Il presupposto imprescindibile per la perdita della possibilità di godimento delle ferie al di là di una determinata scadenza temporale è che il lavoratore non ne abbia goduto liberamente e consapevolmente.

Tar Valle d’Aosta, sez. unica, sentenza 17 gennaio 2020, n. 1, Presidente Migliozzi, Estensore Buonauro

A margine

A seguito del conferimento dell’incarico di responsabile dell’ufficio Comando e colloqui, un ispettore penitenziario si vede costretto a garantire la propria presenza presso l’istituto ben oltre l’orario di servizio con straordinario mensile, nonché a postergare il godimento di n. 173 gg ferie totali, dall’anno 2015 nonostante il formale invito dell’Amministrazione a fruirle.

In occasione dell’insediamento del nuovo direttore, quest’ultimo dispone la perdita del diritto alla fruizione del congedo ordinario degli anni 2015 e 2016 e la fruizione d’ufficio, in via eccezionale, del congedo maturato e non goduto di 39 giorni riferito all’anno 2017 a favore dell’ispettore invitando lo stesso a programmare nel più breve tempo possibile la fruizione dei periodi di congedo ordinario degli anni 2018 e 2019.

L’ispettore ricorre pertanto al Tar per vedersi riconosciute tutte le ferie non godute e affermando che, in base all’art. 10 del Dlgs 66/2003, le ferie devono essere assegnate dal datore di lavoro tenendo conto dell’esigenze di impresa. Un eventuale spostamento per ragioni di servizio adeguatamente motivato può essere disposto solo dallo stesso con l’onere di curarsi che queste siano godute dal lavoratore eventualmente anche in periodi successivi.

Nel caso di specie il nuovo direttore non solo non ha motivato le ragioni della mancata concessione delle ferie ma ha imposto all’ispettore la “probatio diabolica” delle esigenze di servizio ostative al godimento delle stesse.

La sentenza

Il Tar ricorda che, come emerge dalla giurisprudenza nazionale ed euro-unitaria (causa C- 696/16 – Grande Sezione della Corte di Giustizia il 6 novembre 2018) il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite deve essere considerato un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione, al quale non si può derogare, trovando il proprio fondamento nell’art. 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Il datore di lavoro ha l’onere di assicurarsi che il lavoratore sia effettivamente in condizione di godere delle ferie annuali retribuite invitandolo, se necessario formalmente, a farlo e nel contempo informandolo – in modo accurato e in tempo utile – del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato.

Tuttavia, il rispetto di tale onere derivante dall’art. 7 della direttiva 2003/88 non può estendersi fino al punto di costringere quest’ultimo a imporre ai suoi lavoratori di esercitare effettivamente la fruizione delle ferie annuali retribuite. Egli deve limitarsi soltanto a consentire ai lavoratori di godere delle stesse dando altresì prova di aver esercitato tutta la diligenza necessaria affinché essi potessero effettivamente di esercitare tale diritto.

L’assetto ora descritto non collide con il principio costituzionale dell’irrinunciabilità delle ferie, in quanto garantisce, comunque, un equilibrato rispetto delle esigenze organizzative dell’amministrazione e di quelle di riposo del lavoratore.

Il presupposto imprescindibile per la perdita della possibilità di godimento delle ferie al di là di una determinata scadenza temporale è che il lavoratore non ne abbia goduto liberamente e consapevolmente.

La giurisprudenza della Corte Costituzionale ha chiarito, nel ritenere non fondata questione di legittimità costituzionale del d.l. n. 95 del 2012, art. 5, comma 8, conv., con mod. dalla l. n. 135 del 2012 (che prevede, tra l’altro: “Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione…, sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi”), che il legislatore correla il divieto di corrispondere trattamenti sostitutivi a fattispecie in cui la cessazione del rapporto di lavoro è riconducibile a una scelta o a un comportamento del lavoratore (dimissioni, risoluzione) o ad eventi (mobilità, pensionamento, raggiungimento dei limiti di età), che comunque consentano di pianificare per tempo la fruizione delle ferie e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore in merito al periodo di godimento delle ferie (sentenza n. 95 del 2016). Il Giudice delle Leggi ha precisato che la disciplina statale in questione come interpretata dalla prassi amministrativa e dalla magistratura contabile, è nel senso di escludere dall’àmbito applicativo del divieto le vicende estintive del rapporto di lavoro che non chiamino in causa la volontà del lavoratore e la capacità organizzativa del datore di lavoro.

Secondo la Corte costituzionale tale interpretazione che si pone nel solco della giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. II, 15 aprile 2019, n. 2246) e della Corte di cassazione, non pregiudica il diritto alle ferie, come garantito dalla Carta fondamentale (art. 36, comma 3), dalle citate fonti internazionali (Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro n. 132 del 1970, concernente i congedi annuali pagati, ratificata e resa esecutiva con l. 10 aprile 1981, n. 157) e da quelle europee (art. 31, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea; direttiva n. 93/104/CE poi confluita nella direttiva n. 2003/88/CE).

Pertanto il ricorso è respinto.

di Simonetta Fabris


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