In tema di rapporti tra il diritto alla riservatezza (nella sua particolare connotazione del c.d. diritto all’oblio) e il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito – ferma restando la libertà della scelta editoriale in ordine a tale rievocazione, che è espressione della libertà di stampa e di informazione protetta e garantita dall’art. 21 Cost. – ha il compito di valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti.
Tale menzione deve ritenersi lecita solo nell’ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito; in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva.
Corte di cassazione, Sezioni unite civili, sentenza 22 luglio 2019, n. 19681, Presidente Mammone, Estensore Cirillo
A margine
Un privato conviene in giudizio, prima davanti al Tribunale e poi alla Corte di appello, un quotidiano locale e un giornalista chiedendo la loro condanna al risarcimento dei danni da lui subiti a seguito della pubblicazione su tale quotidiano, di un articolo in cui era stato rievocato un episodio di cronaca nera accaduto nel lontano 1982, che lo aveva visto come protagonista, in quanto responsabile dell’omicidio della propria moglie, per il quale era stato condannato ed aveva espiato dodici anni di reclusione.
La pubblicazione dell’articolo, dopo un lunghissimo lasso di tempo dall’episodio, non soltanto aveva determinato in lui un profondo senso di angoscia e prostrazione che si era riflesso sul suo stato di salute piuttosto precario, ma aveva anche causato un notevole danno per la sua immagine e per la sua reputazione, in quanto egli era stato esposto ad una nuova «gogna mediatica» quando ormai, con lo svolgimento della sua apprezzata attività di artigiano, era riuscito a ricostruirsi una nuova vita e a reinserirsi nel contesto della società, rimuovendo il triste episodio. Tale situazione aveva rappresentato una palese violazione del suo diritto all’oblio, arrecandogli gravi danni, di natura patrimoniale e non patrimoniale, anche conseguenti alla cessazione dell’attività, dei quali chiedeva il risarcimento.
Entrambi i giudici rigettano il ricorso richiamando i principi in ordine all’esercizio del diritto di cronaca e di critica e rilevando che il diritto all’oblio del quale l’appellante chiedeva la tutela non poteva, nel caso di specie, essere considerato prevalente rispetto al diritto di cronaca.
La pubblicazione del contestato articolo, infatti, non era avvenuta «per il solo fine di “riempire” strumentalmente una pagina della edizione della domenica», bensì allo scopo di «offrire, all’interno di una rubrica ben definita e strutturata nel tempo, una sponda di riflessione per i lettori su temi delicati».
Nessun desiderio, quindi, di «una rinnovata condanna mediatica e sociale in danno del ricorrente», quanto, piuttosto, un progetto editoriale che «indiscutibilmente rientra nel costituzionale diritto di cronaca, di libertà di stampa e di espressione».
Ha aggiunto la Corte di merito che la cronaca, «se inserita in un preciso disegno editoriale non può mai dirsi superata», in quanto «il tempo non cancella ogni cosa e la memoria, anche se dura e crudele, può svolgere un ruolo nel sociale, in una assoluta attualità che ne giustifica il ricordo».
Il privato si rivolge quindi alla Corte di Cassazione.
La sentenza
La Corte cassa la sentenza. Essa, infatti, ha commesso un primo errore là dove ha richiamato il diritto di cronaca e l’ha posto a confronto con il diritto all’oblio. Nel caso in esame è invece evidente che l’iniziativa editoriale assunta dal quotidiano di avviare una rubrica settimanale nella quale venivano ripercorsi diciannove omicidi «particolarmente efferati» che avevano determinato un intenso dibattito nell’opinione pubblica locale, è un’iniziativa che assume un carattere storiografico. Iniziativa del tutto legittima alla luce dei criteri che la Corte d’appello ha richiamato, e cioè l’avvertita necessità di avviare una riflessione su temi delicati e di attualità, «quali l’emarginazione, la gelosia, la depressione, la prostituzione».
Ma la riconosciuta sussistenza dell’utilità di un pubblico dibattito su questi temi non dà ragione – e qui sta la seconda, decisiva, manchevolezza della pronuncia in esame – del perché tale rievocazione sia stata fatta riportando il nome e il cognome dei protagonisti, in tal modo rendendo il colpevole facilmente individuabile in una comunità locale di non grandissime dimensioni.
La sentenza, cioè, non ha illustrato per quale ragione il risorgere dell’interesse a ricordare fatti di sangue di tanti anni prima richiedesse necessariamente l’indicazione del nome del ricorrente e della sua defunta moglie; tanto più che lo stesso non è certamente una persona pubblicamente nota, il cui comportamento privato rivesta un interesse per il grande pubblico.
La sentenza impugnata non ha neppure considerato, nel bilanciamento delle contrapposte tutele, la bontà del percorso di riabilitazione del ricorrente.
Pertanto la Corte cassa la sentenza rinviando il compito di una nuova valutazione della vicenda alla Corte d’appello, in diversa composizione personale, la quale deciderà attenendosi al seguente principio di diritto:
«In tema di rapporti tra il diritto alla riservatezza (nella sua particolare connotazione del c.d. diritto all’oblio) e il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito – ferma restando la libertà della scelta editoriale in ordine a tale rievocazione, che è espressione della libertà di stampa e di informazione protetta e garantita dall’art. 21 Cost. – ha il compito di valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Tale menzione deve ritenersi lecita solo nell’ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito; in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva (nella specie, un omicidio avvenuto ventisette anni prima, il cui responsabile aveva scontato la relativa pena detentiva, reinserendosi poi positivamente nel contesto sociale)».