La necessità di garantire l’effetto utile della previsione di cui all’art. 105, comma 3, lett. c bis, del Codice dei contratti sull’applicazione dei contratti continuativi di cooperazione, non consente di attribuire ad essa, ai fini della delimitazione del suo perimetro applicativo, un significato tale da abbracciare prestazioni che, in mancanza della stessa, sarebbero state comunque acquisibili dal soggetto affidatario ovvero, addirittura, da imporre oneri dichiarativi e documentali che, prima della sua introduzione, non sarebbero stati configurabili a carico del concorrente alla gara.
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 18 luglio 2019, n. 5068 – Presidente Frattini, Estensore Fedullo
A margine
In seguito alla sentenza del Tar per l’Emilia Romagna 221/2009 di rigetto del ricorso proposto, l’impresa ricorrente si appella al Consiglio di Stato contestando nuovamente l’ammissione alle successive fasi di una gara per l’affidamento del servizio di manutenzione e riparazione degli automezzi costituenti il parco macchine di un’USL, di altra società.
In particolare l’appellante ricorda che il bando di gara richiedeva, quale requisito di capacità tecnica e professionale, il possesso di una sede operativa entro un raggio di 5 km dal centro del Comune principale del lotto di riferimento ovvero l’impegno a costituire una sede con tali caratteristiche da parte dei concorrenti. L’impresa contestata non sarebbe stata in possesso del requisito avendo dichiarato di assolvere l’onere suindicato mediante un contratto di collaborazione instaurato con altra ditta invocando il disposto dell’art. 105, comma 3, lett. c bis del d.lvo n. 50/2016 (lettera inserita dall’art. 69, comma 1, lett. c), d.lvo n. 56/2017), ai sensi del quale “le seguenti categorie di forniture o servizi, per le loro specificità, non si configurano come attività affidate in subappalto: (….) le prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari in forza di contratti continuativi di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritti in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell’appalto. I relativi contratti sono depositati alla stazione appaltante prima o contestualmente alla sottoscrizione del contratto di appalto”.
L’appellante evidenzia quindi l’inidoneità dello strumento proposto rispetto alle richieste del bando, essendo lo stesso funzionale alla esecuzione di prestazioni di carattere secondario o sussidiario e risolvendosi, altrimenti impiegato, nell’aggiramento della disciplina (e dei relativi limiti operativi) del subappalto.
La sentenza
Il collegio ritiene che lo strumento sia sufficiente a dimostrare il requisito di capacità tecnica e professionale richiesto dalla lex specialis osservando che, la necessità di garantire l’effetto utile della previsione di cui all’art. 105, comma 3 lett. c-bis, non consente di attribuire ad essa, ai fini della delimitazione del suo perimetro applicativo, un significato tale da abbracciare prestazioni che, in mancanza della stessa, sarebbero state comunque acquisibili dal soggetto affidatario ovvero, addirittura, da imporre oneri dichiarativi e documentali che, prima della sua introduzione, non sarebbero stati configurabili a carico del concorrente alla gara.
L’utilizzazione dell’istituto non può quindi essere circoscritta alle sole prestazioni “secondarie” e/o “sussidiarie”, ovvero a quelle non direttamente rivolte alla stazione appaltante e non coincidenti contenutisticamente con la prestazione dedotta in contratto.
Del resto, l’istituto de quo, proprio perché si configura come derogatorio rispetto alla generale disciplina del subappalto, è evidentemente ancorato ai medesimi presupposti applicativi, a cominciare dalla determinazione contenutistica della prestazione eseguibile mediante il ricorso all’impresa “convenzionata”.
In tale ottica, il riferimento della disposizione alle “prestazioni rese in favore dei soggetti affidatari” non assume valenza restrittiva (della portata applicativa della previsione), come avverrebbe se si ritenesse che esso implica la necessità che l’utilità della prestazione ridondi ad esclusivo vantaggio, in senso materiale, dell’impresa affidataria (piuttosto che dell’Amministrazione), ma allude alla direzione “giuridica” della prestazione, ovvero al fatto che l’unica relazione giuridicamente rilevante, anche agli effetti della connessa responsabilità, è quella esistente tra stazione appaltante e soggetto affidatario.
Pertanto il requisito in esame, connesso alla disponibilità di una “sede operativa” avente le indicate caratteristiche geografiche e destinata alla esecuzione del servizio oggetto di affidamento, si presta astrattamente ad essere garantito mediante un “contratto continuativo di cooperazione, servizio e/o fornitura sottoscritto in epoca anteriore alla indizione della procedura finalizzata alla aggiudicazione dell’appalto”, ai sensi della disposizione citata.
Tuttavia, il Tar rileva che l’impresa non ha adempiuto all’onere dichiarativo relativo all’ “impegno di costituire” la sede operativa mediante contratto di cooperazione, come richiesto dal bando, essendosi limitata a riportare una criptica sottoscrizione apposta dall’impresa “cooperante” in calce alla informativa ex art. 26 d.lvo n. 81/2008.
Da questo punto di vista, quindi, l’appello è meritevole di accoglimento.
Tuttavia l’annullamento del provvedimento di ammissione è propedeutico alla attivazione, da parte della stazione appaltante, del soccorso istruttorio, nei sensi di cui all’art. 83, comma 9, d.lvo n. 50/2016, essendo l’omissione dichiarativa suindicata riconducibile alla compilazione del Documento di gara Unico Europeo (DGUE), in relazione al quale la norma citata ammette la possibilità di sanatoria “in caso di mancanza, incompletezza e di ogni altra irregolarità essenziale degli elementi e del documento di gara unico europeo…”.