La direttiva 2000/78 non osta a una normativa nazionale che vieti alle amministrazioni pubbliche di assegnare incarichi di studio e consulenza a persone collocate in quiescenza purché le misure adottate dagli Stati siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari
Corte di giustizia dell’Unione europea, Sez. VIII, sentenza relativa alla causa n. 670/18 del 2 aprile 2020 – Presidente Rossi, relatore Biltgen
A margine
Il caso
Un soggetto impugna l’avviso per l’affidamento di un incarico di studio e di consulenza, pubblicato da un comune, perché lo stesso esclude la possibilità di partecipazione di persone collocate in quiescenza in virtù di quanto stabilito dall’articolo 5, comma 9, del decreto legge n. 95/2012, convertito con modificazioni dalla n. 135/2012.
Come noto, questa norma disciplina l’assegnazione di incarichi di studio e consulenza da parte delle amministrazioni pubbliche, vietandone l’attribuzione a persone collocate in quiescenza dei settori privato e pubblico.
Il divieto riguarda anche l’assegnazione di incarichi dirigenziali o direttivi e le cariche negli organi di governo delle stesse amministrazioni, nonché degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi di determinati enti.
Il conferimento resta possibile soltanto ove l’incarico/la collaborazione abbia carattere gratuito.
Per quanto concerne gli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la loro durata non può essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione.
La sentenza
Il Tar Sardegna, investito del ricorso, solleva domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, per appurare se la norma nazionale sia o meno in contrasto con gli articoli 1 e 2 della direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000, la quale detta disposizioni per la lotta alle discriminazioni fondate su religione, convinzioni personali, handicap, età e tendenze sessuali, nell’occupazione e nelle condizioni di lavoro, sia dipendente che autonomo, sia del settore pubblico che di quello privato.
Secondo la direttiva 2000/78/CE, per quanto riguarda “l’età”, “sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone … di una particolare età (…), rispetto ad altre persone, a meno che (…) tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari (…)”.
Gli Stati membri possono comunque “prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscano discriminazione, laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate, nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari”.
La Corte di giustizia rileva che l’articolo 5 del dl n. 95/2012 istituisce una differenza di trattamento indirettamente basata sull’età.
La norma, infatti, facendo riferimento al “collocamento in quiescenza”, si basa indirettamente su un criterio collegato all’età, dal momento che il beneficio del trattamento di quiescenza è subordinato al compimento di un certo numero di anni di lavoro e alla condizione di aver raggiunto una determinata età.
Ai soggetti in quiescenza viene di fatto imposto un trattamento meno favorevole di quello riservato a tutte le persone che esercitano ancora un’attività professionale.
Tuttavia, questa misura non costituisce una discriminazione ai sensi dell’articolo 6 della direttiva 2000/78, in quanto oggettivamente e ragionevolmente giustificata dalla finalità di garantire un ringiovanimento della popolazione attiva occupata, obiettivo di interesse generale rientrante nella politica sociale o dell’occupazione nazionale e nelle finalità perseguite dalla stessa Unione europea, per stabilire un equilibrio strutturale in ragione dell’età tra giovani funzionari e funzionari più anziani e per favorire l’assunzione e la promozione dei giovani.
Quanto all’appropriatezza e alla necessità dei mezzi apprestati dal legislatore italiano per promuovere tale obiettivo, il giudice sottolinea che:
– da un lato è ragionevole prevedere di negare l’ingaggio di persone collocate in quiescenza, che hanno completato la loro vita professionale e che percepiscono un trattamento di quiescenza;
– dall’altro, però, sarebbe giustificato prendere in considerazione il livello del trattamento di quiescenza di cui possono beneficiare gli interessati, posto che la normativa nazionale consente a detti soggetti di ricoprire incarichi dirigenziali o direttivi a tempo determinato e a titolo gratuito.
Spetterà pertanto al giudice nazionale verificare se il divieto imposto alle persone collocate in quiescenza di partecipare alle manifestazioni di interesse, al fine dell’assegnazione di incarichi di studio e consulenza, sia idoneo a garantire la realizzazione dell’obiettivo invocato, e soddisfi effettivamente l’intento di conseguirlo in modo coerente e sistematico.
Il giudice del rinvio dovrà altresì verificare se la facoltà di assegnare incarichi dirigenziali e direttivi a titolo gratuito non costituisca, in realtà, uno scopo di politica di bilancio, in contraddizione con lo scopo di politica dell’occupazione basato sul ringiovanimento del personale in attività.
La questione pregiudiziale viene pertanto risolta come segue: “la direttiva 2000/78, e in particolare l’articolo 2, paragrafo 2, l’articolo 3, paragrafo 1, e l’articolo 6, paragrafo 1, della stessa, dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che vieta alle amministrazioni pubbliche di assegnare incarichi di studio e consulenza a persone collocate in quiescenza purché, da un lato, detta normativa persegua uno scopo legittimo di politica dell’occupazione e del mercato del lavoro e, dall’altro, i mezzi impiegati per conseguire tale obiettivo siano idonei e necessari. Spetta al giudice del rinvio verificare se ciò avvenga effettivamente nella fattispecie di cui al procedimento principale.”
Stefania Fabris