Va rimessa alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la questione sulla compatibilità con i principi comunitari del limite del 30 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture, fissato per il subappalto dall’art. 105 del codice dei contratti pubblici.
Tar Lombardia, Milano, sez. I, ordinanza 19 gennaio 2018, n. 148, Presidente De Zotti, Estensore Marongiu
A margine
Il fatto – Un’impresa viene esclusa da una procedura ristretta, indetta ai sensi dell’art. 61 del d.lgs. n. 50/2016 per l’affidamento di lavori di ampliamento di una corsia autostradale, per aver superato la percentuale del 30%, prevista come limite al subappalto dall’art. 105, comma 2, del medesimo decreto.
Contro tale esclusione l’impresa ricorre pertanto al Tar affermando che il predetto limite non sarebbe conforme alla normativa dell’Unione Europea, che, in materia di subappalti, non prevede alcuna limitazione quantitativa.
L’ordinanza – Il Tar ricorda che, nel parere n. 782/2017, il Consiglio di Stato, dopo aver dato atto della giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo cui il diritto europeo non consente agli Stati membri di porre limiti quantitativi al subappalto, si è espresso nei seguenti termini:
“È vero che nemmeno le nuove direttive, al pari delle previgenti, contemplano espressamente limiti quantitativi al subappalto, salva la possibilità per la stazione appaltante di esigere di conoscere preventivamente i nomi dei subappaltatori e la facoltà per gli Stati membri di imporre norme di tutela giuslavoristica.
Tuttavia, la complessiva disciplina delle nuove direttive, più attente, in tema di subappalto, ai temi della trasparenza e della tutela del lavoro, in una con l’ulteriore obiettivo, complessivamente perseguito dalle direttive, della tutela delle micro, piccole e medie imprese, può indurre alla ragionevole interpretazione che le limitazioni quantitative al subappalto, previste dal legislatore nazionale, non sono in frontale contrasto con il diritto europeo.
Esse vanno infatti vagliate, e possono essere giustificate, da un lato alla luce dei principi di sostenibilità sociale che sono alla base delle stesse direttive, e dall’altro lato alla luce di quei valori superiori, declinati dall’art. 36 TFUE, che possono fondare restrizioni della libera concorrenza e del mercato, tra cui, espressamente, l’ordine e la sicurezza pubblici”.
In aggiunta, la disciplina eurounitaria del subappalto contenuta nell’art. 71 della direttiva 2014/24/UE consente l’introduzione di previsioni più restrittive sotto diversi aspetti, ma non contempla alcun limite quantitativo al subappalto.
Il raffronto tra le disposizioni nazionali in materia di subappalto e il diritto dell’Unione europea, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, induce il Collegio a dubitare della compatibilità dell’art. 105, comma 2, terzo periodo, del d.lgs. n. 50/2016, rispetto ai principi ricavabili dagli articoli 49 e 56 TFUE (sulla libertà di stabilimento e sulla libera prestazioni di servizi all’interno dell’UE) e dall’art. 71 della direttiva 2014/24/UE.
La previsione di un limite generale del 30 % per il subappalto, con riferimento all’importo complessivo del contratto, impedendo agli operatori economici di subappaltare a terzi una parte cospicua delle opere (70 %), può rendere più difficoltoso l’accesso delle imprese, in particolar modo di quelle di piccole e medie dimensioni, agli appalti pubblici, così ostacolando l’esercizio della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi e precludendo, peraltro, agli stessi acquirenti pubblici l’opportunità di ricevere offerte più numerose e diversificate; tale limite, non previsto dall’art. 71 della direttiva 2014/24, impone una restrizione alla facoltà di ricorrere al subappalto per una parte del contratto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe, in contrasto con gli obiettivi di apertura alla concorrenza e di favore per l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici.
Il Consiglio di Stato, come si è rilevato sopra, nel parere n. 782/2017 ha osservato che le limitazioni quantitative al subappalto, previste dal legislatore nazionale, vanno vagliate, e possono essere giustificate, da un lato alla luce dei principi di sostenibilità sociale che sono alla base delle stesse direttive, e dall’altro lato alla luce di quei valori superiori, declinati dall’art. 36 TFUE, che possono fondare restrizioni della libera concorrenza e del mercato, tra cui, espressamente, l’ordine e la sicurezza pubblici.
In quest’ottica, l’obiettivo di assicurare l’integrità dei contratti pubblici e la loro immunità da infiltrazioni della criminalità potrebbe giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi.
Occorre tuttavia considerare che, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi “può essere giustificata qualora essa persegua un obiettivo legittimo di interesse pubblico e purché rispetti il principio di proporzionalità, vale a dire, sia idonea a garantire la realizzazione di tale obiettivo e non vada oltre quanto è necessario a tal fine” (sentenza del 5 aprile 2017, causa C-298/15 Borta UAB)”.
Ed invero, proprio alla luce della rilevanza che la Corte di Giustizia attribuisce al requisito della proporzionalità della misura restrittiva in questione, il Collegio dubita che il limite quantitativo di cui all’art. 105, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 possa ritenersi giustificato, tenuto conto dell’evoluzione che ha interessato la disciplina del subappalto, a livello sia eurounitario sia nazionale.
Al riguardo, infatti, occorre evidenziare che l’art. 71 della direttiva 2014/24 e l’art. 105 del d.lgs. n. 50/2016 prevedono una serie di obblighi informativi e di adempimenti procedurali, per effetto dei quali l’impresa subappaltatrice può oggi ritenersi assoggettata a controlli analoghi a quelli svolti nei confronti dell’impresa aggiudicataria.
Orbene, nel descritto contesto normativo, la misura drastica della limitazione quantitativa del subappalto al 30 % dell’importo complessivo del contratto non sembra rappresentare lo strumento più efficace ed utile al soddisfacimento dell’obiettivo di assicurare l’integrità del mercato dei contratti pubblici.
Inoltre, circa le finalità che il legislatore nazionale ha direttamente correlato alla norma che limita il ricorso al subappalto, quali “quei valori superiori, declinati dall’art. 36 TFUE, che possono fondare restrizioni della libera concorrenza e del mercato, tra cui, espressamente, l’ordine e la sicurezza pubblici” va evidenziato che le disposizioni nazionali già prevedono una serie di attività interdittive affidate ai Prefetti, espressamente finalizzate ad impedire l’accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di condizionamento.
Anche questo profilo, quindi, può rilevare ai fini della valutazione circa il rispetto del principio di proporzionalità, nella misura in cui colpisce, come effetto riflesso, anche imprese estranee a condizionamenti, che non hanno alcuna ragione di essere penalizzate dalla norma della cui compatibilità eurounitaria si dubita.
Conclusioni – Da un lato, i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi di cui al TFUE, l’articolo 71 della direttiva 2014/24, che non contempla limitazioni quantitative al subappalto, e il principio euro-unitario di proporzionalità, potrebbero contrastare all’applicazione di una normativa nazionale difforme; d’altro, i principi di integrità dei contratti pubblici e di immunità da infiltrazioni della criminalità potrebbero giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi: alla Corte spetterà decidere se e come bilanciare, nella fattispecie del subappalto, questi principi.