La comunicazione all’interessato dell’atto sanzionatorio oltre il termine previsto per la conclusione del procedimento disciplinare non rileva ai fini del rispetto del termine di decadenza dall’azione disciplinare.
La pubblica amministrazione, per giustificare il licenziamento del dipendente per giusta causa o giusto motivo, deve provare solo l’avvenuto espletamento di incarichi non autorizzati, in quanto spetta al dipendente, ai fini di dimostrare la non proporzionalità della sanzione, l’onere di provare la scarsa rilevanza dell’inadempimento.
Corte di Cassazione, Sezione lavoro, sentenza 11 luglio 2017, n. 28975 , Pres L. Macioce, Rel. A. Torrice
A margine
Fatto – La vicenda ha ad oggetto la legittimità del licenziamento disposto da una pubblica amministrazione nei confronti di un dipendente colpevole di avere svolto incarichi non autorizzati in violazione dell’art. 53, comma 7, del decreto legislativo n. 165 del 2001.
Sentenza – La Suprema Corte di Cassazione respinge il ricorso del dipendente ritenendo infondate le sue doglianze avverso la decisone della Corte di Appello di Roma (sentenza n. 6123/2015), che a sua volta aveva respinto il reclamo avverso l’ordinanza del giudice di prime cure.
Due i punti della sentenza che meritano di essere segnalati.
Il primo riguarda la conferma del consolidato orientamento giurisprudenziale della stessa Cassazione, secondo cui la comunicazione all’interessato dell’atto sanzionatorio non assume rilevanza ai fini della tempestività della conclusione del procedimento disciplinare (in senso conforme, la sentenza richiama Cassaz. 9390/ 2017, 5317/2017, 19183/2016, 16900/2016; 5637/2009). Ai fii del rispetto dei termini di conclusione, è sufficiente il compimento da parte del soggetto onerato dell’attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione demandandolo ad un servizio idoneo a garantire un determinato affidamento. Questo principio è valido in tutti i casi, come nel lavoro pubblico, in cui il ricevimento della comunicazione non sia prevista, nella fonte che contempla la decadenza (legale, o negoziale, o provvedimentale), come elemento costitutivo della fattispecie impeditiva (Cassaz. SSUU 12457/2011, 8830/2010). Detto altrimenti, per il calcolo del rispetto dei termini del procedimento disciplinare occorre fare riferimento alla data di spedizione della raccomandata e non a quella del suo ricevimento da parte dell’interessato.
L’altro punto di interesse attiene all’onere della prova. Secondo la Cassazione, la pubblica amministrazione, per motivare la giusta causa o il giusto motivo del licenziamento, deve provare solo l’avvenuto espletamento di incarichi non autorizzati “nella loro oggettività”. Mentre spetta al dipendente licenziato, se vuole contestare la proporzionalità della sanzione applicata, dimostrare la scarsa rilevanza dell’inadempimento con riferimento alla sua durata e alla consistenza, in termini quantitativi e qualitativi, dell’impegno richiesto nell’espletamento degli incarichi non autorizzati. In altri termini, non è sufficiente che il dipendente, nella sua difesa, affermi in modo generico di avere svolto le attività extraistituzionali non autorizzate nel tempo libero e nel rispetto dei tempi di riposo e senza pregiudizio dell’attività lavorativa, ma occorre che lo dimostri e che indichi per ciascun incarico la durata e il numero di ore ad essi dedicate, l’impegno richiesto, ecc.
Gli Ermellini confermano anche che le docenze a pubblici dipendenti rientrano fra le cosiddette attività extraistituzionali cosiddette “libere”, ovvero che il pubblico dipendente può esercitare senza necessità autorizzazione e senza onere neppure di comunicazione all’amministrazione di appartenenza (mentre l’autorizzazione occorreva prima dell’entrata in vigore della legge n. 43 del 20o5 (art. 7-novies) che ha aggiunto fra le attività libere le docenze a favore di pubblici dipendenti).
Conclusioni. Il principio di esclusività vigente nel pubblico impiego impedisce al dipendente di svolgere un doppio lavoro non autorizzato dalla sua amministrazione e l’inadempimento a questo dovere può costargli il posto di lavoro.