La Corte chiarisce i margini di utilizzabilità dello strumento societario in mano pubblica
Corte dei conti, sezione di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 223 del 24 luglio 2018, Presidente Rosa, relatore Pettinari
Il quesito
La Corte è richiesta di chiarire se una società in house, interamente partecipata da un Comune, possa o meno erogare contributi, sovvenzioni, sussidi ed ausili finanziari.
L’ente istante premette che:
- la società rientra nell’ambito soggettivo di applicazione del d.lgs. n. 33/2013 ed è pertanto tenuta a pubblicare gli atti di concessione di vantaggi economici a persone fisiche ed enti pubblici e privati, in conformità a quanto previsto dall’art. 26 del medesimo decreto e dalla deliberazione A.N.AC. n. 1134 del 8 novembre 2017;
- alla stessa si applicano, a norma del d.lgs. n. 175/2016 e per quanto da questo non derogato, le disposizioni previste nel codice civile e quelle generali di diritto privato che le riconoscono una piena capacità giuridica;
- nell’attuale quadro normativo e giurisprudenziale non emergono specifici divieti in merito alla facoltà delle società a controllo pubblico di erogare contributi a soggetti terzi.
Occorre quindi chiarire se i contributi :
- debbano essere rivolti al solo sostegno di iniziative ed attività connesse e coerenti con la mission e l’oggetto della società erogante, fermo restando che l’erogazione dovrà avvenire secondo criteri e modalità previsti in apposite disposizioni aventi natura regolamentare, adottate dalla società nel rispetto dei principi di trasparenza, equità e imparzialità;
- possano anche essere finalizzati a favorire iniziative benefiche di rilevanza generale o a fronteggiare situazioni di particolare emergenza sociale, quali calamità naturali o ambientali o, comunque, essere erogati per finalità coerenti con quelle istituzionali del Comune socio;
- in quest’ultimo caso, se sia necessario e/o ammissibile un preventivo nulla osta da parte dell’Ente controllante, in un’ottica di coordinamento dei contributi erogati nell’ambito del “Gruppo Comune”, senza che ciò si configuri come un’ingerenza nell’autonomia decisionale che il Codice civile e le norme di diritto privato riconoscono alle società.
Il parere
La sezione sottolinea che il testo unico delle società partecipate ha accolto una più marcata prospettiva di omogeneizzazione delle società in controllo pubblico con le società civilistiche.
Le prime infatti risultano oggi assoggettate alla disciplina fallimentare (art. 14, comma 1, TUSP) e sono tenute ad garantire l’equilibrio economico della gestione, inteso come tendenziale ed astratta equivalenza dei costi e dei ricavi di esercizio.
Le società “pubbliche”, al pari di tutte le altre società, possono quindi propriamente disporre negozi gratuiti, ovvero caratterizzati dall’assenza di controprestazione, in quanto volti alla realizzazione di un proprio interesse, patrimonialmente valutabile, comunque rientrante nell’oggetto sociale.
Appare invece più difficile ritenere ammissibile un atto donativo caratterizzato, secondo il disposto di cui all’art. 769 C.C., da liberalità, ovvero dalla coscienza, da parte del donante, di compiere, in favore del donatario, un’attribuzione patrimoniale non derivante da un obbligo legale.
Al riguardo, va tuttavia segnalata una recente pronuncia della Corte di Cassazione, secondo la quale:
- le società di capitali hanno una capacità giuridica generale, che permette la stipula di qualsiasi atto o rapporto giuridico anche non rientrante nell’oggetto sociale,
- l’oggetto sociale non costituisce propriamente “un limite alla capacità della società, ma piuttosto un limite al potere deliberativo e rappresentativo degli organi sociali” (Cassazione, sez. III civile, 21 settembre 2015, n. 18449).
Chiarito ciò, la Sezione rileva che un ipotetico, seppur valido, atto liberale o gratuito, estraneo all’oggetto sociale:
- sarebbe comunque suscettibile di essere sanzionato tramite le azioni civilistiche poste a presidio delle prerogative della società, dei soci e dei creditori sociali (artt. 2393, 2394 e 2395 C.C.).
- nell’ambito di una società in controllo pubblico, sarebbe altresì potenzialmente idoneo a configurare un’eventuale diminuzione patrimoniale qualificabile in termini di danno erariale, ai sensi dell’art. 12, co. 2, del TUSP, anche in riferimento alla funzione di vigilanza che l’ente pubblico socio istituzionalmente deve svolgere nei confronti delle proprie partecipate .
In conclusione, per la realizzazione delle proprie finalità istituzionali, l’ente locale non deve impiegare lo strumento societario per fini non intrinsecamente propri, potendo anche avvalersi di altri tipi di soggetti aventi natura non societaria (ad es. istituzioni, aziende speciali, associazioni e fondazioni)
Infatti, nello scegliere la forma societaria, è il pubblico potere, secondo l’indicazione contenuta nella Relazione al Codice civile, «che si assoggetta alla legge della società per azioni per assicurare alla propria gestione maggiore snellezza di forme e nuove possibilità realizzatrici», di modo che «la disciplina comune della società per azioni deve (…) applicarsi anche alle società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici senza eccezioni, salvo che norme speciali non dispongano diversamente» (Relazione al Codice civile, § 998).
In ogni caso, per il Comune, in qualità di socio, resterà comunque sempre possibile: a) inserire nello statuto sociale un’eventuale apposita clausola di coinvolgimento dell’Assemblea dei soci nell’attività amministrativa ex art. 2369, n. 5, C.C.; b) intervenire nella definizione del contenuto della convenzione di servizio regolante i rapporti fra Ente pubblico socio e società e c) esercitare poteri di monitoraggio periodico sulla società nell’ambito dei controlli di cui all’art. 147-quater del TUEL.
Stefania Fabris