La procedura di stabilizzazione di cui all’art. 20, d.lgs. n. 75/2017 non è limitata ai dipendenti assunti con contratto di lavoro a tempo determinato ma va estesa anche alle tipologie di contratto flessibile riguardanti attività svolte o riconducibili alla medesima area o categoria professionale potendo ricomprendere anche contratti di collaborazione coordinata e continuativa e contratti degli assegnisti di ricerca.
Tar Lazio, sez. III bis, sentenza 19 ottobre 2018, n. 10158 – Presidente Savoia, Estensore Graziano
Il fatto
Un assegnista di ricerca impugna la delibera e l’avviso di selezione con cui un ente di ricerca avvia la “procedura per il superamento del precariato, ai sensi dell’art. 20, co. 1 del d.lgs. n. 75/2017, del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato presso l’ente alla data del 22 giugno 2017 e inquadrato nei profili di ricercatore e tecnologo”, nella parte in cui prevede, quale requisito necessario per la presentazione della domanda, l’aver maturato almeno un triennio di anzianità di servizio con soli contratti a tempo determinato, così escludendo il personale che raggiunge tale anzianità sommando ai contratti di lavoro a tempo determinato, anche altre tipologie di contratto flessibile quali gli assegni di ricerca come previsto dall’art. 20 del d.lgs. n. 75/2017 e dalla circolare ministeriale n. 3 del 23.11.2017.
La sentenza
Il Tar ricorda che la controversia trae origine dall’applicazione dell’art. 20 del d.lgs. n. 75/2017, recante modifiche al rapporto di impiego delle pubbliche amministrazioni, emanato in attuazione della delega conferita dalla Legge Madia che, nell’intento di contrastare il fenomeno del precariato, ha introdotto disposizioni generali sul procedimento di stabilizzazione di dipendenti assunti con contratto a tempo determinato previo superamento di selezione.
La norma in questione prevede che “1. Le amministrazioni, al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, possono, nel triennio 2018-2020, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di cui all’articolo 6, comma 2, e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria, assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:
a) risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione o, in caso di amministrazioni comunali che esercitino funzioni in forma associata, anche presso le amministrazioni con servizi associati;
b) sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione;
c) abbia maturato, al 31 dicembre 2017, alle dipendenze dell’amministrazione di cui alla lettera a) che procede all’assunzione, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni”.
Il ricorrente oppone che la Circolare del Ministero per la P.A n. 3/2017, nel dettare prescrizioni operative ed interpretative del decreto delegato suindicato, precisa che rientrano nel coacervo dei periodi di servizio utili a traguardare il minimo di tre anni di cui all’art 20, d.lgs. n. 75 del 2017, anche i servizi espletati non solo sulla base di contratti di lavoro subordinato ma anche sulla scorta di rapporti fondati sull’assegno di ricerca, relativamente al personale operante nel settore della ricerca universitaria o parauniversitaria.
In proposito, il collegio ricorda che il punto 3.2., lett. c) della circolare, stabilisce che “Gli anni utili da conteggiare ricomprendono tutti i rapporti di lavoro prestato direttamente con l’amministrazione, anche con diverse tipologie di contratto flessibile, ma devono riguardare attività svolte o riconducibili alla medesima area o categoria professionale” precisando nel paragrafo dedicato agli enti ricerca, con più specifico riguardo alle prestazioni svolte in base a contratti di assegno di ricerca, che “l’ampio riferimento alle varie tipologie di contratti di lavoro flessibile, di cui all’articolo 20, comma 2, può ricomprendere i contratti di collaborazione coordinata e continuativa e anche i contratti degli assegnisti di ricerca” (punto 3.2.7.).
Pertanto, il Tar ritiene gli atti impugnati confliggenti con le disposizioni della circolare n. 3/2017.
Conclusioni
Il collegio evidenzia come le disposizioni citate appaiano consonanti con il principio sostanzialistico di assimilazione delle prestazioni svolte sulla base di un formale contratto di lavoro con quelle svolte invece sulla base di un contratto di assegno di ricerca, il quale in realtà configura comunque una prestazione d’opera contrassegnata da elementi di subordinazione, dalla continuità ed esclusività delle prestazioni e dall’impiego di mezzi ed attrezzature nella disponibilità del datore di lavoro nonché nella natura fissa della retribuzione, corrisposta oltretutto a cadenza determinate, solitamente mensili e l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione del datore di lavoro e l’assoggettamento al potere direttivo di questi. Indici tutti che la giurisprudenza ha sempre richiesto onde qualificare un rapporto asseritamente autonomo o di collaborazione, come invece celante una sostanziale subordinazione (cfr. Cassazione Civile Sez. Lav., 10 luglio 2015 n. 14434; Tribunale Milano, Sez. Lav., 31 maggio 2018 n. 1452).
Pertanto il ricorso è accolto con annullamento degli atti impugnati e ordine all’Amministrazione di consentire al ricorrente di partecipare alla procedura di stabilizzazione.
di Simonetta