Non può certamente affermarsi che il c.d. accesso civico non possa applicarsi ai procedimenti di appalto delle pubbliche amministrazioni di cui al vigente D.Lgs. 50/2016.
La mancata partecipazione ad una procedura non implica di per sé l’esclusione da ogni pretesa di accesso ai documenti.
Il diniego all’accesso civico generalizzato agli atti di una gara non appare legittimo se fondato sul mero richiamo al comma 2 dell’art. 5 bis del d.lgs. 33/2013, considerato che l’amministrazione non ha preventivamente interpellato le due imprese interessate alla domanda di accesso civico, né ha valutato l’istanza proposta in via subordinata dalla parte istante, tesa ad ottenere anche soltanto un accesso parziale, limitato alle sole parti delle offerte non concretamente coperte da segreto.
Tar Lombardia, Milano, sez. IV, sentenza 11 gennaio 2019, n. 45, Presidente Gabbricci, Estensore Zucchini
A margine
Il fatto
Dopo aver avviato una procedura ristretta andata deserta, una provincia avvia una procedura negoziata per l’affidamento in concessione mista di beni e servizi, di interventi finalizzati all’efficienza energetica su alcuni edifici di proprietà comunale.
Una società che, pur essendo stata invitata a partecipare ad entrambe le procedure, non aveva presentato alcuna offerta, presenta, in esito alla gara, una richiesta di accesso agli atti ex legge 241/1990, da valere anche quale domanda di accesso civico ex art. 5, comma 2, d.lgs. 33/2013, con la quale chiede l’ostensione delle offerte tecniche ed economiche e del piano finanziario sia dell’impresa aggiudicataria che dell’altra società che ha preso parte alla procedura negoziata.
La Provincia rigetta l’istanza di accesso pertanto la ditta ricorre al Tar.
La sentenza
Il collegio ricorda che, in base all’art. 5 commi 2 e 3 del D.Lgs. 33/2013, come modificato nel 2016, relativo al c.d. accesso civico generalizzato, è consentito a “chiunque” – senza la prova di una particolare legittimazione e senza onere di motivare la relativa istanza – l’accesso a dati e documenti della pubblica amministrazione, anche ulteriori rispetto a quelli per i quali sussiste un obbligo giuridico di pubblicazione.
L’art. 5 bis comma 2 lettera c) del D.Lgs. 33/2013 esclude l’accesso civico generalizzato per evitare un “pregiudizio concreto” agli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica ed a tale norma si è richiamata l’amministrazione nel caso di specie.
Il Tar ritiene però tale richiamo apodittico e comunque non sufficiente a fondare il rigetto dell’istanza in quanto “non può certamente affermarsi che il c.d. accesso civico non possa applicarsi ai procedimenti di appalto delle pubbliche amministrazioni di cui al vigente D.Lgs. 50/2016”.
In particolare, non ne suffraga la tesi il riferimento al comma 3 dell’art. 5 bis citato, secondo cui l’accesso civico è escluso «nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990».
Invero, per quanto d’interesse, tali “condizioni, modalità o limiti”, devono in generale essere correlati sia al principio generale di trasparenza, quale affermato all’art. 1 dello stesso d. lgs. 50/2016, sia al fatto che essi sono coordinati, nell’ambito della stessa previsione a “divieti d’accesso”, e non a restrizioni di minor rilievo: la disciplina di cui al citato D.Lgs. 33/2013 costituisce insomma la regola generale e le eccezioni alla medesima devono essere interpretate restrittivamente, per evitare la sostanziale vanificazione dell’intendimento del legislatore di garantire l’accesso civico.
Ora, la disciplina dell’accesso agli atti in materia di appalti si rinviene nell’art. 53 del codice dei contratti pubblici, il quale però al primo comma richiama espressamente la legge n. 241/1990, salvo introdurre nei commi successivi una serie di prescrizioni riguardanti essenzialmente il differimento dell’accesso in corso di gara, senza quindi che possa sostenersi che si configuri una speciale disciplina, realmente derogatoria di quella di ordine generale della legge 241/1990 e tale da escludere definitivamente l’accesso civico: questo potrà essere in subiecta materia temporalmente vietato, negli stessi limiti in cui ciò avviene per i partecipanti alla gara, e dunque fino a che questa non sarà terminata, ma non escluso definitivamente, se non per quanto stabilito da altre disposizioni, e così, prima di tutte, dalla chiara previsione dell’art. 5 comma 2 del D.Lgs. 33/2013.
Non appare dunque legittimo il diniego provinciale, fondato sul mero richiamo al già citato comma 2 dell’art. 5 bis, considerato altresì che l’amministrazione non ha preventivamente interpellato le due imprese interessate alla domanda di accesso civico, né ha valutato l’istanza proposta in via subordinata dalla parte istante, tesa ad ottenere anche soltanto un accesso parziale, vale a dire limitato alle sole parti delle offerte non concretamente coperte da segreto.
In altri termini, la motivazione del diniego si risolve in un mero richiamo alla norma preclusiva dell’ostensione, senza un preciso riferimento alle circostanze fattuali e giuridiche impeditive dell’accesso civico.
Il ricorso in esame presenta inoltre profili di fondatezza pure in ordine alla lamentata violazione della legge 241/1990.
Infatti, la motivazione del diniego appare anche sotto tale profilo laconica e frettolosa, posto che la Provincia, fra l’altro senza neppure interpellare i controinteressati come invece previsto dal DPR 184/2006, si limita ad affermare che l’istante “non ha presentato la propria offerta, pur essendo stata invitata…”, per trarre poi la conclusione che l’istanza di accesso non soddisfa i requisiti previsti dalla normativa applicabile.
Si tratta di una motivazione evidentemente insufficiente, in quanto la mancata partecipazione ad una procedura non implica di per sé l’esclusione da ogni pretesa di accesso ai documenti (cfr. TAR Veneto, sez. I, 10.1.2017, n. 16).
Il ricorso pertanto è accolto con annullamento del provvedimento di diniego impugnato, con l’onere della Provincia di esercitare una nuova valutazione dell’accesso, anche di quello civico, con interpello delle imprese interessate e con eventuale successiva valutazione di un rilascio anche parziale, per le parti dei documenti non coperti da esigenze di riservatezza ai sensi del comma 2 dell’art. 5 bis sopra citato oppure dell’art. 24 della legge 241/1990.
di Simonetta Fabris