La preferenza negli appalti pubblici per suddivisione in lotti è un principio di carattere generale, funzionale alla tutela della concorrenza e, in particolare, diretto a favorire la partecipazione alle gare delle piccole e medie imprese.

Le stazioni appaltanti possono derogare a tale principio solo per giustificati motivi, da indicare in modo puntuale nel bando o nella lettera di invito.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 21 marzo 2019, n. 1857, Pres. Lipari, Est. Altavista.

A margine

Il fatto. La controversia riguarda la legittimità degli atti di gara per l’appalto delle pulizie e la sanificazione ambientale dei presidi, strutture ed uffici aziendali di un’Azienda sanitaria, per l’importo complessivo di oltre 42 mln, da aggiudicarsi con il criterio della offerta economicamente più vantaggiosa, annullati dal Giudice di prime cure per eccesso di requisiti di partecipazione in quanto l’ASL aveva suddiviso la gara solo in due macro-lotti di rilevante valore in violazione degli articoli 51 e 83 del codice dei contratti pubblici (TAR Napoli, V, sentenza n. 5357/2018).

La sentenza. Dello stesso avviso del TAR campano la Sezione Terza del Consiglio di Stato che respinge l’appello dell’ASL in quanto la previsione di solo due lotti di importo spropositato e riferiti ad ambiti territorialmente incongrui viola il precetto della ripartizione in lotti  funzionali di cui all’art. 51 del codice dei contratti pubblici.

Più nel dettaglio, i Giudici di Palazzo Spada confermano l’orientamento giurisprudenziale che valuta la preferenza negli appalti pubblici  per la suddivisione in lotti un principio di carattere generale diretto a favorire la partecipazione  effettiva delle imprese di minori dimensioni, che non può essere subordinata a  condizioni ulteriori, come la partecipazione di un operatore economico ad un raggruppamento temporanee (fra le molte, Cons. Stato, III, sentenza 22 -01- 2018, n. 1138; idem, III, sentenza 26-09-2018, n. 5534).

Le stazioni appaltanti possono derogare a tale principio ma solo con una decisione adeguatamente motivata  (Cons. Stato, V,  sentenza 3-04- 2018, n. 2044), ovvero esercitando la loro discrezionalità nei  limiti  della ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza dell’istruttoria, sindacabili in sede giurisdizionale.

I motivi della deroga devono essere espressi in modo puntuale nel bando o nella lettera di invito, proprio perché il precetto della ripartizione in lotti è funzionale alla tutela della concorrenza. E non possono essere integrati in sede giurisdizionale, in quanto l’ integrazione della motivazione in giudizio è inidonea, per costante giurisprudenza,  a sanare il vizio del provvedimento salvo le ipotesi dell’art. 21 octies della L. 241 del 1990 (Cons. Stato IV, sentenza  29-03-2018, n. 1988; VI, sentenza 13 -12-2017, n. 5892).

Conclusioni.  La sentenza annotata richiama, ancora una volta, le amministrazioni al rispetto dell’obbligo  di motivazione delle loro decisioni,sufficiente, coerente e congruo, come previsto dall’art. 3 della L. n. 241 del 1990, specie nei casi in cui utilizzino il loro potere discrezionale per derogare ad un principio generale, come nella fattispecie oggetto della pronuncia.

La sentenza, in particolare, ricorda tre “regole” che le amministrazioni devono sempre rispettare nell’adozione delle loro decisioni. Primo. La motivazione del provvedimento è obbligatoria, in quanto costituisce il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo e, per questo, un presidio di legalità sostanziale (Corte Cost. ordinanza 17 marzo 2017 n. 58). Secondo. La motivazione deve essere espressa negli atti e non si può desumere da  circostanze implicite o con  riferimenti generici. Terzo.  E’ possibile l’integrazione postuma della motivazione solo nelle ipotesi di cui all’ art. 21 octies della L. n. 241 del 1990, il cui perimetro, però, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, deve essere ristretto ai casi in le ragioni del provvedimento siano chiaramente intuibili; si tratti di attività vincolata; ricorra l’effettiva dimostrazione in giudizio dell’impossibilità di un diverso contenuto dispositivo dell’atto;  si ricorra ad una successiva indicazione di una fonte normativa non prima menzionata nel provvedimento, quando questa, per la sua notorietà, ben avrebbe potuto e dovuto essere conosciuta da un operatore professionale (Cons. Stato  IV, 4-09-2014, n. 1018).


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