Il controllo pubblico non può essere desunto dalla semplice astratta possibilità per i soci pubblici di fare valere la loro maggioranza azionaria in assemblea ma va collegato a concreti indici di un effettivo controllo

Tar Marche, Ancona, sez. I, sentenza n. 695 del 11 novembre 2019Presidente Morri, estensore Ruiu

A margine

Una società a partecipazione mista pubblico-privata, con soci privati scelti ad esito di una gara a “doppio oggetto”, per lo svolgimento del servizio integrato di gestione dei rifiuti, domanda l’annullamento della deliberazione di razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche, adottata ai sensi dell’art. 20, del d.lgs. n. 175/2016 e s.m.i., da un comune socio.

Contestualmente richiede l’annullamento della relazione tecnica allegata e di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti, ivi compreso, l’orientamento del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 15 febbraio 2018 sulla nozione di società a controllo pubblico.

In ultimo, la società chiede che venga dichiarata la sua natura di mera società a partecipazione pubblica non di controllo, con conseguente inapplicabilità della disciplina di cui al d.lgs. n. 175/2016.

La sentenza

La società ricorrente è partecipata da 21 Comuni e da una Comunità montana, che assieme ne detengono il 50,41% del capitale sociale, e da due soci privati, individuati, come detto, per mezzo di gara a doppio oggetto, titolari del 49,59% delle quote societarie.

Il socio a partecipazione maggioritaria è uno dei soci privati con una partecipazione del 25,27%, a cui seguono, nell’ordine, l’altro socio privato e il comune detentore del 19,36% del capitale sociale, nei cui confronti il ricorso è rivolto.

La società contesta la sua qualificazione, operata con l’atto impugnato, quale società partecipata “a controllo pubblico”, come tale assoggettata al regime giuridico che il d.lgs n. 175 del 2016 e ai conseguenti obblighi di adeguamento del proprio statuto alle previsioni di cui agli artt. 3, 6, 11 e 22 del TUSP.

Di contro, essa ritiene di dover essere inquadrata tra le società a partecipazione pubblica, in quanto la semplice maggioranza pubblica delle quote societarie non integrerebbe il controllo pubblico congiunto ai sensi dell’art. 2 lett. m) e b) del d.lgs. n. 175/2016.

La sentenza

In via preliminare, considerando la delibera impugnata quale esito di un procedimento amministrativo condotto dal Comune, il Tar afferma la sussistenza della propria giurisdizione.

Questo perché la volontà, espressa nel provvedimento di razionalizzazione, proviene da ente pubblico ed è, come tale, sindacabile davanti al TAR su ricorso di portatori di posizioni differenziate.

Detto in altri termini, nelle decisioni concernenti le partecipazioni degli enti locali, vi è una fase pubblicistica, che precede la fase privatistica interna alla società, che si conclude con l’adozione dei conseguenti atti da parte degli organi societari (Cfr. Cons. Stato, sez. V, sent. 23 gennaio 2019, n. 578, e Tar Marche, Ancona, sent. 20 maggio 2016, n. 616).

Nel caso di specie, il “provvedimento” di razionalizzazione, da un lato, richiede alla società di procedere con i conseguenti adeguamenti statutari, dall’altro le dà modo, quale portatrice di un interesse legittimo, di agire per evitare le conseguenze del riconoscimento del controllo pubblico.

Chiarito ciò, il Tar scrutina le disposizioni dello statuto societario che conducono a ritenere la società quale società in controllo pubblico oppure a mera partecipazione pubblica.

Rispetto alle prerogative dei soci pubblici, lo statuto prevede che essi:

– esprimono la maggioranza dei voti nell’assemblea societaria, possedendo la maggioranza delle quote;

– esprimono la maggioranza del consiglio di amministrazione (5 membri contro 4);

– esprimono il presidente e il vicepresidente;

– possono riunirsi in un comitato consultivo tra soci pubblici.

Tra i soci privati è invece presente il socio maggioritario della società, con il 25,27%; inoltre, essi esprimono l’amministratore delegato e la loro presenza è necessaria per raggiungere il quorum di convocazione per l’assemblea straordinaria e, quindi, per le modificazioni statutarie (80% in prima convocazione e 60% in seconda).

A parere del Tar, è pertanto indubbio che i soci pubblici abbiano la maggioranza nella società sia a livello di voti in assemblea ordinaria, sia a livello esecutivo (maggioranza del consiglio di amministrazione).

Il problema è stabilire se tali caratteristiche siano o meno sufficienti a configurare una società a controllo pubblico ai sensi dell’articolo 2 del d.lgs. n. 175/2016.

In ogni caso, la delibera impugnata motiva la propria decisione esclusivamente ai sensi del combinato disposto dalle lettere b) ed m) dell’art. 2 del d.lgs. n. 175/2016, nel senso che, qualora una o più amministrazioni pubbliche dispongano della maggioranza dei voti nell’assemblea ordinaria, le stesse esercitano poteri di controllo ai sensi dell’art. 2359 CC.

Il provvedimento rafforza questa tesi richiamando la deliberazione n. 3 del 2018 della Sezione regionale di controllo per la Liguria della Corte dei Conti e il parere della Struttura di monitoraggio e controllo delle partecipazioni pubbliche del Mef, del 15 febbraio 2018.

Conclusioni

Ad avviso del Tar, nei confronti della società ricorrente, non si integrano i presupposti per la presenza di un controllo pubblico.

La maggioranza in assemblea e all’interno del consiglio di amministrazione non costituiscono infatti elementi sufficienti per affermare un controllo da parte dei soci pubblici ai sensi dell’articolo 2 del d.lgs. n. 175/2016 e, conseguentemente, dell’art. 2359 cod. civ.

Il riferimento alla tale maggioranza non può essere svincolato da concreti indici di un effettivo controllo soprattutto nel caso di specie, dove il principale socio pubblico ha una partecipazione inferiore ai due maggiori soci privati e dove lo statuto:

a) assegna ai privati la nomina dell’Amministratore delegato con compiti di gestione operativa delle società,

b) prevede la necessità di coinvolgere i soci privati nella convocazione dell’assemblea straordinaria e, quindi, nelle modifiche statutarie.

Inoltre, ai fini del controllo pubblico, non si può prescindere dalla presenza di forme di coordinamento dell’agire dei numerosi soci che detengono la maggioranza, non risultando sufficiente neppure la previsione statutaria di un comitato consultivo tra i soci pubblici.

In conclusione, affermando di non aderire all’orientamento espresso dalle Sezioni riunite della Corte dei Conti in sede di controllo con deliberazione n. 11/2019, il collegio dichiara fondato il ricorso sotto il profilo della violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 175/2016 e per difetto di motivazione sulla presenza dei presupposti per il controllo pubblico.

Quanto alla richiesta di accertamento, volta a riconoscere giudizialmente la natura di società a partecipazione mista pubblico privata ex art. 17 del d.lgs. n. 175/2016, avendo la ricorrente ottenuto l’accoglimento di un ricorso impugnatorio avverso un atto di carattere provvedimentale, il giudice la dichiara inammissibile.

Stefania Fabris


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