L’art.39 TULPS accorda al Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti alle persone ritenute capaci di abusarne.
Nei casi d’urgenza, gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza provvedono all’immediato ritiro cautelare delle armi, dandone immediata comunicazione al Prefetto.
Quando sussistono le richiamate condizioni, con il provvedimento di divieto il Prefetto assegna all’interessato un termine di 150 giorni per l’eventuale cessione a terzi dei materiali di cui al medesimo comma. Nello stesso termine l’interessato comunica al Prefetto l’avvenuta cessione.
Il provvedimento di divieto dispone, in caso di mancata cessione, la confisca dei materiali.
TAR Emilia Romagna, sez.I, sent. 14 gennaio 2019 n.30
A margine
A fronte dell’esercizio di un siffatto potere discrezionale va tuttavia considerato “illegittimo il provvedimento prefettizio recante divieto di detenzione armi e sospensione della licenza di porto di fucile per uso caccia, motivato con esclusivo riferimento ad un processo penale a carico del titolare e priva di qualsiasi valutazione specifica circa le ragioni per le quali si è ritenuto che il ricorrente non fosse più idoneo a detenere armi e munizioni”, vieppiù in presenza di reati (si pensi, ad esempio, alla turbativa d’asta) che non rientrano fra quelli che, per comune esperienza, sono indice di una personalità incline all’abuso delle armi o alla violenza fisica” (TAR Umbria, sez.I, 9 ottobre 2008 n.593; TAR Lombardia – Milano, sez.III, 21 marzo 2006 n.669; TAR Sardegna – Cagliari sez.I, 26 giugno 2015 (ud. 27 maggio 2015 dep. 26/6/2015 n.888).
Per questa ragione, l’Autorità di P.S. deve attentamente valutare l’affidabilità e la condotta del soggetto ai fini dell’applicabilità dell’art.39 TULPS e non ritenere apoditticamente certa la capacità di “abuso” dell’arma per il solo fatto di aver subìto un procedimento penale, rilevando in particolare che le motivazioni dell’amministrazione vanno comunque sorrette da valutazioni “che non siano irrazionali o manifestamente incoerenti. La revoca facoltativa delle autorizzazioni di polizia deve essere assistita da adeguate motivazioni all’uso dei poteri discrezionali affidati alla P.A.” (cfr. parere del Consiglio di Stato n.762101 del 12 giugno 2002).
Ciò premesso, fermi restando i casi nei quali l’Autorità di P.S. fonda il provvedimento di divieto in presenza dei motivi ostativi tassativamente previsti dagli artt.11 e 43 TULPS, ovvero su circostanze di fatto che evidenziano di per sé il pericolo, anche eventuale, di un abuso delle armi, in tutti gli altri casi non è sufficiente per motivare il diniego il solo fatto che l’interessato ha tenuto un comportamento penalmente rilevante e che, conseguentemente, sia stato instaurato un procedimento penale a suo carico, ma occorre evidenziare la sussistenza di una correlazione tra comportamento tenuto e la presunta capacità di abusare delle armi detenute”.
Per la motivazione del diniego non basterà il mero richiamo a denunce o querele o analoghi atti nei confronti del destinatario del provvedimento stesso, ma occorreranno ulteriori elementi corroboranti, atti ad evidenziare l’effettiva capacità di abuso richiamata nella norma (art.39 T.U.L.P.S.) su cui possa, conseguentemente, basarsi il reale convincimento dell’autorità di P.S. nell’ambito della propria valutazione discrezionale, nonché congruamente motivarsi il relativo provvedimento di divieto.
Questi aspetti sono stati ribaditi dal TAR Emilia Romagna, sez.I, che con sentenza 19 dicembre 2018 – 14 gennaio 2019, n.30 ha risolto in senso favorevole al ricorrente la controversia instaurata dal titolare di licenza di porto di fucile ad uso caccia al quale era stata vietata la detenzione di armi, munizioni ed esplosivi per aver sparato in aria allo scopo di allontanare malviventi dalla propria abitazione.
Nel caso di specie, l’amministrazione prefettizia aveva adottato il divieto di detenzione di armi e munizioni nei confronti del ricorrente, sul presupposto del venire meno, in capo al medesimo, del necessario requisito di affidabilità nell’uso delle armi, in occasione ed a causa di un fatto svoltosi in data 3 gennaio 2018 alle ore 20,00 presso la sua abitazione sita in zona agricola distante dagli altri nuclei abitati.
Il soggetto, in casa da solo con la moglie, avendo udito dei rumori provenienti dal piano terra dell’abitazione ed accortosi del tentativo ad opera di estranei di forzare una finestra della sua abitazione, aveva preso dall’armadio uno dei fucili da caccia ivi regolarmente custoditi e, dopo avere caricato l’arma con pallini da caccia, si era recato sul balcone della casa opposto rispetto a quello dove si stava svolgendo il tentativo di effrazione ed aveva esploso alcuni colpi di fucile in aria al fine di intimorire i ladri e indurli a desistere dal tentativo di effrazione. Tale comportamento aveva sortito gli effetti sperati, in quanto i malintenzionati avevano desistito dal tentativo di furto e si erano allontanati dall’abitazione del ricorrente.
Qui il collegio giudicante ha in primo luogo ravvisato carenze motivazionali in relazione alla ritenuta perdita di affidabilità del ricorrente nella detenzione delle armi.
Il decreto prefettizio, sul punto, si limita a richiamare la nota dei Carabinieri, dalla quale si evincerebbe che il ricorrente “…si è reso responsabile di spari di arma da fuoco in ragione di un tentativo di furto dimostrando una scarsa affidabilità in materia di detenzione di armi…”.
A sua volta, il Comando Carabinieri con successivo parere aveva sostenuto l’inaffidabilità del ricorrente unicamente su una dichiarazione resa dal medesimo dopo alcuni giorni dal fatto, nella quale il ricorrente “…precisava che i colpi venivano esplosi in totale sicurezza all’interno della proprietà privata e solamente dopo che i malviventi si erano dileguati.”
Il Collegio ha ritenuto che tale nuovo elemento temporale rilevato dai Carabinieri (esplosione dei colpi di fucile non avvenuta mentre il tentativo di furto era ancora in atto ma quando i malviventi si erano già dileguati) non sia di per sé elemento sufficiente a motivare la valutazione che il ricorrente, nell’occasione, abbia dimostrato di non essere affidabile nell’uso delle armi dal medesimo da anni regolarmente detenute e custodite.
Il Collegio ha ritenuto dirimente, al riguardo, che l’Autorità di Pubblica Sicurezza abbia accertato il fatto che:
a) estranei abbiano cercato di introdursi nell’abitazione del figlio del ricorrente sita al piano terra del fabbricato, tentando di scassinare una finestra;
b) che tale fatto sia svolto in località lontana dagli altri nuclei abitati ed in orario notturno e che non risulti in alcun atto del procedimento contestato al ricorrente che egli, nell’esplodere i colpi di fucile;
c) si sia recato in un balcone posto sul retro e dalla parte opposta dell’edificio rispetto a dove si stava svolgendo il tentativo di introdursi nell’abitazione;
d) abbia sparato in aria;
e) abbia utilizzato cartucce con pallini per volatili aventi bassa gittata.
La Prefettura, inoltre, non ha indicato l’iter logico seguito per pervenire alla conclusione che gli spari, esplosi in aria dal ricorrente in un momento immediatamente successivo a quello in cui i malviventi si sono dileguati, costituiscano condotta denotante il venire meno o comunque la riduzione del requisito dell’affidabilità, né è parsa decisiva la dichiarazione resa dallo stesso ricorrente nei giorni successivi al fatto al fine di determinare l’inaffidabilità o meno della sua condotta (essendosi accertato che l’esplosione dei colpi è avvenuta in situazione di oggettiva sicurezza e all’effettivo e unico scopo di evitare l’introduzione di estranei nell’abitazione del figlio), ovvero di individuare esattamente il momento in cui detti estranei si sono dileguati, avuto riguardo al fatto – incontestato – che l’esplosione dei colpi è avvenuta nella parte opposta dell’edificio, con conseguente difficoltà se non impossibilità per lo stesso ricorrente di sapere se, in quel preciso momento, i malviventi erano ancora all’opera o si erano, nel frattempo, già allontanati.
TAR Emilia Romagna, sez.I, sent. 14 gennaio 2019 n.30