Deve essere rimessa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione se il combinato disposto degli artt. 53, paragrafo 3, e 54, paragrafo 4, della Direttiva 2004/17/CE, e dell’art. 45, paragrafo 2, lett. d), della Direttiva 2004/18/CE osti ad una previsione, come l’art. 38, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 163/2006, come interpretato dalla giurisprudenza nazionale, che esclude dalla sfera di operatività del c.d. “errore grave” commesso da un operatore economico “nell’esercizio della propria attività professionale”, i comportamenti integranti violazione delle norme sulla concorrenza accertati e sanzionati dalla AGCM con provvedimento confermato in sede giurisdizionale, in tal modo precludendo a priori alle amministrazioni aggiudicatrici di valutare autonomamente siffatte violazioni ai fini della eventuale, ma non obbligatoria, esclusione di tale operatore economico da una gara indetta per l’affidamento di un appalto pubblico.
Tar Piemonte, sez. I, ordinanza, 21 giugno 2018, n. 770, Presidente Giordano, Estensore Ravasio
Il fatto
Una stazione appaltante che gestisce servizi di ferrovia urbana indice una procedura ristretta nei settori speciali ai sensi dell’art. 220 del d.lgs. n. 163/2006, suddivisa in 6 Lotti, per l’affidamento del “Servizio di pulizia veicoli, locali ed aree”.
In esito alla gara, tre lotti sono inizialmente aggiudicati a una Consorzio.
Tuttavia la stazione appaltante, con successivo provvedimento, dispone la decadenza dall’aggiudicazione essendo emerso che l’AGCM ha sanzionato il predetto consorzio con una multa per aver partecipato ad un’intesa restrittiva della concorrenza di tipo orizzontale con la finalità di condizionare gli esiti di un’altra gara indetta da altra amministrazione attraverso l’eliminazione del reciproco confronto concorrenziale e la spartizione dei lotti più appetibili nel numero massimo fissato dalla lex specialis (Consiglio di Stato, sent. n. 740/2017).
La stazione appaltante fonda il provvedimento di decadenza sulle seguenti considerazioni:
a) la legittimità del provvedimento sanzionatorio della AGCM é già stata riconosciuta in sede giurisdizionale con sentenza passata in giudicato;
b) il Tar Piemonte, con sentenze n. 428/2017 e n. 446/2017, ha affermato che costituisce errore professionale grave ai sensi dell’art. 38 lett. f) del D.lgs. n. 163/2006 e art. 45 par. 2 lett. d) della Direttiva 2004/18/CE anche il comportamento consistente in una intesa restrittiva di concorrenza accertato in via amministrativa, posto in essere dall’operatore in altra procedura di gara;
c) il consorzio ha del tutto omesso di dichiarare negli atti di gara l’esistenza, nei suoi confronti, di un procedimento sanzionatorio pendente avanti l’Antitrust;
d) il comportamento sanzionato dall’Antitrust é tale da comportare l’interruzione del rapporto fiduciario;
e) le misure di self cleaning implementate dal consorzio sono intervenute solo in corso di gara e pertanto non sono idonee a far venir meno la causa di esclusione sin dall’inizio della gara.
Il consorzio impugna quindi il provvedimento di decadenza dalla aggiudicazione sostenendo:
a) che l’illecito antitrust non può integrare errore professionale grave ai sensi dell’art. 38 comma 1 lett. f) del D. L.vo 163/2006 e quindi non può essere considerato ai fini della esclusione di un operatore da una gara;
b) che la decadenza dalla aggiudicazione in un caso simile comporterebbe violazione del ne bis in idem, perpetuando a carico dell’aggiudicatario delle conseguenze sanzionatorie ulteriori rispetto alla sanzione comminata dalla Antitrust;
c) che le misure di self cleaning avrebbero dovuto essere tenute in considerazione ancorché intervenute solo in corso di gara.
Alla prima udienza il Tar, con ordinanza cautelare n. 442/2017 respinge la domanda del consorzio di concessione di misure provvisorie, a motivo della infondatezza nel merito delle varie censure proposte contro il provvedimento impugnato.
Su appello, il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 4921/2017 riforma la pronuncia del Tar, rilevando la possibile fondatezza del motivo di ricorso sulla possibilità di considerare un illecito anticoncorrenziale quale errore professionale grave ai sensi dell’art. 38 comma 1 lett. f) del D. L.vo 163/2006.
Da ultimo, il Consiglio di Stato, con pronunce n. 5704/2017 e n. 722/2018 riforma le sentenze del Tar Piemonte sull’affermazione di diritto secondo cui l’illecito anticoncorrenziale può essere valutato dalla stazione appaltante quale errore professionale grave ai sensi dell’art. 38 comma 1 lett. f) del D. L.vo 163/2006.
Il consorzio, in occasione della decisione finale del Tar, sulla scorta dell’orientamento espresso dal Consiglio di Stato con l’ordinanza cautelare del 20 dicembre 2017 e con le sentenze n. 5704/2017 e n. 722/2018, insiste per l’annullamento dell’atto impugnato sul rilievo che l’illecito anticoncorrenziale non può essere considerato errore professionale grave.
L’ordinanza
Il Collegio ritiene quindi di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte di giustizio UE il seguente quesito “se il combinato disposto da una parte degli articoli 53 paragrafo 3 e 54 paragrafo 4 della Direttiva 2004/17/CE, e d’altra parte dell’art. 45 paragrafo 2 lett. d) della Direttiva 2004/18/CE osti ad una previsione, come l’art. 38 comma 1 lett. f) del Decreto Legislativo n. 163/2006 della Repubblica Italiana, come interpretato dalla giurisprudenza nazionale, che esclude dalla sfera di operatività del c.d. “errore grave” commesso da un operatore economico “nell’esercizio della propria attività professionale”, i comportamenti integranti violazione delle norme sulla concorrenza accertati e sanzionati dalla Autorità nazionale antitrust con provvedimento confermato in sede giurisdizionale, in tal modo precludendo a priori alle amministrazioni aggiudicatrici di valutare autonomamente siffatte violazioni ai fini della eventuale, ma non obbligatoria, esclusione di tale operatore economico da una gara indetta per l’affidamento di un appalto pubblico”.
Conclusioni
In particolare, nella formulazione del quesito, il Tar chiarisce che la Corte di giustizia UE, nella causa C-465/11 del 13 dicembre 2012:
a) conferma che la nozione di “errore grave” rilevante ai fini dell’art. 45, paragrafo 2, lett. d), della Direttiva 2004/18/CE comprende anche comportamenti diversi dai meri inadempimenti contrattuali – potendosi estendere a qualsiasi violazione, persino di norme deontologiche, idonea ad evidenziare la propensione di un operatore economico a non rispettare regole;
b) richiama l’attenzione sul fatto che gli Stati membri con riferimento alle cause di esclusione “facoltative” debbono tenere conto della nozione di “errore grave” rilevante ai fini del diritto della Unione, potendo tali cause essere “precisate ed esplicitate nel diritto nazionale, nel rispetto, tuttavia, del diritto dell’Unione”.
Secondo la sezione, tale pronuncia conferma che, nel recepire le cause di esclusione, gli Stati membri, già nel vigore delle Direttive 2004/17 e 2004/18/CE, non potevano mutarne il contenuto, come non potevano trasformare le cause di esclusione facoltative in cause di esclusione automatica.
Pertanto, relativamente alle cause di esclusione c.d. “facoltative” la giurisprudenza della Corte formatasi nel vigore delle Direttive 92/50/CEE e 2004/18/CE non risulta di univoca interpretazione: alcune pronunce sembrerebbero riconoscere agli Stati membri il potere di non attribuire rilevanza giuridica a tutte o a talune di tali cause di esclusione ovvero di ridimensionare la portata applicativa di ciascuna di esse, in particolare prevedendo che non debbano essere applicate in alcune situazioni che invece sono rilevanti per il diritto della Unione. Altra giurisprudenza, invece, come quella della causa C-465/11, sembrerebbe invece suggerire che gli Stati membri potevano solo chiarire il significato, senza mutare la nozione rilevante ai fini del diritto europeo, o specificandone i criteri applicativi.
Il Tar ritiene, quindi, necessario l’intervento chiarificatore della Corte di giustizia, tanto più per il fatto che anche la Direttiva 2014/24/UE, con previsioni alle quali la stessa Corte di giustizia parrebbe aver attribuito (con la sentenza C-470/13) natura ricognitiva, sembra aver assegnato agli Stati membri solo il potere di obbligare le amministrazioni aggiudicatrici a tenere in considerazione le cause di esclusione “facoltative” indicate all’art. 57, comma 4, tra cui anche le condotte che si siano estrinsecate nella conclusione di accordi limitativi della concorrenza, e non certo anche il potere di privare le amministrazione aggiudicatrici del potere di valutare autonomamente le medesime cause di esclusione.