La Pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina.

Qualora l’interessato abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, il giudice adito dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento alla disciplina della L. n. 241 del 1990.

L’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica, ha un interesse protetto, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, ad avere accesso agli atti anche della fase esecutiva delle prestazioni, in quanto la L. 241 tutela l’interesse all’accesso indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della relativa disciplina sostanziale (art. 22, comma 1, lett. e) della L. n. 241 del 1990).

L’interesse dell’istante all’accesso agli atti della fase esecutiva del contratto, pur in astratto legittimato, per essere considerato concreto, attuale, diretto, deve preesistere all’istanza di accesso e non esserne, invece, conseguenza, dato che la legge vieta l’accesso documentale finalizzato ad un controllo generalizzato sull’attività, pubblicistica o privatistica, delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 4, della l. n. 241 del 1990.

 La disciplina dell’accesso civico generalizzato, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive di cui all’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, è applicabile agli atti delle procedure di gara e all’esecuzione dei contratti pubblici

Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Adunanza Plenaria, sentenza 2 aprile 2020, n. 10, Pres. Filippo Patroni Griffi, Est. Massimiliano Noccelli 


A margine

La terza sezione  del Consiglio di Stat0, con ordinanza n. 8501 del 16 dicembre 2019, ha rimesso all’Adunanza plenaria tre quesiti sui quali ha ravvisato un contrasto giurisprudenziale in ordine alle questioni oggetto del giudizio di appello, promosso per l’annullamento della sentenza del TAR Toscana, Sez. II, n. 577 del 17 aprile 2019.

Questioni – Le questioni poste dalla terza sezione all’Adunanza Plenaria, nell’ordine affrontato dalla stessa Adunanza Plenaria, sono tre:

1) se, in presenza di una istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale della L n. 241 del 1990, o ai suoi elementi sostanziali, la pubblica amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della L n. 241 del 1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato, previste dal D.Lgs. n. 33 del 2013, e se di conseguenza il giudice, in sede di esame del ricorso avverso il diniego di una istanza di accesso motivata con riferimento alla disciplina ordinaria, di cui alla L. n. 241 del 1990 o ai suoi presupposti sostanziali, abbia il potere-dovere di accertare la sussistenza del diritto del richiedente, secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’accesso civico generalizzato.

2) se sia configurabile, o meno, in capo all’operatore economico, utilmente collocato nella graduatoria dei concorrenti, determinata all’esito della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la titolarità di un interesse giuridicamente protetto, ai sensi dell’art. 22 della L. n. 241 del 1990, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva delle prestazioni, in vista della eventuale sollecitazione del potere dell’amministrazione di provocare la risoluzione per inadempimento dell’appaltatore e il conseguente interpello per il nuovo affidamento del contratto, secondo la regole dello scorrimento della graduatoria;

3) se la disciplina dell’accesso civico generalizzato, di cui al D.Lgs. n. 33 del 2013, come modificato dal d. lgs. n. 97 del 2016, sia applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso codice.

 La sentenza – L’Adunanza plenaria enuncia, sulle questioni postele dalla terza Sezione, i seguenti principi di diritto, anche nell’interesse della legge stante l’importanza delle questioni  sollevate (art. 99, comma 5, c.p.a.):

  1. la pubblica amministrazione ha il potere-dovere di esaminare l’istanza di accesso agli atti e ai documenti pubblici, formulata in modo generico o cumulativo dal richiedente senza riferimento ad una specifica disciplina, anche alla stregua della disciplina dell’accesso civico generalizzato, a meno che l’interessato non abbia inteso fare esclusivo, inequivocabile, riferimento alla disciplina dell’accesso documentale, nel qual caso essa dovrà esaminare l’istanza solo con specifico riferimento ai profili della l. n. 241 del 1990, senza che il giudice amministrativo, adìto ai sensi dell’art. 116 c.p.a., possa mutare il titolo dell’accesso, definito dall’originaria istanza e dal conseguente diniego adottato dalla pubblica amministrazione all’esito del procedimento (cfr. Cons. St., sez. IV, 28 marzo 2017, n. 1406; Cons. St., sez. V, 20 marzo 2019, n. 1817; Cons. St., sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503);
  2.  è ravvisabile un interesse concreto e attuale, ai sensi dell’art. 22 della l. n. 241 del 1990, e una conseguente legittimazione, ad avere accesso agli atti della fase esecutiva di un contratto pubblico da parte di un concorrente alla gara, in relazione a vicende che potrebbero condurre alla risoluzione per inadempimento dell’aggiudicatario e quindi allo scorrimento della graduatoria o alla riedizione della gara (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1115), purché tale istanza non si traduca in una generica volontà da parte del terzo istante di verificare il corretto svolgimento del rapporto contrattuale;
  3. la disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all’esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l’eccezione del comma 3 dell’art. 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l’art. 53 e con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall’accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza

L’accesso documentale e accesso civico agli atti di gara – La questione di maggiore attualità, posta dall’ordinanza di rimessione, riguarda il contrasto creatosi nella giurisprudenza del Consiglio di Stato e in quella di merito relativamente all’applicabilità, in tutto o in parte, dell’accesso civico generalizzato ai documenti relativi alle attività disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva.

L’ Adunanza Plenaria non solo enuncia il principio di diritto secondo cui gli operatori economici, che abbiano preso parte alla gara, sono legittimati ad accedere anche agli atti della fase esecutiva, con le limitazioni di cui all’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, purché abbiano un interesse attuale, concreto e diretto a conoscere tali atti, ma riconosce anche l’applicabilità dell’accesso civico generalizzato alla materia dei contratti pubblici, concludendo che il FOIA è applicabile, in tutto o in parte, in relazione ai documenti relativi alle attività delle amministrazioni disciplinate dal codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, inerenti al procedimento di evidenza pubblica e alla successiva fase esecutiva, ferme restando le limitazioni ed esclusioni oggettive previste dallo stesso D.Lgs. n. 33 del 2013.

Motiva la decisione, innanzitutto,  con riferimento alla natura e finalità dell’istituto dell’accesso civico generalizzato,  rimarcate più volte dalla Corte costituzionale (sent. n. 20 del 21 febbraio 2019) e dallo stesso Consiglio di Stato (Cons. St., sez. III, 6 marzo 2019, n. 1546). Ricorda che l’accesso civico generalizzato è stato introdotto dal legislatore proprio per superare il limite connaturato all’accesso documentale che non può essere preordinato ad un controllo generalizzato sull’attività delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 3, della l. n. 241 del 1990).  E che tale istituto, dichiaratamente diretto a garantire il controllo democratico sull’attività amministrativa, è protetto in sé, se non ci sono contrarie ragioni di interesse pubblico o privato, ragioni espresse dalle cosiddette” eccezioni relative” di cui all’art. 5-bis, commi 1 e 2, del D.lgs. n. 33 del 2013.

Il FOIA,  che si fonda sul riconoscimento del c.d. “diritto di conoscere” (right to know),  rappresenta il fondamento della democrazia amministrativa in uno Stato di diritto e risponde ai principi di pubblicità e trasparenza, riferiti non solo, quale principio democratico (art. 1 Cost.), a tutti gli aspetti rilevanti dalla vita pubblica e istituzionale, ma anche, ai sensi dell’art. 97  Cost., al buon funzionamento della pubblica amministrazione (Corte costituzionale sentenze n. 20 del 201; n. 212 del 2017; n. 69 e n. 177 del 2018;  ex plurimis, Cons. St., Ad. plen., 12 aprile 2016, n. 7; Cons. St., sez. III, 2 settembre 2014, n. 4460. III, 6 marzo 2019, n. 1546).

L’accesso civico generalizzato ai documenti pubblici  è riconducibile, inoltre, alla tutela della libertà d’espressione garantita dall’art. 10 CEDU, inteso non più come una libertà negativa, ma anche come libertà positiva (sentenza della Corte EDU, Grande Camera, 8 novembre 2016, Magyar Helsinki Bizottsàg v. Hungary, in ric. n. 18030/11, secondo cui la disponibilità del patrimonio informativo delle pubbliche amministrazioni sia indispensabile per assicurare un esercizio effettivo del diritto individuale di esprimersi e per alimentare il dibattito pubblico su materie di interesse generale).

Per giungere all’affermazione del principio di diritto sul FOIA applicabile all’attività contrattuale della pubblica amministrazione, l’Adunanza affronta, inoltre, altre due importanti questioni interpretative.

La prima riguardale tre ipotesi di c.d. eccezioni assolute, previste dall’ art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 50 del 2016: (i)  documenti coperti da segreto di Stato; (ii)  altri casi di divieti previsti dalla legge, compresi quelli in cui l’accesso è subordinato al rispetto di specifiche condizioni, modalità e limiti; (iii)  ipotesi contemplate dall’art. 24, comma 1, della l. n. 241 del 1990, di cui l’Adunanza plenaria, ritiene preferibile “una lettura unitaria – a partire dall’endiadi «segreti e altri divieti di divulgazione» – evitando di scomporla e di trarne con ciò stesso dei nuovi, autonomi l’uno dagli altri, limiti, perché una lettura sistematica, costituzionalmente e convenzionalmente orientata, impone un necessario approccio restrittivo (ai limiti) secondo una interpretazione tassativizzante”. Pe r l’adunanza l’art. 5-bis non può invero essere inteso nel senso di esentare dall’accesso generalizzato interi ambiti di materie per il sol fatto che esse prevedano casi di accesso limitato e condizionato, compresi quelli regolati dalla l. n. 241 del 1990, perché, se così fosse, il principio di specialità condurrebbe sempre all’esclusione di quella materia dall’accesso, con la conseguenza, irragionevole, che la disciplina speciale o, addirittura, anche quella generale dell’accesso documentale, in quanto e per quanto richiamata per relationem dalla singola disciplina speciale, assorbirebbe e “fagociterebbe” l’accesso civico generalizzato.

L’altra problematica interpretativa attiene al rapporto fra la disciplina dell’accesso documentale e quella dell’accesso civico generalizzato e, a sua volta, al rapporto tra queste due discipline generali e quelle settoriali.  Per l’Adunanza  plenaria, tale rapporto  “non può essere letto unicamente e astrattamente, secondo un criterio di specialità e, dunque, di esclusione reciproca, ma secondo un canone ermeneutico di completamento/inclusione, in quanto la logica di fondo sottesa alla reazione tra le discipline non è quella della separazione, ma quella dell’integrazione dei diversi regimi, pur nelle loro differenze, in vista della tutela preferenziale dell’interesse conoscitivo che rifugge in sé da una segregazione assoluta”.

Giuseppe Panassidi, avvocato in Verona


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