Nuovi divieti per le Amministrazioni in caso di fallimento della gestioni in house

Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Siciliadeliberazione n. 217 del 21 dicembre 2018Presidente Savagnone, relatore di Pietro

A margine

Il quesito – La Corte è richiesta di chiarire la corretta interpretazione dell’art. 14, co. 6, del decreto legislativo n. 175 del 2016, con riguardo al mantenimento di partecipazioni in società di nuova costituzione, affidatarie degli stessi servizi in precedenza affidati a società sottoposte a fallimento.

Nello specifico, un Comune riferisce di avere approvato, nel 2017, la costituzione di una nuova società per azioni, partecipata al 100%, per la gestione dei servizi di spazzamento, raccolta e trasporto dei rifiuti, e di avere sottoscritto con la stessa, nel medesimo anno, un contratto di servizio di durata di nove anni.

Ad avvenuto affidamento, è tuttavia intervenuta la dichiarazione di fallimento di altra società, partecipata dal Comune nella misura del 99,01%, alla quale erano stati precedentemente affidati gli stessi servizi oggi gestiti dalla nuova società.

La deliberazioneL’analisi della Corte verte sull’applicabilità o meno, al caso di specie, del disposto di cui all’art. 14, co. 6, del TUSP, nella parte in cui impone il divieto, per l’amministrazione pubblica, di mantenere partecipazioni in società, qualora le stesse gestiscano i medesimi servizi di quelle dichiarate fallite.

A parere del giudice contabile, nella situazione descritta ricorrono indubbiamente i presupposti previsti dalla disposizione in esame, in quanto alla società di nuova costituzione risultano affidati gli stessi servizi già gestiti dalla società dichiarata fallita.

In siffatte circostanze, il TUSP dispone infatti che “nei cinque anni successivi alla dichiarazione di fallimento di una società a controllo pubblico titolare di affidamenti diretti, le pubbliche amministrazioni controllanti non possono costituire nuove società, né acquisire o mantenere partecipazioni in società, qualora le stesse gestiscano i medesimi servizi di quella dichiarata fallita”.

Conclusioni – L’art. 14, co. 6 del TUSP si colloca nell’alveo delle disposizioni dedicate alle “crisi di impresa delle società a partecipazione pubblica” e prevede, in caso di fallimento dell’intervento pubblico, l’obbligo per l’ente di ricorrere al mercato, inibendogli la possibilità di costituire o mantenere partecipazioni societarie operanti nell’ambito degli stessi settori di attività, già affidati a società partecipate assoggettate a procedura concorsuale.

Si tratta di un divieto operante in modo perentorio e che prescinde dalle formali determinazioni dell’ente in sede di ricognizione delle partecipazioni ai sensi dell’art. 24 del d.lgs. n. 175/2016 e s.m.i.

In sostanza, con la previsione di cui all’art. 14, co. 6, il legislatore:

  1. ha inteso introdurre una disciplina a contenuto pubblicistico e sanzionatorio, che impone all’amministrazione di dismettere la veste di imprenditore pubblico e di procedere all’esternalizzazione del servizio, a fronte dell’insuccesso della formula societaria quale modulo organizzatorio di intervento diretto, comprovato dalla dichiarazione dello stato di insolvenza del soggetto partecipato;
  2. ha introdotto il divieto per l’amministrazione pubblica di assumere, almeno per cinque anni, l’organizzazione e la gestione del servizio attraverso la partecipazione a una società c.d. in house, ovvero soggetta ad un controllo analogo a quello svolto nei confronti dei propri uffici interni;
  3. nel contempo, ha imposto l’obbligo di ricorso al mercato, con l’ovvio onere, per l’Amministrazione, di tutelare gli interessi pubblici sottesi al servizio esternalizzato, per mezzo dell’esercizio del “controllo contrattuale” sull’attività affidata e sul servizio erogato dal soggetto esterno affidatario.

Stefania Fabris


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