Anche gli Ordini forensi sono tenuti ad applicare la normativa anticorruzione

TAR Lazio, sentenza n. 11392 del 24 settembre 2015, Pres. F. Corsaro, Est. A. Sinatra


A margine

Il Consiglio Nazionale Forense e numerosi Consigli dell’Ordine degli Avvocati circondariali impugnano, innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, la delibera numero 145\2014 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), recante “Parere dell’Autorità sull’applicazione della L. 190\2012 e dei decreti delegati agli Ordini e Collegi professionali”.

Secondo gli avvocati, infatti, la citata disciplina non si applicherebbe in via diretta a Collegi ed Ordini, ma porrebbe in capo ai medesimi soltanto un obbligo di adeguamento ai relativi principi, poiché, in sintesi:

– il riferimento dell’art. 11 del d.lgs. n. 33\2013 agli Enti menzionati nell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165\2001 è utile alla ricognizione delle amministrazioni vincolate al regime organizzativo previsto in via generale per il pubblico impiego, ma non ha il medesimo valore quando il richiamo è utilizzato nell’ambito di materie che si allontanano da quelle del lavoro pubblico;

– peraltro, anche in quest’ultimo ambito, detti Enti non applicano direttamente il d. lgs. n. 165\2001, ma, a tenore dell’art. 2, comma 2 bis, del D.L. 31 agosto 2013 n. 101, si adeguano ai relativi principi;

– si tratta di enti di natura associativa, che non gravano sulle risorse pubbliche (tanto da non essere assoggettate al controllo sulla gestione della Corte dei Conti, come affermato da Cass. n. 22126\2011), ma che si giovano unicamente dei contributi degli iscritti;

– il diritto comunitario (v. Corte CE 12 settembre 2013, C-526\11) li esclude dalla sfera di applicabilità della direttiva 2004\18\CE;

– per tale ragione non sussisterebbe neppure l’interesse della collettività alla pubblicazione integrale dei dati che riguardano gli amministratori;

– la L. 190\2012, nell’indicare l’oggetto della delega che ha dato poi luogo al d.lgs. n. 33\2013, fa riferimento all’elenco di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165\2011 con esclusivo riguardo a chi abbia compiti di gestione, e non con riguardo a chi sia titolare di cariche politiche, se non di “livello statale, regionale e locale”, e dunque nei soli Enti territoriali; e comunque la differenza tra organi di amministrazione ed organi di gestione, essendo dettata dall’art. 4 del d. lgs. n. 165\2001, non sarebbe direttamente applicabile agli Ordini, che a quel testo unico devono solo adeguarsi nei principi;

– le disposizioni del d.lgs. n. 33\2013 male si attaglierebbero alle realtà organizzative e dimensionali (spesso minime) ed alle funzioni degli Ordini;

– con specifico riferimento al piano di prevenzione della corruzione, i commi da 5 a 24 della legge delega n. 190\2012 si riferiscono alle sole pubbliche amministrazioni centrali, mentre il comma 60 lettera a) a regioni ed enti locali.

L’ANAC, replica che, pur tenendo in considerazione detta peculiare natura degli Enti esponenziali delle comunità professionali, nella delibera n. 145 ha rilevato che essi si collocano, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, nel novero degli Enti pubblici non economici, appartenenti al comparto del c.d. parastato, e che tra di essi ed i loro dipendenti intercorre un rapporto di pubblico impiego.

Pertanto -conclude l’Autorità- a detti Enti si applica tutta la normativa inerente gli obblighi e gli adempimenti tesi a prevenire la corruzione.

Il TAR del Lazio, accoglie le eccezioni presentate dall’ANAC e decide che:

La generalità e l’astrattezza della noma di legge in questione comporta, …, la sua applicabilità a tutti gli enti pubblici; ma perchè tale applicazione avvenga concretamente occorre che le relative disposizioni siano adattate alla natura ed alle dimensioni di ogni singolo ente.

Sotto questo profilo si deve ritenere che le stesse finalità della normativa, che ne postulano un’applicazione quanto più possibile estesa (testimoniata dalle disposizioni che ne implicano l’applicabilità anche alle società pubbliche: v. ancora il comma XXXIV) comportino che determinate disposizioni delle medesima non siano inderogabili.

Ciò al fine di impedire che ragioni contingenti ed eventuali, quali le dimensioni di un dato ente e la sua consistenza organica, impediscano l’applicazione diretta e concreta della normativa di contrasto alla corruzione.

E’ dunque infondata la censura per cui la nomina del responsabile, per gli enti in questione, potrebbe mancare ove non siano presenti dipendenti con qualifica dirigenziale, dato che tale figura non potrebbe essere reperita all’esterno (commi VII ed VIII dell’art. 1).

Infatti occorre ritenere che solo ove tali figure dirigenziali vi siano, si dovrà nominare un dirigente; ma qualora esse non siano previste dalla pianta organica (o comunque non siano presenti), si dovrà dare preferenza all’applicazione più lata della norma, e dovrà essere nominato un soggetto non dotato di qualifica dirigenziale.

Inoltre, qualora la redazione del piano non sia possibile a causa della assenza di idonee professionalità all’interno dell’ente, si potrà utilmente fare ricorso al generale istituto dell’accordo tra pubbliche amministrazioni, disciplinato dall’art. 15 della legge n. 241 del 1990: norma, quest’ultima, che soccorre in via generale qualora sia necessario o opportuno che determinate pubbliche amministrazioni svolgano in comune determinate attività o funzioni.

E’ appena il caso di precisare che quella appena prospettata è operazione che postula proprio la cogenza immediata e diretta di tutti gli obblighi previsti dalla disciplina di contrasto alla corruzione; ed è, quindi, ben altro rispetto a quanto vorrebbero vedere affermare gli Ordini ricorrenti, ossia la loro sottoposizione ai medesimi obblighi solo parziale (perché, in tesi, limitata dalle caratteristiche organizzative e dimensionali degli Ordini stessi) e mediata dalla propria regolamentazione interna.”


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