa Borelli

 


A margine

Nel caso di scioglimento di un’unione, ovvero di recesso di uno degli enti partecipanti, il rientro del personale non può mutare in aumento il computo complessivo della spesa. Il principio dell’invarianza finanziaria, infatti, deve governare gli spazi assunzionali degli enti costituiti in unione, anche in caso di recesso di un ente o scioglimento dell’unione, con la conseguenza che non può mai determinarsi una variazione in aumento della spesa di personale, a garanzia del rispetto dei vincoli posti dalle norme di coordinamento della finanza pubblica.

E’ questo il contenuto principale del parere n° 118/2020 della Sezione regionale di controllo dell’Emilia Romagna della Corte dei conti, che trae spunto dalla richiesta avanzata da un comune, finalizzata a comprendere gli effetti (sul fronte del personale) del recesso dall’unione a cui partecipava. Soprattutto la questione riguarda l’eventuale passaggio al comune di personale autonomamente assunto dall’unione, pur utilizzando le cessazioni del personale trasferito originariamente a quest’ultima e non già delle risorse umane inizialmente facenti capo ai comuni aderenti.

Per giungere alla conclusione indicata la Corte dei conti anzitutto ricorda che, sia nel caso di mobilità sia nel caso di personale direttamente assunto, il rapporto di lavoro fa capo all’unione di comuni, posto che questi ultimi non intervengono in alcun modo nel contratto instaurato con i dipendenti. Nondimeno, trattasi di personale che, in caso di interruzione del rapporto di partecipazione all’unione, deve essere riassorbito dal comune recedente, anche per effetto delle molteplici disposizioni che hanno introdotto norme di favore in relazione alla disciplina del personale delle unioni, garantendo altresì maggiori spazi assunzionali (art. 1, comma 229, della L. 208/2015; art. 32, comma 5, del D.Lgs. 267/2000; art. 22, comma 5 ter, del D.L. 50/2017).

Secondo l’art. 32, comma 5, del D.Lgs. 267/2000 – ad esempio – i singoli comuni partecipanti possono cedere capacità assunzionali all’unione, destinate ad aggiungersi alle altre possibilità ordinariamente spettanti agli enti sovracomunali. Inoltre, sempre a titolo di favore per i processi di riallocazione del personale, è stato altresì disposto l’esonero, in caso di passaggio di personale, dall’obbligo di pubblicazione dell’apposito bando destinato a garantire lo svolgimento delle procedure di mobilità.

Nulla, invece, in tale percorso, è stato previsto per disciplinare l’esito opposto, ossia lo scioglimento delle unioni esistenti ovvero il recesso di uno dei comuni aderenti all’unione che, pertanto, avrebbe dovuto trovare una sua specifica regolamentazione (ragionevolmente) nell’ambito degli statuti delle unioni.

In mancanza di quest’ultima rilevano i principi già fissati dalla Sezione delle Autonomie (deliberazione n° 8/2011), secondo i quali – in caso di recesso – i dipendenti dell’unione possono essere reinquadrati negli enti di appartenenza a condizione che gli stessi (a seguito della costituzione dell’unione) abbiano mantenuto i posti in organico e non li abbiano coperti con nuove assunzioni.

Così operando, infatti, è garantito il rispetto del vincolo di non esorbitanza degli spazi assunzionali stabiliti per i diversi enti riconducibili alla gestione in forma associata delle funzioni trasferite all’unione, in modo da garantire che il numero dei dipendenti dopo il recesso dall’unione non risulti superiore a quello precedente alla costituzione, pure in vista di rispettare i vincoli di contenimento.

Anche perché il ricorso alla creazione di enti sovracomunali non può costituire in alcun modo il mezzo per accrescere gli spazi assunzionali né in fase di costituzione né in fase di scioglimento, anche rispetto soltanto ad uno dei diversi partecipanti.

Di conseguenza, il rientro in organico al comune dei dipendenti assunti dall’unione in sostituzione del personale cessato e originariamente trasferito dal comune non è assimilabile ad una nuova assunzione e, pertanto, non è destinato a soggiacere – stante l’effetto neutrale sul contenimento della spesa – alle specifiche limitazioni stabilite dalla disciplina finanziaria.

Pertanto, i comuni che costituiscono un’unione devono computare nella loro spesa la quota di competenza  sostenuta dall’unione, così – nell’ipotesi di recesso – non si determinerebbe alcun problema di osservanza dei vincoli di spesa.

Pertanto, conclusivamente, il ritrasferimento al comune delle funzioni attribuite all’unione non può che determinare la possibilità di riassorbimento del personale originariamente trasferito (così come di quello successivamente assunto) e che non potrebbe, pertanto, permanere in capo alla stessa unione.


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