IN POCHE PAROLE …

Il divieto di pantouflage solo per gli ex dipendenti pubblici con poteri autoritativi o negoziali

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 27 novembre 2020, n. 7462, Pres. Caringella, Est. Prosperi


L‘incompatibilità successiva alla cessazione rapporto di lavoro (c.d. pantouflage),  di cui all’art. 53, co. 16 del d.lgs. 165/2001, si applica nei confronti dei dipendenti che negli ultimi tre anni di servizio hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni e, ora, con l’art. 21 co. 1 del d.lgs. n. 39/2013, anche per conto di enti privati.  Se gli ex dipendenti non esercitavano tali poteri, il richiamo al divieto di pantouflage non può trovare applicazione. 

Tale divieto opera anche per gli ex dipendenti di soggetti privati sotto controllo pubblico e di enti pubblici economici.

Il conflitto non può sussistere in via astratta a fronte di un pregresso rapporto di colleganza, ma deve fondarsi per lo meno su indizi concreti da dimostrare.


A margine

il fatto – Nell’ambito di una gara per la concessione in uso di un’area di sosta e di un immobile ad uso bar, viene dichiarata aggiudicataria una new.co. Un’impresa partecipante contesta l’aggiudicazione affermando che l’amministratore unico ed uno dei soci della new.co erano, al momento della presentazione dell’offerta, dipendenti della stazione appaltante addetti alla gestione dello stesso parcheggio.

Pertanto, la concorrente denuncia la violazione degli artt. 60 d.p.r. 3 del 1957 – che vieta ai dipendenti pubblici di accettare cariche in società costituite a scopo di lucro in costanza di rapporto di lavoro – e del Piano Triennale anticorruzione adottato dalla stazione appaltante che prescrive il divieto per tutti i dipendenti di instaurare rapporti di lavoro autonomo o subordinato con soggetti privati che siano destinatari di accordi, contratti o provvedimenti con/dalla stazione appaltante per i tre anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro.

Il Tar Veneto, con sentenza n. 1021/2019, respinge il ricorso affermando che, essendo la stazione appaltante un ente pubblico economico, ad essa non si applicano le norme del TUPI.

Inoltre, le norme sul pantouflage oggi contenute all’art. 53, comma 16-ter, del d.lgs. 165 del 2001 e richiamate nel piano anticorruzione dell’ente riguardano in ogni caso i dipendenti che avevano esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle Pubbliche Amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 165 del 2001 fra le quali, come sopra detto, non rientrano gli enti pubblici economici.

L’impresa si appella pertanto al Consiglio di Stato.

La sentenza – Il Consiglio di Stato evidenzia che la previsione di cui all’art. 53 comma 16 ter del d.lgs. 165 del 2001 va interpretata nel senso che gli ex dipendenti pubblici non possono, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto, assumere rapporti di lavoro privati o incarichi professionali presso soggetti privati destinatari dell’attività del soggetto pubblico al tempo datore di lavoro.

Il d. lgs. 39 del 2013 (art. 21, c. 1) ha esteso tale divieto anche agli ex dipendenti di soggetti privati sotto controllo pubblico, il che potrebbe valere anche per l’ente pubblico economico in esame.

Tuttavia l’art. 53 co. 16 citato, stabilisce che il divieto vale per i dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni – ora anche per gli enti privati.

La stazione appaltante ha dimostrato che i due ex dipendenti erano stati assunti come “operai ex qualificati”, addetti a compiti esecutivi variabili e non complessi e comunque di livello inferiore rispetto alle mansioni proprie di operaio ex qualificato.

Pertanto, è evidente che i due non esercitassero quei poteri autoritativi o negoziali che impediscono assunzioni o incarichi da parte di soggetti privati e che il richiamo ai divieti di pantouflage non possa trovare nessi di collegamento con la fattispecie in esame.

Quanto alla doglianza circa la presunta violazione delle norme stabilite dal codice dei contratti pubblici in tema di conflitto di interesse (art. 42 del d. lgs. 50 del 2016), il collegio ricorda che il conflitto non può sussistere in via astratta a fronte di un pregresso rapporto di colleganza, ma deve fondarsi per lo meno su indizi concreti che dimostrino la sussistenza di un interesse comune tra concorrenti e commissari (Cons. Stato, V, 6 maggio 2020 n. 2863; id., 17 aprile 2019 n. 2511). Nel caso in esame tale prova non è stata fornita.

Pertanto l’appello è respinto.

di Simonetta Fabris


Stampa articolo