I divieti e gli obblighi, di cui all’art. 13 del decreto – legge n. 223 del 2006, a carico delle società strumentali pubbliche [ : a) operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti; b) non svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara; c) non partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale; d) avere un oggetto sociale esclusivo; e) cedere a terzi le attività non consentite oppure scorporarle anche costituendo una separata società], devono esere interpretati in senso restrittivo, da un lato, in applicazione dei principi comunitari che, a differenza della normativa nazionale, non prevedono esclusioni automatiche dalle gare, ma richiedono valutazioni in concreto, e, dall’altro, con riferimento al contesto delineatosi dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 2012 e la normativa di cui all’art. 4 del decreto legge , n. 95 del 6 luglio 2012 che ha limitato lo sfavore dell’ordinamento alle sole società strumentali con un fatturato del 90% derivante da attività rese alle pubbliche amministrazioni.
TAR Lombardia, Brescia sez. II, 21/2/2013 n. 196, Pres. Giorgio Calderoni, Est. Mauro Pedron
Il caso
Un Comune ha indetto una procedura aperta per l’affidamento del servizio intercomunale di gestione integrata dei rifiuti urbani e assimilati. La gara è stata aggiudicata ad una Società affidataria diretta di servizi pubblici locali in una pluralità di comuni e indirettamente controllata da altra società strumentale di enti pubblici ai sensi dell’art. 13 del DL 4 luglio 2006 n. 223.
Il secondo concorrente classificato ha contestato l‘aggiudicazione eccependo, fra l’altro, che l‘aggiudicatario non avrebbe potuto partecipare alla gara, in quanto:
a) affidatario diretto di servizi pubblici locali in una pluralità di comuni;
b) controllato indirettamente da altro soggetto qualificabile come società strumentale di enti pubblici ai sensi dell’art. 13 del DL 4 luglio 2006 n. 223;
La sentenza e la motivazione
Il TAr Brescia, con la sentenza che si annota, ha respinto il ricorso anche con riferimento ai divieti di cui all’art. 13 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223.
Con riferimento alla censura di aggiudicatario affidatario di altri servizi pubblici in una pluralità di comuni, il TAR ha ritenuto che la proroga degli affidamenti per garantire la continuità del servizio in attesa dello svolgimento delle gare non ponga problemi di conflitto con il diritto comunitario. A maggior ragione, l’affidamento diretto prorogato non può essere considerato ostativo nel vigente contesto normativo nazionale, dove il legislatore ha rinunciato, dopo le note vicende referendarie del 2011, a imporre una transizione verso le gare più rapida o più estesa di quella richiesta dal diritto comunitario.
Con riferimento alla censura relativa al divieto di cui all’art. 13 del DL n. 223/2006, il TAR ha osservato che detta normativa sulle società strumentali ha posto due categorie di attività vietate:
a) quelle incompatibili con il carattere strumentale della società (ovvero la produzione di beni e servizi non per un ente pubblico specifico ma per una pluralità di soggetti indeterminati);
b) quelle incompatibili con l’esclusività dell’oggetto sociale (tra queste rientra lo svolgimento di servizi pubblici).
Le prime sono comunque vietate anche se scorporate e svolte da una società controllata (la catena societaria, benché allungata, sarebbe solo un espediente finalizzato a eludere il divieto – v. C.Cost. 1 agosto 2008 n. 326 punto 8.7), per le seconde si apre invece la prospettiva dello scorporo legittimo in una diversa società, e qui si inseriscono anche le principali divergenze interpretative.
Ed ha concluso per l’accoglimento di una tesi meno rigorosa di quella sostemuta da quella parte della giurisprudenza che sostiene che l’art. 13 del DL 223/2006 contenga la presunzione secondo cui una società controllata, anche se di terza generazione, possa presentare in sede di gara nella competizione con gli altri operatori offerte inevitabilmente migliori grazie ai vantaggi economici goduti dalle società patrimoniali controllanti (proprio con riferimento alla controinteresata al ricorso, v. Cons. St., sez. V 21 giugno 2012 n. 3668). Su questa base non rimarrebbe altra possibilità che l’esclusione dalle gare.
Il TAR Brescia, invece, disconstandosi dall’orientamento più rigoroso testè ricordato, motiva la decisione di rigetto richiamando, da un lato, i principi comuitari che, a differenza della disciplina nazionale, richiedono valutazioni in concreto, e dall’altro i canoni ermeneutici accolti nella sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 4 agosto 2011 n. 17. E ancora, il ontesto delineatori con la sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 2012 e l’evoluzione del quadro normativo con l’art. 4 del D.L. n. 95 del 2012.
Sotto il primo profilo, il TAR ricorda che secondo la giurisprudenza comunitaria (v. C.Giust. Sez. IV 23 dicembre 2009 C-305/08, Conisma, punto 40; C.Giust. Sez. VI 7 dicembre 2000 C-94/99, Arge, punti 28-32) ai soggetti che beneficiano di sovvenzioni pubbliche non può essere preclusa la partecipazione alle gare, in particolare se si considera che tra i potenziali partecipanti figurano in qualità di imprenditori gli stessi enti pubblici (v. attualmente l’art. 1 par. 8 della Dir. 31 marzo 2004 n. 2004/18/CE), salvo che si dimostri che le sovvenzioni pubbliche costituiscono una specifica violazione dei Trattati; ma anche in questo caso il problema non è principalmente la disparità di trattamento ma la sostenibilità economica dell’offerta qualora venga imposta la restituzione della sovvenzione pubblica.
Per altro verso, il TAR precisa che la richiamata sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 17 del 2011, nel sostenere due canoni interpretativi: (a) la trasmissione delle cause di esclusione alle società partecipate, comprese quelle di terza generazione, si realizza quando si possa ravvisare l’intenzione di eludere i divieti a carico delle società strumentali; (b) una società partecipata incorre negli stessi divieti della società strumentale quando beneficia dell’intervento finanziario di quest’ultima, ha cercato di salvaguardare la normativa nazionale, più rigorosa di quella comunitaria, ma in conformità a quest’ultima ha accolto il principio della “verifica in concreto”. E, sulla base dell’istruttoria effettuata, ha escluso che nella fattispecie oggetto del ricorso ricorrano le suddette cause ostative.
Per il TAR , inoltre, seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 199/2012, l’art. 13 del DL 223/2006 – in attesa di una riforma normativa – deve essere interpretato secondo i principi dell’ordinamento comunitario, ossia evitando di desumerne cause automatiche di esclusione dalle gare.
Ed è proprio in questa direzione, che l’art. 4, commi 1-3, del D.L. n. 95/2012 sulla spending review, introduce una nuova classificazione delle società strumentali in vista della liquidazione delle stesse attraverso scioglimento o alienazione. E restringe l’obbligo di dismissione alle sole società con un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell’intero fatturato.
Conclusioni
La sentenza annotata è apprezzabile nella parte in cui “legge” i rigorosi vincoli posti alle società strumentale dall’art. 13 del DL 223/2006, alla luce dei principi comunitari che escludono eliminazioni automatiche dalle gare per le società strumentali ma esigono valutazioni in concreto, e del nuovo quadro delineatosi in seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 2012, e i chiarimenti apportati dalla normativa sopravvenuta in materia di revisione della spesa pubblica (art. 4 commi 1-3 del DL n. 95/2012), che ha limitato lo sfavore per le società strumentali solo a quelle con una dipendenza imprenditoriale dalle pubbliche amministrazioni quasi totale (90% di fatturato).
Non si può, tuttavia, trascurare di annotare che un mercato effettivamente concorrenziale fa fatica a sopportare la presenza di soggetti economici con rendite derivanti dell’affidamento diretto di servizi, e la contrazione delle opportunità di competere nelle gare aperte alla concorrenza. C‘è il fondato rischio, infatti, che gli affidatari diretti siano in grado di offrire sistematicamente condizioni non replicabili dagli altri concorrenti, assicurandosi di conseguenza la posizione di monopolisti in un determinato ambito territoriale.