La falsa attestazione della presenza in ufficio integra il reato di truffa aggravata se l’assenza non risulta da apposita timbratura del cartellino, anche nel caso in cui,  essendo nel suo complesso di pochi minuti, il danno arrecato alla pubblica amministrazione è particolarmente lieve.

La speciale tenuità del danno, infatti, potrebbe legittimare, ricorrendone le condizioni, solo il riconoscimento delle attenuanti generiche, ma non è sufficiente ad escludere la configurabilità del reato.

Corte di Cassazione, seconda sezione penale, sentenza 23 novembre 2018, n. 3262, Pres. M. Cammino – Rel. S. Beltrani  (La sentenza)


A margine

Il fatto –  Il Gip aveva disposto la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio dei pubblici uffici per la durata di due mesi di un pubblico dipendente indagato per truffa aggravata, perché, quasi quotidianamente, aggirando il sistema di rilevazione dell’orario di presenza, si assentava alcuni minuti dal posto di lavoro. Il Tribunale del riesame, però, aveva revocato la misura interdittiva ritenendo  di dovere escludere  la configurabilità del reato di truffa aggravata in quanto nella fattispecie il raggiro, seppure quotidiano, avrebbe prodotto assenze di pochi minuti nell’arco delle singole giornate lavorative e  il calcolo delle ore evase nel suo complesso comportava un esiguo danno economico all’amministrazione (50 euro).

La sentenza – Di diverso avviso la Corte Suprema di Cassazione, che, con la sentenza in esame,  ha annullato, su ricorso del PM, l’ordinanza del Tribunale e rinviato per un riesame sulla base del seguente principio di diritto:

la falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o sui fogli di presenza, integra il reato di truffa aggravata, ove il soggetto si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino …, i periodi di assenza che rilevano di per sé – anche a prescindere del danno economico cagionato all’ente truffato fornendo nel complesso una prestazione inferiore a quella dovuta, in quanto incidono sull’organizzazione dell’ente stesso, modificando arbitrariamente gli orari prestabiliti di presenza in ufficio, e ledono gravemente il rapporto fiduciario che deve legare il singolo impiegato all’ente; di tali ultimi elementi è necessario tenere conto anche ai fini della valutazione della configurabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 4, cpc”.

La Corte puntualizza anche che, per l’applicazione delle circostanze attenuanti, non è sufficiente valutare solo l’entità del danno, ma occorre tenere conto anche dell’incidenza della condotta delittuosa del dipendente sull’organizzazione dell’ente. L’amministrazione , infatti, potrebbe aver subito un pregiudizio rilevante per effetto delle pur minime assenze sul piano dell’efficienza degli uffici. La proficuità del regolare svolgimento quotidiano dell’attività lavorativa può ben essere compromessa da autonome iniziative di quei dipendenti che modificano loro sponte gli orari di presenza in ufficio, fornendo così una prestazione lavorativa comunque diversa da quella doverosa (Corte Cass., sez 6, a giugno 2013, n. 30177).


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