Cosa ne pensa la Corte costituzionale
L’inosservanza delle prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi” non può integrare il delitto di violazione degli obblighi inerenti alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno.
Lo ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza n.25 depositata il 27 febbraio 2019, dichiarando – perciò – la parziale illegittimità costituzionale dell’art.75 co.2, del d.lgs. n.59 del 2011.
Corte costituzionale, sentenza 27 febbraio 2019, n.25 – Pres. Lattanzi – Red. Amoroso
Per un corretto inquadramento della questione, la sorveglianza speciale si caratterizza per l’imposizione di limitazioni alla sfera della libertà personale del soggetto, nonché per l’individuazione di talune prescrizioni preordinate a garantire un mutamento virtuoso della sua condotta.
L’art.8 co.3 del d.lgs. n.159 del 2011 prevede, in particolare, che nel caso dell’applicazione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, qualora si tratti di persona indiziata di vivere con il provento di reati, il tribunale prescrive di:
- darsi, entro un congruo termine, alla ricerca di un lavoro,
- di fissare la propria dimora,
- di farla conoscere nel termine stesso all’autorità di pubblica sicurezza e
- di non allontanarsene senza preventivo avviso all’autorità medesima.
Il successivo comma 5 dell’art.8 fissa alcune prescrizioni standard, quali:
- vivere onestamente e rispettare le leggi;
- divieto di allontanarsi dalla dimora senza preventivo avviso dell’autorità locale di pubblica sicurezza
- divieto di associarsi abitualmente con pregiudicati o sottoposti a misure di sicurezza o di prevenzione;
- divieto di allontanarsi dall’abitazione prima o dopo determinati orari prestabiliti; in particolare, di non accedere agli esercizi pubblici e ai locali di pubblico trattenimento, anche in determinate fasce orarie, di non rincasare la sera più tardi e di non uscire la mattina più presto di una data ora e senza comprovata necessità e, comunque, senza averne data tempestiva notizia all’autorità locale di pubblica sicurezza;
- divieto di detenere e portare armi;
- divieto di partecipare a pubbliche riunioni.
- divieto di avvicinarsi a determinati luoghi, frequentati abitualmente da minori
Il giudice della prevenzione può, comunque, imporre tutte quelle prescrizioni che ravvisi necessarie, avuto riguardo alle esigenze di difesa sociale; ed, in particolare, può aggiungere il divieto di soggiorno in uno o più Comuni, diversi da quelli di residenza e di dimora abituale, o in una o più regioni. Si tratta, pertanto, di una clausola che permette di indicare prescrizioni calibrate sulla peculiarità del caso di specie e ritenute maggiormente funzionali ad implementare istanze di difesa sociale.
Alcune prescrizioni, quali il “non dare ragione di sospetti” e il “non trattenersi abitualmente nelle osterie, bettole o in case di prostituzione”, sono state espunte in quanto ritenute, per un verso, incompatibili con i livelli di garanzie minime che connotano il volto attuale delle relazioni tra autorità e libertà, e, per l’altro, in quanto rappresentative di abitudini di vita anacronistiche.
L’orientamento della Corte di Cassazione – La Suprema Corte, con sentenza n.31322 del 9 aprile 2018, seguendo gli indirizzi adottati con la c.d. sentenza Paternò del 2017, si era già espressa sulla questione stabilendo che la violazione tanto delle generiche prescrizioni di ‘vivere onestamente’ e ‘rispettare le leggi’, quanto del divieto di partecipare a pubbliche riunioni, non integrano il reato previsto dall’art.75 co.2 del codice antimafia, ravvisandosi gli estremi di una “non manifestamente infondata” questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt.25 e 117 Cost. e all’art.7 della Convenzione europea per la salvaguardia dell’uomo e delle libertà fondamentali, alla luce della sentenza della Corte EDU, Grande Camera, De Tommaso c/ Italia del 23 febbraio 2017, nella parte in cui la norma sanziona penalmente la violazione dell’obbligo di vivere onestamente e rispettare le leggi”.
CEDU, sentenza 23 febbraio 2017
Nel caso Paternò, la Suprema Corte ha stabilito a sezioni Unite (sentenza n.40076 del 27 aprile 2017) che le prescrizioni di “vivere onestamente e rispettare le leggi” hanno un contenuto “amplissimo ed indefinito” e sono inidonee ad “orientare il comportamento sociale richiesto”, anche se lette congiuntamente alle altre prescrizioni imposte al sorvegliato: alla violazione di tali prescrizioni, secondo la Corte, può essere associato un aggravamento della misura, ma non il riconoscimento della responsabilità per il reato previsto dall’art.75 del D.lgs n.159 del 2011.
“L’inosservanza delle prescrizioni generiche di ‘vivere onestamente’ e di ‘rispettare le leggi’, da parte del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno, non configura il reato previsto dall’art.75 co.2 d.lgs. n.159 del 2011, il cui contenuto precettivo è integrato esclusivamente dalle prescrizioni c.d. specifiche; la predetta inosservanza può, tuttavia, rilevare ai fini dell’eventuale aggravamento della misura di prevenzione”.
Cass. pen, sentenza n.40076 del 2017
In linea con la sentenza De Tommaso della Corte EDU del 2017, la Corte di Cassazione si è soffermata, con la richiamata sentenza n.31322 del 9 aprile 2018, sul delitto di violazione degli obblighi di cui al combinato disposto degli artt.75 co.2 e 8 e co.4 del codice antimafia (vale a dire la sotto-fattispecie delittuosa del divieto di partecipare a pubbliche riunioni), stabilendo che la violazione tanto delle generiche prescrizioni di ‘vivere onestamente’ e rispettare le leggi’, quanto del divieto di partecipare a pubbliche riunioni, non integrano il reato previsto dall’art.75 co.2 del codice antimafia.
Il primo aspetto era già stato affrontato con la c.d. sentenza Paternò e con la reinterpretazione, in chiave costituzionalmente e convenzionalmente conforme, del delitto di cui all’art.75 co.1 d.lgs n.159 del 2011 e con la definizione del nuovo percorso operativo attraverso l’estromissione e/o abrogazione, in via ermeneutica, delle ipotesi di inosservanza da parte del sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno. In osservanza di detta pronuncia, il sottoposto il quale violi una legge penale o commetta un illecito amministrativo durante l’applicazione della misura dovrà essere sanzionato solo per il reato o l’illecito amministrativo commesso, non anche ai sensi dell’art.75 d.lgs. n.159 del 2011 e ferma restando, comunque, la possibilità di valorizzare tali violazioni ai fini dell’eventuale aggravamento della misura di prevenzione ai sensi dell’art.11 d.lgs. n.159 del 2011, ben potendo le condotte in parola costituire indizio di una maggiore pericolosità del soggetto.
Analoga conclusione restrittiva viene raggiunta per analogia con la sentenza della Suprema Corte del 9 aprile 2018 n.31322 in merito all’ulteriore ipotesi del divieto di partecipare a pubbliche riunioni, del pari non integrante, in caso di violazione, il reato di cui all’art.75 co.2 d.lgs. n.159 del 2011. Premesso che la Corte di Strasburgo non ha mancato di manifestare perplessità in riferimento alla prescrizione di non “partecipare a pubbliche riunioni”, prevista dall’art.8 co.4 del d.lgs. n.159 del 2011, affermando che “la legge non specifica alcun limite temporale o spaziale di questa libertà fondamentale, la cui restrizione è lasciata interamente alla discrezione del giudice”, va sottolineato come il giudice di legittimità, con la richiamata sentenza del 9 aprile 2018 n.31322, non riconosca al concetto di “pubblica riunione” il carattere di una definizione univoca né in ambito legislativo, né in quello giurisprudenziale; pertanto, l’indeterminatezza dell’oggetto del divieto in parola è tale da impedire la stessa conoscibilità del precetto “in primo luogo da parte del destinatario” e poi “da parte del giudice”, chiamato a dare un contenuto preciso alla prescrizione.
Cass. pen., sentenza n.31322 del 2018
La giurisprudenza di merito – Su questa scia, il Tribunale di Bergamo con sentenza n.69/19 emessa l’11 gennaio 2019, aderendo all’orientamento espresso dalla Suprema Corte, ha assolto un tifoso che, sottoposto alla misura della sorveglianza speciale di p.s., aveva preso parte all’incontro di presentazione della squadra di calcio cittadina, soltosi presso il locale impianto sportivo. Al riguardo, è stato evidenziato che la partecipazione alla riunione dei tifosi allo stadio rientra nella prescrizione imposta all’imputato col provvedimento che applica la sorveglianza speciale di p.s., ma tale dato “non conferisce alla norma violata i necessari caratteri di determinatezza e prevedibilità dei quali essa è e resta priva”. Il giudice di merito ha pertanto concluso rilevando che “l’inosservanza del divieto di partecipare a pubbliche riunioni da parte del soggetto sottoposto alla misura della sorveglianza speciale non integra il reato previsto dall’art.75 d.lgs. n.159 del 2011, con conseguente assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussiste”.
Tribunale Bergamo, sentenza n.69 del 2019
La decisione della Consulta – Come anticipato, la Corte costituzionale, con sentenza n.25 del 27 febbraio 2019, ha dichiarato:
- l’illegittimità costituzionale dell’art.75, comma 2, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n.159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n.136), nella parte in cui prevede come delitto la violazione degli obblighi e delle prescrizioni inerenti la misura della sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno ove consistente nell’inosservanza delle prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”;
- e in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n.87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 75, comma 1, cod. antimafia, nella parte in cui prevede come reato contravvenzionale la violazione degli obblighi inerenti la misura della sorveglianza speciale senza obbligo o divieto di soggiorno ove consistente nell’inosservanza delle prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”.
La violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, fino all’intervento della richiamata pronuncia della Corte costituzionale, era presidiata dall’art.75 del d.lgs n.159 del 2011, norma che contemplava due fattispecie, una contravvenzionale, l’altra delittuosa. L’illecito contravvenzionale concerneva la violazione degli obblighi tout court ed era punito con l’arresto da tre mesi ad un anno. L’ipotesi delittuosa, che era punita con la pena della reclusione da uno a cinque anni, era prevista invece per violazioni “qualificate”, ovvero per la trasgressione di prescrizioni inerenti il provvedimento di sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno. Per tale fattispecie la norma in esame contemplava la possibilità, per gli agenti e ufficiali di polizia giudiziaria, di procedere ad arresto fuori dei casi di flagranza. Si trattava di una misura precautelare che, nel caso di specie, si atteggiava ad un fermo di polizia giudiziaria, ed infatti era detta anche “fermo di prevenzione”, per procedere al quale occorreva che sussistessero tutte le altre condizioni – ad eccezione dei limiti edittali di pena – fissate dall’art.384 del codice di procedura penale. Siffatta ricostruzione trovava conforto nel disposto dell’art.230 delle norme di attuazione al codice di rito, secondo cui «le disposizioni dell’art.384 si osservano anche quando leggi o decreti prevedono il fermo o l’arresto fuori dei casi di flagranza per i delitti punibili con la reclusione superiore nel massimo a tre anni». Pertanto, legittimato ad adottare il provvedimento in via primaria era il procuratore della Repubblica presso il Tribunale del luogo in cui è stato commesso il reato e, solo se questi non avesse ancora assunto la direzione delle indagini ovvero se per la situazione di urgenza non fosse possibile attendere il suo provvedimento, gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria. La misura de qua presupponeva che sussistessero specifici elementi a fondamento del pericolo di fuga.
“La decisione rappresenta l’ultimo tassello del processo di adeguamento ai principi espressi dalla Corte di Strasburgo nella sentenza de Tommaso, che aveva già riscontrato la vaghezza e la genericità delle prescrizioni di vivere onestamente e rispettare le leggi ed aveva perciò affermato la violazione della Convenzione europea.
L’esigenza di contrastare il rischio che siano commessi reati – ragion d’essere delle misure di prevenzione – resta comunque soddisfatta dalla facoltà per il giudice di indicare e modulare prescrizioni specifiche nell’ambito della sorveglianza speciale. La Corte ha esteso la dichiarazione di illegittimità anche al meno grave reato contravvenzionale che si configura quando la violazione delle prescrizioni di “vivere onestamente e di “rispettare le leggi” è commessa dal sorvegliato speciale, senza obbligo o divieto di soggiorno.
In tal modo viene sostanzialmente ribaltato l’indirizzo affermatosi sulla scia della sentenza C. Cost. n.282 del 2010, secondo cui “l’inclusione nella formula descrittiva dell’illecito di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero di clausole generali o concetti elastici”, non comportava un vulnus del parametro costituzionale, a condizione di poter ricavare dalla descrizione “un giudizio di corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie astratta, sorretto da un fondamento ermeneutico controllabile” e, correlativamente, di permettere “al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo». Tali argomenti avevano consentito finora il mantenimento della fattispecie della violazione degli obblighi e delle prescrizioni inerenti la misura della sorveglianza speciale – con obbligo o divieto di soggiorno – consistente nell’inosservanza delle prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”
C.Cost. sentenza n.282 del 2010
Il diverso avviso della Consulta discende, ora, oltre che dalla richiamata pronuncia della Corte EDU (sentenza De Tommaso del 23 febbraio 2017), anche da altre considerazioni:
- in primis, “l’esigenza di contrastare il rischio che siano commessi reati, che è al fondo della ratio delle misure di prevenzione e che si raccorda alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza, come valore costituzionale, è comunque soddisfatta dalle prescrizioni specifiche che l’art.8 consente al giudice di indicare e modulare come contenuto della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con o senza obbligo (o divieto) di soggiorno”;
- “vi è poi da considerare, all’opposto, che la previsione come reato della violazione, da parte del sorvegliato speciale, dell’obbligo di vivere onestamente e di rispettare le leggi ha, da una parte, l’effetto abnorme di sanzionare come reato qualsivoglia violazione amministrativa e, dall’altra parte, comporta, ove la violazione dell’obbligo costituisca di per sé reato, di aggravare indistintamente la pena, laddove l’art.71 cod. antimafia già prevede come aggravante, per una serie di delitti, la circostanza che il fatto sia stato commesso da persona sottoposta, con provvedimento definitivo, a una misura di prevenzione personale durante il periodo previsto di applicazione della misura”.
Si previene, così, alla conclusione che la norma censurata viola il canone di prevedibilità della condotta sanzionata con la limitazione della libertà personale
C.Cost. sentenza n.25 del 2019
L’art.75 si chiude con una formulazione non attinta dalla declaratoria di incostituzionalità, ove si stabilisce stabilendo che il sorvegliato speciale che, per un reato commesso dopo il decreto di sorveglianza speciale, abbia riportato condanna a pena detentiva non inferiore a sei mesi, può essere sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata per un tempo non inferiore a due anni.