La Consulta, con sentenza n.251 del 5 novembre 2012, depositata il 15 novembre 2012, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69 co. 4, c.p., come sostituito dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005 n. 251 (recante modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza dell’attenuante del fatto di lieve entità di cui all’art. 73 co. 5 del d.P.R. n. 309 del 1990 (produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope) sull’aggravante della recidiva reiterata di cui all’art. 99 co. 4 c.p..

C.Cost. n.251 del 2012

La legge n.251 del 2005 ha riformulato il co. 4 dell’art. 69 c.p. come segue: “Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole, esclusi i casi previsti dall’articolo 99, quarto comma, nonché dagli articoli 111 e 112, primo comma, numero 4), per cui vi è divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato”.

Con la rimodulazione del giudizio di comparazione tra le circostanze aggravanti e le circostanze attenuanti si è completato un processo di modifica che ha indotto, in ragione del timore di una discrezionalità eccessivamente clemenziale e di una correlata sottovalutazione della recidiva, ad un maggior rigore repressivo in sede di comparazione mediante l’inserimento di un divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze aggravanti nelle due ipotesi seguenti:
a) nei casi di recidiva reiterata di cui al rinnovato art. 99 co. 4 Cost.;
b) nei casi previsti dagli artt. 111 e 112 co. 1 n. 4 Cost. relativi alla determinazione al reato di persone non imputabili o non punibili.

L’innovativa disciplina ha suscitato sin dall’inizio forti riserve di ordine costituzionale, perché non in linea con la ratio stessa del giudizio di bilanciamento, che si fonda sull’esigenza di valutare non solo l’entità del fatto criminoso, ma anche la personalità del colpevole, per calibrare la pena in relazione al caso concreto ed in aderenza ai principi fondamentali di eguaglianza, individualizzazione del trattamento punitivo e rieducazione ex art. 27 co. 3 Cost..

La questione di legittimità costituzionale qui sollevata dal Tribunale di Torino con ordinanza del 24 ottobre 2011 in riferimento agli artt. 3, 25 co.2 e 27 co.3 Cost. riguarda la detenzione e successiva cessione di un modesto quantitativo di cocaina – 0,40 grammi – da parte di un individuo più volte condannato per similari episodi di cessione illecita di sostanze stupefacenti.

Nel caso di specie, il giudice a quo osserva che la recidiva, così come modificata dalla legge n. 251 del 2005, “ha aperto la strada a una ridda di decisioni di merito assai diverse su casi sostanzialmente analoghi”, registrandosi in alcuni casi “veri e propri equilibrismi dialettici per motivare l’esclusione della recidiva – in situazioni che ragionevolmente non l’avrebbero consentito – pur di evitare l’assurdo dell’inflizione di sei anni di reclusione in ipotesi di cessione di una singola dose di sostanza stupefacente” e, in altri casi, invece condanne a tale pena “senza chiedersi se ciò fosse rispettoso dei principi di proporzionalità e personalità della pena”.

La novella del 2005 determina, sotto questo profilo:

– la violazione dell’art. 3 Cost., perché “conduce, in determinati casi, ad applicare pene identiche a violazioni di rilievo penale enormemente diverso”. Il recidivo reiterato implicato nel grande traffico di stupefacenti (art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990) al quale siano riconosciute le circostanze attenuanti generiche verrebbe punito con la stessa pena prevista per il recidivo reiterato autore di uno ‘spaccio di strada’ di minime quantità al quale siano riconosciute le circostanze attenuanti generiche e quella prevista dal quinto comma del menzionato art. 73. In particolare, la cessione di una singola modesta dose di sostanza stupefacente da parte del recidivo reiterato finirebbe con l’essere più grave di quella prevista, ad esempio, per la partecipazione ad associazioni terroristiche o mafiose (artt. 270-bis e 416-bis), per la concussione (art. 317 c.p.), per le lesioni dolose con pericolo di vita della vittima (art. 583, co.1), per la rapina aggravata e l’estorsione (artt. 628 e 629), per la violenza sessuale (art. 609-bis) e per l’introduzione illegale di armi da guerra nel territorio dello Stato (art. 1 della legge 2 ottobre 1967, n. 895);

– la violazione dell’art. 25 co. 2 Cost., che, con il suo espresso richiamo al fatto commesso, riconosce rilievo fondamentale all’azione delittuosa per il suo obiettivo disvalore e non solo in quanto manifestazione sintomatologica di pericolosità sociale. La costituzionalizzazione del principio di offensività comporta “la necessità di un trattamento penale differenziato per fatti diversi, senza che la considerazione della mera pericolosità dell’agente possa legittimamente avere rilievo esclusivo”;

– la violazione dell’art. 27 co. 3 Cost., perché “una pena sproporzionata alla gravità del reato commesso da un lato non può correttamente assolvere alla funzione di ristabilimento della legalità violata, dall’altro non potrà mai essere sentita dal condannato come rieducatrice: essa gli apparirà solo come brutale e irragionevole vendetta dello stato, suscitatrice di ulteriori istinti antisociali”.


Stampa articolo